di Redazione FdS
“Con incedere altero e sicuro, scortata dalle sue ancelle, Leda si faceva largo tra la folla pronta ad aprirsi al suo passaggio come l’acqua del mare solcata dalla chiglia d’una trireme. Incurante degli sguardi penetranti della gente, sembrava l’epifania di una dea con i lunghi capelli corvini raccolti nella splendida rete d’oro e granati rilucente al sole di giugno così come la lunga collana, forgiata nel solare metallo e adorna delle stesse pietre, che in flessuose spire le oscillava sul florido seno. Impassibile e devota seguiva la fiumara umana che nell’ultimo giorno delle Giacinzie era diretta, tra processioni, canti, danze e banchetti, fuori dalle mura di Taranto verso il cenotafio dell’eroe giovinetto amato da Apollo. Il percorso che portava al luogo di culto riproduceva in breve la distanza tra Sparta e Amicle dove gli avi dei Tarantini collocavano il sepolcro di Giacinto.” Con questo flash narrativo abbiamo provato a immaginare la ricca donna tarantina a cui dovette appartenere il corredo di raffinata gioielleria oggi custodito tra le collezioni di antichità dell’Altes Museum di Berlino, lo stesso museo che ospita la Persefone contesa tra Taranto e Locri. È difficile dire per quali vie questo corredo sia arrivato nella capitale tedesca essendo poche le informazioni rilasciate dal museo sul proprio sito web: a parte la provenienza da Taranto, la datazione al III° secolo a.C. e le dimensioni dei vari pezzi, si fa riferimento all’acquisto avvenuto nel 1980, ma non si cita il nome del venditore. Si aggiunge inoltre che i gioielli provengono da una tomba scoperta a Taranto agli inizi del ‘900, ma nulla viene detto sulle vicende che hanno riguardato i reperti nel corso del tempo.
Muovendo da queste indicazioni e dalla pregevolezza dei manufatti, questo corredo si può senz’altro collocare in una delle monumentali tombe a camera sotterranee diffuse tra i ceti sociali più elevati a Taranto così come presso le altre popolazioni della Puglia antica come Dauni, Peuceti e Messapi. Tombe che, a parte la presenza dei sarcofagi, erano spesso decorate come l’interno di una casa con colonne, fregi murali, grandi vasi istoriati, vasellame da simposio, utensili per la cosmesi e, appunto, oggetti di oreficeria. Tali tombe erano contrassegnate in superficie da tempietti funerari (naiskoi), realizzati in pietra con colonne, timpani e decorazioni scultoree, come testimoniato dai motivi dipinti su coevi vasi apuli a figure rosse. Ma veniamo alla descrizione degli otto pezzi che compongono il pregevolissimo corredo esposto all’Altes Museum: tra essi, ad attrarre innanzitutto l’attenzione dell’osservatore è un pezzo di grande virtuosismo artigianale: si tratta della raffinatissima retina per capelli, a calotta semisferica e base nastriforme con nodo di Herakles centrale, realizzata in oro e tempestata di granati, le cui maglie si diramano da un più antico medaglione centrale con protome di Medusa lavorata a sbalzo. I granati, disseminati su sette file, sono posizionati nei punti di incrocio dei fili d’oro che formano la rete, ma li si ritrova anche al centro delle rosette che adornano la base nastriforme, alternati ad altri di maggiori dimensioni a forma di lacrima.
Di straordinaria bellezza è anche la collana, insolitamente lunga (111 cm.), composta da 102 maglie in filo d’oro e 50 in rosso granato; ogni coppia di maglie d’oro è alternata a una maglia in granato. Pezzi conici di corniola fissati su castoni d’oro chiudono la collana con cerniere mobili alle estremità di un grande nodo di Herakles in granato i cui tratti curvilinei sono impreziositi da inserti in lamina d’oro e fili di perline auree.
Fanno inoltre parte del corredo: una collana in oro lunga 36 cm. formata da tre catene ad anelli sovrapposte, fermate alle estremità da terminali a linguetta impreziositi da una fine lavorazione a filigrana, e da una frangia costituita da 114 brevi fili di perline; due bracciali in oro a fusione, in forma di serpente, incisi a squame sui margini esterni ricurvi, con le due estremità del rettile modellate a otto; un anello formato da un filo d’oro a spirale terminante alle estremità con due teste di serpente sulle quali sono incastonate perle di granato; due orecchini (alti 5,6 cm) a rosetta circondata da perline e ornata con granati, con pendente a forma di Nike, al cui corpo nudo modellato a fusione l’orafo aggiunse un mantello svolazzante e le ali sul dorso. Reggendo nelle mani una ciotola e una piccola scatola, la Nike reca una benda sulle braccia e delicate calzature ai piedi.
Lo studio condotto dagli esperti sul corredo, anche attraverso il confronto con altri monili di sicura origine tarantina, ha consentito di verificarne la provenienza dall’antica polis magnogreca, anche se i vari pezzi risultano realizzati in più laboratori di oreficeria della stessa città. Inoltre la presenza di tracce di abrasione e di usura di tipo diverso hanno permesso di dedurre come la ricca dama tarantina avesse acquistato in un ampio arco di tempo i vari pezzi di questo corredo che, a buon diritto, può considerarsi una delle più alte testimonianze dell’oreficeria ellenistica.
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