di Enzo Garofalo
Meritatisismo successo a Bari per il Misteryum, oratorio in VII parti per quattro voci soliste, coro misto, coro di voci bianche e orchestra, del celebre compositore Nino Rota, eseguito dall’Orchestra del Teatro Petruzzelli sotto la direzione del Maestro Rino Marrone, uno fra gli interpreti pugliesi più attenti alla divulgazione dell’opera rotiana non cinematografica. Scritto nel 1962 su commissione della Pro Civitate Christiana di Assisi sul tema teologico dell’universalità della Fede, il Misteryum è una delle prove più alte del magistero musicale e della ricerca spirituale di un musicista che, sebbene noto soprattutto per le sue straordinarie colonne sonore per il Cinema, si rivela costantemente autore fecondissimo di composizioni di vario genere, capaci sempre di coniugare un elevato spessore formale ed espressivo con un altissimo potenziale di coinvolgimento nei confronti del pubblico.
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Ma veniamo all’origine di quest’opera. Fondamentali le indicazioni provenienti dai testi in latino utilizzati per dar voce al tema richiesto dal commitente. “Vieni, o Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli, e accendi in loro il fuoco del tuo amore: tu che attraverso la diversità di tutte le lingue hai raccolto le genti in una sola fede”, canta il coro nelle battute finali dell’oratorio: se l’unica fede a cui allude l’antifona di Pentecoste è senza dubbio quella cristiana, l’utilizzo che Nino Rota fa di queste parole nel suo Mysterium, travalica il riferimento strettamente confessionale, per farle assurgere ad una valenza universale che attraversa tutte le fedi. A Rota interessa infatti attingere a quello che è l’intimo tessuto comune alle molteplici religioni del mondo, ossia la Spiritualità intesa soprattutto come ricerca di Dio all’interno di sé, al di là di ogni particolarismo confessionale. Non a caso, come egli stesso evidenziò nel corso di un’intervista radiofonica degli anni ’70, l’occasione offertagli dal committente gli aveva permesso di svolgere musicalmente il tema dell’universalità della Fede “in un modo liberamente religioso” e soprattutto di “rispecchiare quel senso di religiosità derivante dall’immanenza del Divino nell’Uomo”.
Oltre alla citata antifona, emblematico in tal senso è anche il passaggio “Noi tutti spezziamo uno stesso pane, farmaco di immortalità, antidoto per non morire”, tratto dall’Epistola di S. Ignazio di Antiochia agli Efesini ed inserito a chiusura della prima parte dell’oratorio; ma nella stessa direzione va tutta la rimanente selezione di testi biblici, evangelici e patristici, operata dall’amico Vinci Verginelli e pervasa da “un senso ‘panico’ della religiosità, della divinità e della umanità”. Concetti che a Rota, come al suo fraterno sodale, derivavano soprattutto da una personale ricerca nell’ambito della Tradizione misteriosofico-sapienziale più antica, nei secoli riversatasi in molteplici esperienze come l’esoterismo, l’alchimia e le stesse religioni – fra cui il Cristianesimo – anch’esse depositarie per molti versi del portato di tale tradizione, come non di rado traspare dalle loro simbologie e pratiche rituali.
Il Mysterium, pur dotato di un’intensa e vibrante carica di spiritualità, esula dunque dalle musiche di esecuzione liturgica, mostrandosi piuttosto suscettibile di accostamento ad opere come il Magnificat di Monteverdi, la Messa Solenne di Beethoven, la Messa Cattolica di Bach, le Messe di Mozart, lo Stabat Mater di Rossini, il Requiem di Verdi, la Sinfonia dei Salmi di Stravinskij, tutte composizioni che, come sottolinea lo stesso Rota, pur “certamente di ispirazione religiosa, non sono però destinate alla esecuzione liturgica”, musiche nelle quali i rispettivi autori “non hanno ritenuto di dovere cambiare il loro linguaggio per esprimere il senso della religiosità”.
In tanti si sono chiesti nel tempo, se quest’opera sia ascrivibile al genere Cantata o al genere Oratorio. In realtà lo stesso autore, pur definendo cantata il Mysterium in una sua lettera privata, successivamente mutò pensiero come dimostrano la citata intervista e l’intestazione di ‘oratorio’ rimasta stampata sui materiali musicali della prima versione così come di quella rivista nel 1979. Eppure gli assertori della sua natura di Cantata, sostengono che il Mysterium non possa che appartenere a tale genere data l’assenza di un filo conduttore e di una voce narrante. Ma davvero nel Mysterium mancano questi elementi? Oltre all’ascolto, a smentirlo in modo molto chiaro sono le parole del M° Nicola Scardicchio, già discepolo del compositore milanese e curatore di un breve saggio contenuto nel libretto di sala, il quale evidenzia come all’inizio dell’opera venga enunciato “l’esordio di un preciso itinerario…di un cammino iniziatico secondo un percorso Tradizionale perfettamente delineato, in cui un ‘personaggio’ principale narrante, la voce del Cristo in sostanza, guida, sostiene, stimola, stigmatizza. Ed alla fine la via è compiuta, le chiavi ritrovate, il metodo sperimentato con il conseguimento della realizzazione.” Ergo c’è la storia e c’è anche il Narratore principale, “lo Storico che collega ed individua il percorso prefigurato”. Insomma quanto basta perchè si possa parlare di Oratorio a ragion veduta.
Di grande complessità ritmica, il Mysterium è un arduo banco di prova per orchestra, coro e solisti. L’Orchestra del Teatro Petruzzelli, guidata dal M° Marrone, ha ben superato le insidie della partitura e lo stesso dicasi per il Coro misto preparato dall’ottimo M° Franco Sebastiani ed il Coro di Voci Bianche ‘Vox Juvenes’ istruito dalla brava Emanuela Aymone. Efficace, ma un po’ disomogeneo quanto a mezzi vocali e doti espressive il gruppo dei quattro solisti, fra i quali ha spiccato il basso Gianluca Buratto, dotato di bellissimo timbro vocale, raffinatezza espressiva e solido controllo della pagina musicale. Notevole anche la performance della brindisina Angela Nisi, giovane soprano in meritata ascesa. Fra i solisti anche il mezzosoprano Adriana Di Paola e il tenore Alessandro Liberatore.
Calorosa la risposta del pubblico che ha applaudito a lungo tutti gli interpreti, soddisfatto di aver colto la preziosa occasione di riascoltare un vero capolavoro, un magnifico esempio di maestria contrappuntistica, di felicità di invenzione tematica, di ricchezza e solidità orchestrativa, oltre che una significativa espressione della vastissima cultura umanistica, filosofica e storica di Nino Rota. Un’opera tuttavia che per quanto dotata di bellezza e grande forza di coinvolgimento emotivo, rimane al momento ancora di non frequente esecuzione, al punto che ogni sua riproposta si trasforma in un evento capace di attrarre appassionati da ogni dove.