Mentre il nazismo apriva in Nord Europa i campi di concentramento e sterminio in cui si consumò la più grande tragedia della storia e il più grande crimine di massa che l’Uomo abbia mai concepito e inflitto a propri simili, nello stesso periodo si consumarono altre esperienze di segregazione in cui il rispetto della vita e della dignità di migliaia di persone fu calpestato o quanto meno messo a dura prova. A differenziarle fu il diverso grado di crudeltà o di solidarietà umana vissuto dalle vittime. Una delle meno conosciute è senza dubbio quella del campo di concentramento di Ferramonti istituito dal regime fascista in Calabria, nel comune di Tarsia (Cosenza). Fu il più grande luogo di internamento per ebrei, apolidi, stranieri nemici e slavi voluto da Mussolini in Italia tra il giugno e il settembre 1940, all’indomani dell’entrata del nostro Paese nella seconda guerra mondiale. L’inizio dell’attività del campo risale al 20 giugno del 1940 quando vi giunse un primo piccolo gruppo di 160 ebrei provenienti da Roma. Nel 1943, al momento della sua liberazione, nel campo risultarono 1604 internati ebrei e 412 non ebrei. Il campo fu liberato dagli inglesi nel settembre del 1943, ma molti ex-internati rimasero a Ferramonti anche negli anni successivi fino a che non fu ufficialmente chiuso l’11 dicembre 1945. Dal punto di vista cronologico degli eventi della seconda guerra mondiale, Ferramonti ebbe dunque un suo peculiare primato: fu in assoluto il primo campo di concentramento per ebrei ad essere liberato e anche l’ultimo ad essere formalmente chiuso. A questo campo e ad alcune delle vicende umane consumatesi al suo interno è dedicato il film Ferramonti diretto dal regista Emanuele Pellecchia, vincitore del Globo d’Oro 2020, prossimamente in uscita nelle sale cinematografiche. Il lungometraggio, su soggetto dello stesso Pellecchia e di Luna Cecilia Kwok, autori anche della sceneggiatura insieme a Francesco Saverio Tisi, ruota sopratutto intorno ad alcuni eroici personaggi che durante la Seconda Guerra Mondiale, agendo in prima linea e disobbedendo alle prescrizioni nazifasciste, tinsero di coraggio e di speranza le oscure e vergognose pagine della storia nazionale di quegli anni. La sceneggiatura del film è basata su storie vere e sull’indagine pubblicata nel 1984 nel libro I cinesi in Italia durante il Fascismo del professor Philip Kwok (riedito nel 2018 dalla Phoenix Publishing), passando per fonti d’archivio fino ad approdare alla consulenza storica del dottor Mario Rende e delle dottoresse Teresina Ciliberti e Angela Simona Celiberti.
Quando nel giugno del 1940 il campo di internamento civile di Ferramonti venne aperto nel comune di Tarsia, il comando fu assegnato al commissario di pubblica sicurezza Paolo Salvatore che da subito si mostrò recalcitrante alle brutali direttive del regime nazifascista. A Ferramonti, infatti, il direttore proveniente da Napoli e natìo di Avellino, sostenuto dal padre cappuccino Callisto Lopinot e dal maresciallo Gaetano Marrari, instaurò un ambiente votato alla tolleranza e all’umanità. Se il suo mandato durò fino al 1943, anno in cui fu allontanato a causa dei suoi metodi ritenuti eccessivamente permissivi, lo si deve al fatto che egli cercò di mantenersi sempre nei limiti consentiti nell’osservazione delle regole disciplinari sulla gestione dei campi. Applicando quelle norme secondo una personale interpretazione, riuscì a garantire una vita più o meno tranquilla agli internati ebrei e stranieri, tra cui medici, futuri Premi Nobel, filosofi, artisti. Oltre che su questi aspetti, che hanno del miracoloso, gli autori del film hanno voluto focalizzare l’attenzione soprattutto su fatti dimenticati o, forse, trascurati, sebbene dettagliatamente documentati.
Di calibro nazionale e internazionale, tra interpreti e tecnici, le presenze di questo particolare film che si avvale delle musiche originali del maestro Andrea Morricone e del trucco di Vittorio Sodano (nominato agli Oscar per il miglior trucco in “Apocalypto” di Mel Gibson e vincitore del David di Donatello per “Il divo” di Paolo Sorrentino, film che gli è valsa anche una seconda nomination agli Oscar). La produzione è della napoletana Phoenix Film Production, in coproduzione con la Movi Production di Roma. Le scene, girate in Calabria con il patrocinio morale del Comune di Tarsia, sono interamente ambientate nel campo di concentramento di Ferramonti, dove sono stati messi a disposizione locali interni ed esterni grazie all’interessamento e all’appoggio del sindaco del comune di Tarsia, l’avvocato Roberto Ameruso e del consigliere delegato alla cultura, il dottor Roberto Cannizzaro; nonché della direttrice del museo Campo di Ferramonti, Teresina Ciliberti, e della coordinatrice delle attività e degli eventi, Angela Simona Celiberti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA