di Enzo Garofalo
Da oltre un secolo la potenza espressiva della musica di Giacomo Puccini commuove le platee mentre le sue storie, le sue struggenti eroine, la sua magistrale potenza drammaturgica riconciliano l’ascoltatore con la propria umanità, aprendo nella sua mente sprazzi di riflessione intorno a quella sublime e terribile avventura che è l’esistenza. Ad offrirci un ennesimo saggio della maestria del grande compositore toscano è la “Madama Batterfly” che ha debuttato lo scorso 11 marzo al Teatro Petruzzelli di Bari, nella nuova produzione voluta dalla Fondazione Petruzzelli con la direzione musicale di Giuseppe Finzi e la regia di Fabio Ceresa.
La messa in scena ha l’essenzialità e l’eleganza di un Giappone estremamente stilizzato e suggestivamente rievocato, sul cui sfondo risaltano nette le figure dei protagonisti con le loro virtù, le loro miserie e le loro tragedie. Non c’è spazio per distrazioni d’altro genere, a dispetto degli amanti di certo bric-à-brac orientaleggiante che in quest’allestimento non troveranno appigli. Gli elementi scenici sono pochi ma sufficienti a farsi ‘teatro’ – in modo estremamente efficace – di una storia che, con progressivo e cruciale cambio di registro, passa dalla primavera dell’amore, della fiducia, del pieno affidarsi alla forza dei sentimenti, al gelo dell’ipocrisia, del tradimento, dell’abbandono, della disillusione, della morte. E’ su questo che il regista Fabio Ceresa, lo scenografo Tiziano Santi e la light designer Fiammetta Baldisseri hanno principalmente puntato, cogliendo nel segno. Una menzione speciale meritano i costumi di Tommaso Lagattolla, curatissimi nella resa del dettaglio ed improntati al contrasto fra una ricercata sobrietà di forme e di colori, pensata per la generalità dei personaggi, ed alcune eccezioni che spiccano per vivacità cromatica ed estrosità strutturale, in linea con la multiforme tradizione giapponese.
La casa dell’ex geisha Cio-cio-san giovanissima e fresca sposa di F.B. Pinkerton, ufficiale della marina americana, è ampia ed ariosa, aperta sulla vastità dell’orizzonte marino: quanto di meglio si possa desiderare per il rifugio di un amore trionfante. Ma le sue leggere pareti “a soffietto” improvvisamente diventano un incombente, soffocante prigione, come quella che stringe il “piccolo cuore” di Butterfly dopo la partenza del suo uomo. Un cuore che batte le sue ali “come una mosca prigioniera”, e per quanto il corteo di amici, faccendieri, nuovi spasimanti vi ascenda come si ascende ad una reggia, quella casa altro non è che il luogo in cui si consuma il dramma dell’ipocrisia, del tradimento, dell’abbandono, della perdita di tutto: l’ipocrisia di Pinkerton che sposa Butterfly ma pensa a un matrimonio americano, tradendo sentimenti e promesse fatte alla giovane e innamorata sposa giapponese, pronta per lui a rinunciare alla famiglia e alle tradizioni degli avi; l’abbandono di lei a un futuro di stenti ed umiliazione, senza il figlio nato da quella effimera unione e destinato a crescere in America col padre e la sua nuova moglie; la perdita di una vita indegna di essere vissuta perché – come la Butterfly canta alla fine – “con onor muore chi non può serbar vita con onore”. Il fuoco sfavillante dell’amore diventa così un mare di lacrime amare, capaci di soffocare, come dimostra l’harakiri finale della donna risolto dal regista Ceresa con una scelta di grande impatto emozionale.
La felicità d’invenzione tematica pucciniana cattura lo spettatore in un crescendo di commozione che ha il suo apice nel saluto finale della madre al figlio e nella scena del suicidio di lei, donna già annullata dal dolore prima ancora che dalla spada. A dar vita al dramma un cast di buon livello, che ha ampiamente soddisfatto le aspettative del pubblico. Bellezza di timbro vocale, musicalità e buona disinvoltura scenica per la Cio-cio-san del soprano Alexia Volgaridou, apprezzabile interprete di un personaggio che oscilla fra giovanile ingenuità e matura risolutezza. Di vocalità ampia, solida e squillante è il Pinkerton del tenore Angelo Villari, che ha affrontato il personaggio con piglio un po’ “muscolare” ma tutto sommato calzante al tipo umano interpretato. Saggezza e devozione, le due anime di Suzuki, ancella di Butterfly, sono state rese con giusto carattere e convincente vocalità dal mezzosoprano Annunziata Vestri. Prova positiva anche per il baritono Mario Cassi nel ruolo di Sharpless, console statunitense diviso fra ruolo istituzionale e umana benevolenza. A suo agio nel ruolo di Goro, sensale cinico e perfido, il tenore Francesco Castoro. Voce imponente e buon temperamento per lo zio Bonzo interpretato dal basso Mikhail Korobeinikov. Un inconsueto principe Yamadori – pensato dal regista come un personaggio ambiguo e borderline, consumato dalle passioni ai limiti della dissoluzione – quello perfettamente interpretato dal baritono Marco Bussi. Buoni gli altri interpreti: Simona Di Capua (Kate Pinkerton), Gianfranco Cappelluti (Commissario Imperiale), Graziano De Pace (Yakusidé). Ben affiatato e incisivo il Coro della Fondazione Petruzzelli diretto dal M° Franco Sebastiani.
Eccellente prova musicale per l’Orchestra della Fondazione Petruzzelli diretta dal M° Giuseppe Finzi, talento pugliese con carriera internazionale in ascesa, che ha reso una lettura persuasiva e coinvolgente del capolavoro pucciniano. Un pubblico foltissimo e variegato ha accolto l’opera con applausi convinti e calorosi. Questo cast replica il 13, 15 e 17 marzo (il secondo cast si esibirà il 12 e il 14 marzo).
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