di Enzo Garofalo
«Bella ed immensa città. Palermo ha edifici di tale bellezza che i viaggiatori si mettono in cammino per ammirarli!»
Idrisi, geografo, XI sec.
Ricordo ancora con grande emozione un viaggio coast to coast fatto in Sicilia agli inizi degli anni 2000 alla scoperta delle meraviglie di un’isola che è l’essenza stessa della civiltà mediterranea, quella “chiave di tutto” di goethiana memoria che ha condizionato indelebilmente lo sguardo sull’Italia di tanti artisti, letterati, semplici persone sensibili alla Bellezza della Natura e dell’opera dell’uomo. Ma ho anche fisse nella mente alcune immagini di terribile degrado, indegno di qualsiasi luogo ma, ancor più, del territorio di un Paese che siede fra le prime otto potenze del Pianeta.
In particolare sono difficili da rimuovere le immagini dei cumuli di macerie della Seconda Guerra mondiale ancora presenti nel cuore del centro storico di Palermo, ombra cupa e stridente in una città che in tantissimi suoi aspetti conserva l’allure di una vera capitale, quale è stata davvero per un certo periodo della sua storia, durante il regno Borbonico. E pensare che quando vi giunsi era già stato visibilmente avviato quel processo di recupero che ha restituito alla pubblica fruizione, fisica o anche solo estetica, diversi angoli di questa città unica al mondo. Certo il tessuto urbano da risanare era ed è immenso, ma quelle macerie proprio non sono riuscito a ‘’mandarle giù’’.
Ricordo ancora la agghiacciante sensazione fisica provata una sera – condivisa anche da chi era con me in quel momento – nello sbucare improvvisamente su una piazza di cui non ricordo il nome ma solo il fatto che fosse nei pressi dell’antico quartiere arabo della Kalsa, in qualche modo poi recuperato alla frequentazione della cittadinanza grazie all’avvio di coinvolgenti attività culturali. La sensazione, netta, in quel momento fu di essere finiti in una sorta di “terra di nessuno”, così come istintivo fu il gesto di fare dietrofront. Eppure a poca distanza vedevo degli esseri umani seduti dinanzi ad alcuni bassi, ma ne ebbi una visione di tale squallore che mi lasciò profondamente turbato. Le oggettive difficoltà economiche di tanta gente, qui come in altri luoghi d’Italia, pensai, mai e poi mai possono giustificare tanto abbandono e tanta incuria nella gestione del territorio. Era evidente che c’erano delle responsabilità di qualcuno, che tuttavia, quasi sicuramente, mai sarebbe stato chiamato a rendere conto di tale sfacelo, terreno fertile per il peggior degrado sociale.
Ora, se la Kalsa nel corso degli ultimi anni ha visto mutare il suo destino, vi sono altre zone, come la Vucciria, che ancora non sembrano accennare ad un reale cambiamento di rotta, anzi sono andate peggiorando. Le immagini di questo quartiere, noto per il suo (un tempo) spettacolare mercato, riecheggiante i pittoreschi suk delle medine arabe, sono più che eloquenti testimonianze di quel degrado che di recente (molto maldestramente) l’artista austriaco Uwe Jaentsch ha voluto – così lui sostiene – denunciare imbrattando con vernice rossa una fontana rinascimentale. A tal proposito vorrei fosse chiaro che se dal nostro punto di vista il gesto, oggettivamente vandalico, di Jaenscht non poteva che essere stigmatizzato, d’altro canto non meno scandaloso e meritevole di sdegno ci pare il silenzio e l’inerzia di chi dopo oltre 60 anni non ha ancora liberato la città dalle macerie della guerra e dal connesso rischio di continui crolli, nè si mostra capace di fronteggiare l’ulteriore degrado che è andato stratificandosi col tempo. Un degrado su cui molti cittadini, quotidianamente e spesso invano, tentano di richiamare l’attenzione delle istituzioni. A poche ore dopo il recente gesto di Jaenscht risale l’esternazione di Mario Ridulfo, segretario della Fillea CGIL, il quale proprio prendendo spunto dalla fontana del Garraffello imbrattata dall’artista austriaco, ha dichiarato che i nuovi recenti crolli verificatisi alla Vucciria confermano “l’assenza di interventi decisi a risolvere l’indecoroso spettacolo di degrado che offre la città di Palermo. Questa volta nessuna provocazione e nessuna nobile e stizzita reazione possono nascondere le responsabilità di chi governa e ha governato questa città negli ultimi trent’anni e poco o nulla ha fatto”.
Per cercare di comprendere più a fondo le ragioni di aspetti così aspri in una città che per il resto è un meraviglioso museo a cielo aperto, con le sue mille stratificazioni storiche, la sua miracolosa posizione naturale, i suoi affascinanti dintorni, abbiamo pensato di rivolgere alcune domande a due palermitani doc, appartenenti a due generazioni diverse in modo da porre a confronto i rispettivi modi di percepire la città e i suoi abitanti: si tratta del noto artista Momò Calascibetta che, pur vivendo da tempo a Milano, ha avuto a Palermo un atelier proprio in Piazza della Vucciria e frequenta spesso la Sicilia a cui è rimasto legatissimo, e della giovanissima attrice Eletta Del Castillo che attualmente studia a Roma presso l’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” ma periodicamente torna a Palermo dove risiede la famiglia di origine.
MOMO’ CALASCIBETTA: «Palermo è una città che deve ritrovare consapevolezza della sua grande storia e cultura» (LEGGI L’INTERVISTA)
ELETTA DEL CASTILLO: «Per superare il degrado di Palermo occorre ripartire dall’educazione dei bambini» (LEGGI L’INTERVISTA)