di Redazione FdS
In occasione della Giornata della Memoria si rievoca giustamente il dramma della Shoah vissuto nei lager che il nazismo impiantò in Nord Europa perchè furono quelli in cui si consumò la più grande tragedia e il più grande crimine di massa che forse l’Uomo abbia mai concepito e conosciuto, se si escludono le due Guerre Mondiali che comunque ne furono una sorta di folle preparazione. Ma quel periodo conobbe anche tante altre situazioni, più o meno eclatanti, in cui il rispetto della vita o della dignità di migliaia uomini fu calpestato o quanto meno messo a dura prova, con tutta una serie di sfumature legate alle singole vicende prese in considerazione. Forse in pochi conoscono – e questa Giornata della Memoria può essere una occasione per parlarne – l’esperienza del campo di concentramento di Ferramonti instaurato in Calabria nel comune di Tarsia in provincia di Cosenza. Questo campo è stato il principale (in termini di consistenza numerica) tra i numerosi luoghi di internamento per ebrei, apolidi, stranieri nemici e slavi aperti dal regime fascista italiano tra il giugno e il settembre 1940, all’indomani dell’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale. L’inizio dell’attività del campo di Ferramonti risale al 20 giugno del 1940 quando vi giunse un primo piccolo gruppo di 160 ebrei provenienti da Roma. Nel 1943, al momento della sua liberazione, nel campo risultarono 1604 internati ebrei e 412 non ebrei.
Il campo fu liberato dagli inglesi nel settembre del 1943, ma molti ex-internati rimasero a Ferramonti anche negli anni successivi fino a che non fu ufficialmente chiuso l’11 dicembre 1945. Conseguentemente, dal punto di vista cronologico degli eventi della seconda guerra mondiale, ha già un suo peculiare primato: fu in assoluto il primo campo di concentramento per ebrei ad essere liberato e anche l’ultimo ad essere formalmente chiuso.
Oggi nei pressi di quella che fu l’area occupata dal campo, nella zona dove si trovavano le abitazioni dei responsabili (quelle del direttore e del personale addetto alla sorveglianza) e altre strutture tecniche (garage e officina, etc..) si trova il piccolo Museo Ferramonti formato da alcune sale contenenti materiale fotografico dell’epoca e facente capo alla Fondazione “Museo della Memoria Ferramonti di Tarsia”, con sede nell’monimo borgo in provincia di Cosenza (un’altra Fondazione Internazionale “Ferramonti di Tarsia” per l’amicizia fra i popoli ha invece sede a Cosenza). Al Museo fa capo anche il sito web multimediale del MuVif, il Museo Virtuale Ferramonti.
A questo campo e alla sua particolarissima storia è dedicato il libro “Ferramonti di Tarsia – Voci da un campo di concentramento fascista 1940-1945”, un volume di 296 pagine pubblicato nel 2009 da Mario Rende* per la Ugo Mursia Editore (19 euro) nella collana Testimonianze fra cronaca e storia. Ve lo segnaliamo come possibile strumento per conoscere questa pagina poco nota di uno dei periodi più bui della storia europea del ‘900, sebbene la condizione degli internati in questo campo sia stata connotata da risvolti tali da riuscire ad alleviare di molto sul piano umano la condizione di per sè drammatica dell’internamento. Precisiamo che questa è una semplice scheda di presentazione, non una recensione del volume, per cui ci limitiamo a ripotarne fedelmente la nota editoriale che sintetizza l’impostazione seguita dall’autore nel corso della sua ricerca storica:
Dopo le leggi razziali del 1938, a Ferramonti di Tarsia (quaranta chilometri a nord di Cosenza), venne aperto il più grande campo di concentramento fascista per ebrei e stranieri non graditi. Fra il 1940 e il 1943 oltre duemila persone vissero in questo luogo che ricorda esteriormente un campo nazista, ma in realtà rappresentò per molti ebrei una fonte di vita e di salvezza. Nel campo si celebrarono diversi matrimoni, nacquero molti bambini, vennero aperte delle sinagoghe e una cappella cattolica, c’erano una scuola e una biblioteca, e si organizzarono attività culturali e sportive.
Questo miracolo della compassione e della dignità umana accadde per precise e coraggiose scelte di uomini che superarono pregiudizi razziali e religiosi, come Paolo Salvatore, direttore di Ferramonti, che arrivò alle mani pur di difendere gli ebrei, o padre Callisto Lopinot che tesseva un fondamentale rapporto fra il Vaticano e la comunità ebraica. Con documenti e testimonianze originali, Mario Rende dà voce a uomini straordinari e silenziosi che «hanno saputo, in giorni neri, onorare il nome dell’Italia».
Ecco cosa scrisse Oscar Klein, a suo tempo un bambino ebreo internato a Ferramonti:
«A Ferramonti era permessa ogni attività e ognuno faceva quello che voleva per vivere. La vita era tranquilla, nessuno gridava contro gli internati. Confesso che per me è stato come un campo di vacanze, sembra ridicolo ma è vero.»
*Mario Rende, nato a Roma nel 1958 è medico e professore ordinario di Anatomia Umana presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Ateneo di Perugia. S’interessa di storia e costumi del Meridione d’Italia e, in particolare, della Calabria, di cui è originaria la sua famiglia
Altri volumi per approfondire l’argomento:
C. S. Capogreco, I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista, 1940-1943 (Einaudi, 2004)
C. S. Capogreco, Ferramonti. La vita e gli uomini del più grande campo d’internamento fascista, 1940-1945 (Giuntina, 1987)
P. Lupoi, Gaetano Marrari. Maresciallo del campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia (Istar Editrice, 2011)
E. Bernhard, Lettere a Dora dal campo di internamento di Ferramonti (1940-41) (Biblioteca Aragno, 2011) (scritto durante il suo soggiorno a Ferramonti)
P. Georg, Ferramonti (Prometeo, 2003) (scritto durante il suo soggiorno a Ferramonti)
N. Weksler, Con la gente di Ferramonti (Editoriale Progetto 2000, 1992) (scritto durante il suo soggiorno a Ferramonti)
E. Averoff Tossizza, “Prigioniero in Italia” (Longanesi, 1977)
C. Zotis, “I am still standing” (1stBooks, 2001)
A. Alkalay, “The persistence of hope: a true story” (Univ. Delaware pr, 2007)
M. Shelah, “Un debito di gratitudine” (Uff. Storico Esercito Italiano, 2009)
J. Bierman, “Odyssey” (Simon & Schuster, 1984)
La solita vulgata “italiani brava gente”, antistorica, comoda. Non a caso mancano nella bibliografia di Rende testi fondamentali come K.Voight Il rifugio precario – Gli esuli in Italia dal 1933 al 1945 -, Scandicci 1993; S. Zuccotti Il Vaticano e l’Olocausto in Italia, Milano 2001; L.Picciotto Fargion Il libro della Memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945), Milano 1991; G. Mayda Storia della deportazione dall’Italia: 1943-1945. Militari, ebrei e politici nei lager del Terzo Reich, Torino 2002.
Valgano, su tutte, le parole di Gisella Weisz, adolescente, prigioniera nel Campo di Ferramonti nell’estate del 1942: “Come sarebbe bello uscire per respirare l’aria fresca della sera! Il cielo è stellato, la luna fa risplendere in uno strano colore i campi ondeggianti di grano che si stendono tutto intorno a vista d’occhio. I grilli cantano, gli uccellini gorgheggiano, la loro preghiera serale, insomma, la sera è qui magnifica e proprio di quella siamo stati privati dalle autorità. [..] speriamo che con l’aiuto del buon Dio potremo ritornare presto a casa, e di Ferramonti non ci rimarrà che un brutto ricordo lontano della nostra vita.”
buon lavoro
E’ evidente che la dimensione più “umana” di questo campo va rapportata all’orrore e all’inferno di altri campi europei. La privazione di libertà, anche nelle ipotetiche migliori condizioni, è sempre una forma di umiliazione e di mortificazione dell’umana dignità. Rende ha forse voluto dar voce al lato più umano del campo, sul quale esistono testimonianze dei protagonisti anche in documenti filmati. Lei cita le parole di uno dei prigionieri, ma nella scheda di presentazione del libro vengono citate anche quelle di un altro prigioniero, di segno completamente opposto. Sono le due anime di un luogo assurdo, come assurdo e deprecabile è privare un uomo della sua libertà. Grazie della visita e del commento.