di Carlo Picca
Cari Lettori questo mese ho incontrato la poetessa pugliese Lucia Diomede per scambiare qualche battuta sul suo ultimo lavoro, Forme di Suoni, una raccolta di versi edita recentemente da Prospettiva Editrice (pag. 74, 12 euro). Autrice, insegnante, traduttrice, appassionata di arte e di teatro, paladina dell’ambiente, le ho rivolto alcune domande per conoscere qualcosa in più di lei e della sua attività di scrittura.
Lucia parlaci di te e del tuo ultimo lavoro poetico, già vincitore di premi. Perché un lettore dovrebbe scegliere di leggerlo?
Forme di Suoni è una silloge nata per stratificazione – “concrezione”, scrivo in una poesia –, cercando di rispondere a una domanda che facevo e che continuo a fare a me stessa: quali sono gli strumenti, gli attrezzi per “lavorare” la materia prima di sempre della letteratura, cioè le parole, il discorso, e quali le forme, gli “artefatti”, le opere “a regola d’arte”, a cui bisogna tendere nell’attuale contesto storico e linguistico. Inoltre, mi chiedevo se io conoscessi e sapessi usare quegli strumenti, per arrivare a dei componimenti che riuscissero a sopravvivere fino al giorno successivo, senza velleità artistiche, ma da artigiano che costruisce qualcosa perché possa durare nel tempo. Siamo immersi nel discorso dell’attualità, dell’aggiornamento in tempo reale; ecco, la poesia invece utilizza un discorso del tempo “irreale”, il tempo dell’arte, che sopravvive al tempo reale e gli dà senso. Perché qualcuno dovrebbe leggermi? Mah, forse per caso, per coincidenza, come accade per la maggior parte delle letture che facciamo, per curiosità se magari questo articolo ne suscita. Le letture per scelta di solito sono gli approfondimenti o le riletture.
Parlaci dei tuoi autori preferiti. Immagino che, come spesso accade nelle varie forme d’arte, anche tu abbia delle figure di riferimento…
Mi piace questa domanda, perché mi porta a citare i “maestri”. Ammiro molto Mario Luzi e la sua capacità di creare dei componimenti profondamente misteriosi o misteriosamente profondi, capaci di una contemplazione quasi sacra del mistero umano. Poi c’è Andrea Zanzotto, con la sua ironia e la sua inesauribile creatività formale, e Giovanni Raboni con la sua levigatezza. Poi ci sono gli elementi dello scheletro, dell’ossatura, senza cui non si potrebbe stare in piedi: c’è Pasolini, dotato di una straordinaria padronanza tecnica, e l’infinito Leopardi, il grande padre Dante… Non è possibile non ri-leggerli continuamente… E tuttavia, il desiderio vero e proprio di scrivere, di stare dalla parte di chi dà le sue “carni” in “pasto” al lettore m’è venuto ascoltando dal vivo i musicisti jazz che nel qui e ora dell’esecuzione davanti al pubblico “improvvisano” e in quella improvvisazione mettono tutto quello che sono e che hanno fatto fino a quel momento. Una “improvvisazione”, un darsi in pasto al pubblico, che è frutto di grande studio ed esperienza artistica.
Che differenza passa fra poesia e narrazione e cosa significa per te fare poesia?
Parlavo prima di “opere a regola d’arte”: la poesia, come la prosa, può parlare di tutto, cioè qualsiasi argomento, contenuto, può essere spunto per una poesia, può costituire “l’ispirazione” di una poesia, come la chiamavano i romantici. Ma questo è solo l’inizio. Quel che differenzia la poesia dalla prosa è la scelta del come dire qualcosa, l’intensa riflessione linguistica che deve esserci a fondamento di ogni componimento poetico, il porsi all’interno di un “mestiere” con le sue regole e le sue tradizioni per accettarle o rifiutarle con forte consapevolezza. Le poesie sono degli artefatti, cioè delle opere fatte con artificio, con un lavorio simile a quello del cesellatore: quanto più riuscito e musicale – qualcuno direbbe “naturale” – è il verso, tanto maggiore è il lavoro linguistico che c’è dietro. Le parole sono innanzitutto suoni, segni acustici, prima di essere segni visivi – basta pensare a come tutti noi da neonati abbiamo appreso la lingua – e il fare poesia, perciò, ha molte molte affinità con il comporre musica. Per questo ho ripartito la silloge in sezioni i cui titoli richiamano nozioni musicali.
Come giudichi lo stato della poesia italiana e della lettura negli ultimi decenni?
È scarsa, certo, come è scarsa la lettura in genere in Italia, ma bisogna insistere in ogni modo possibile e con creatività, e sempre con onestà intellettuale…
Che progetti hai per il futuro?
Ho in cantiere un poema, la struttura è “concepita” e anche gran parte del corpus, ora comincia la parte più lunga, quella delle scelte formali, la levigatura della forma, dei dettagli, ecc. Una parte che, a me, porta via molto più tempo rispetto alla scrittura iniziale.
Il complimento più bello e la critica che più ti hanno colpito?
Il riconoscimento alla serietà dello studio di fondo.
Aggiungi quello che non hai detto e che avresti voluto dire…
Grazie dell’attenzione a chi sta leggendo. Di solito il poeta è sempre meno interessante delle sue poesie.
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