di Redazione FdS
Ubicato nel Parco dell’Etna in territorio del comune di Sant’Alfio (Catania), ha un’età stimata fra i 2 mila e i 4 mila anni che lo colloca fra gli alberi più vecchi d’Europa e una circonferenza di 52 metri che ne fa l’albero più grande del continente se non del mondo. Un vero patriarca della natura che per la sua vetustà e monumentalità ha attirato l’attenzione di pittori, incisori, viaggiatori e letterati di ogni sorta. Fra le rappresentazioni pittoriche più famose c’è quella ad acquerello dell’artista francese Jean-Pierre Louis Laurent Houël che lo inserì in uno dei quattro volumi del suo «Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Malta et de Lipari» edito fra tra il 1782 e il 1787, ma molto conosciuta è anche l’illustrazione ad incisione comparsa circa un secolo dopo col titolo di Chestnut-Tree of the Hundred Horses: Mount Etna, nell’opera The Mediterranean Illustrated di T. Nelson, del 1880, che vi mostriamo qui di seguito nell’immagine resa disponibile dalla British Library. In entrambe le raffigurazioni si vede persino una suggestiva casetta costruita fra i molteplici tronchi del grande albero.
Queste sono alcune delle testimonianze più recenti ma, in realtà, le prime notizie storiche sul Castagno dei Cento Cavalli sono documentate già nel XVI secolo. Nel 1611 se ne occupò Antonio Filoteo, che parla del grande castagno come la pianta che “in meraviglia avanza le piante lodate da Plinio e degli altri scrittori (…) Il suo gran tronco cavato dalla natura dona albergo a pecore, a capre, a pastori, a lavoratori del monte. E talora si è veduta mandria di trecento pecore”, mentre nel 1636, ne «Il Mongibello», Pietro Carrera parla di un bosco di castagni in contrada Carpineto, sopra Mascali, “nel quale trovasi un maestoso tronco di castagno incavato per l’età e, come riferito da quelli che l’hanno visto, capace di ospitare nel suo interno trenta cavalli”.
Don Giuseppe Recupero, autore di una Storia naturale e generale dell’Etna così descrive l’albero nel Settecento: “La figura esterna del nostro Castagno è una ellissoide, il suo diametro maggiore è da Tramontana a Mezzogiorno, ed il minore da Ponente a Levante. L’esterna sua circonferenza misurata a fior di terra è di palmi duecento ventisei…Pare che qualche turbine, o altro accidente abbia rotto quest’arbore; ma vi ha contribuito anche la mano dell’uomo; restando ancora visibili i colpi di scure…Cosicchè tutto il divisato fusto è diviso per le menzionate aperture in tanti pezzi, o segmenti, che vengono tutti a corrispondersi esattamente, onde l’occhio da per se stesso riconosce essere un solo ceppo…Nel concavo di questo gran pedale a lato dell’apertura di Levante vi è fabbricata una capanna, ove si ripongono le castagne; al fianco opposto vi è un forno capace di cuocere un tumulo di pane; e nel mezzo vi è una casa fabbricata a secco… lunga ventidue palmi da Tramontana a Mezzogiorno, larga quattordici. Nell’ultima visita, che feci a questo nobilissimo Castagno l’anno 1766, ritrovai la casa molto deteriorata”. Recupero fu anche capace di dimostrare che i molteplici tronchi dell’albero riconducono a una sola pianta, infatti scrive: “mi sono inoltrato sino alla prova più evidente e decisiva con aver fatto scavare intorno tutto il pedale, che alla profondità di due palmi ho trovato tutto intero, unico senza verun segnale di unione”.
Sempre nel Settecento, troviamo il grande castagno citato da Patrike Brydone, lo scrittore scozzese autore della prima descrizione del gigantesco albero compiuta da un viaggiatore straniero. Costui riporta infatti che nel maggio del 1770, durante un tour della Sicilia, visitò il Castagno dei Cento Cavalli, albero che addirittura aveva “trovato segnato su una antica carta della Sicilia”. In un primo momento Brydone si mostrò scettico sull’unicità del tronco. E infatti scrive: “Ammetto che non sono stato colpito dal suo aspetto, perché non sembra un albero solo ma una macchia di cinque grandi alberi cresciuti insieme. Protestammo con le guide, ma ci assicurarono che per tradizione generalizzata e per testimonianza unanime della gente del luogo tutti quegli alberi erano volta uniti in un tronco solo”. Ed ancora, concedendo il beneficio d’inventario: “se questo era una volta un unico tronco, è giusto che lo si consideri un fenomeno straordinario nel mondo vegetale e il suo titolo di gloria della foresta gli va a pennello”. Il suo scetticismo venne però presto fugato dalle rassicurazioni del succitato naturalista Giuseppe Recupero, che gli scrisse spiegandogli di aver appunto trovato i tronchi “uniti sottoterra in una sola radice”.
Dopo Brydone, toccò di descriverlo al sopra citato pittore francese Jean-Pierre Houël al quale, per aver tessuto le lodi dell’albero, il comune di Sant’Alfio ha di recente dedicato una via del paese, proprio nei pressi del grande castagno. Ecco cosa scrisse Houël: “La sua mole è tanto superiore a quella degli altri alberi, che mai si può esprimere la sensazione provata nel descriverlo. Mi feci inoltre, dai dotti del villaggio raccontare la storia di questo albero che si chiama ‘dei cento cavalli’ a causa della vasta estensione della sua ombra. Mi dissero come la regina Giovanna recandosi dalla Spagna a Napoli, si fermasse in Sicilia e andasse a visitare l’Etna, accompagnata da tutta la nobiltà di Catania stando a cavallo con essa, come tutto il suo seguito. Essendo sopravvenuto un temporale, essa si rifugiò sotto quest’albero, il cui vasto fogliame bastò per riparare dalla pioggia questa regina e tutti i suoi cavalieri. Questo albero sì decantato e dal diametro così considerevole è interamente cavo, cioè sussiste per la sua scorza, perdendo con l’invecchiare, le parti interne e non cessando perciò di incoronarsi di verzura. La sua cavità essendo immensa, alcune persone del paese costruirono una casa nella quale vi è un forno per seccarvi castagne e mandorle”.
Ma vediamo di capire meglio da dove deriva il suo curioso nome. All’origine di esso c’è senza dubbio una leggenda e precisamente quella che vuole una regina aver trovato riparo sotto il grande castagno con i suoi cento cavalieri durante un forte temporale, occasione nel corso della quale la donna avrebbe anche vissuto un’incandescente notte d’amore. Diverse sono le regine chiamate in causa: in primis Giovanna D’Aragona, regina di Castiglia, soprannominata la “pazza”, e Giovanna I° D’Angiò, regina di Napoli, ma per entrambe il collegamento deve escludersi non essendo mai state in Sicilia. Più fondata appare la versione che parla di Giovanna II° D’Angiò, regina di Napoli , figlia di Carlo III° di Durazzo, celebre per aver portato il regno al declino e nota per la lunaticità di temperamento nonché per i costumi dissoluti. Un’altra variante della leggenda pone in relazione il castagno, sempre a causa di un temporale, con l’imperatrice Isabella d’Inghilterra, terza moglie di Federico II e i suoi cento cavalieri.
Nel 1780 il naturalista padovano Alberto Fortis studio l’albero nella sua opera Della coltura del castagno e lo trovò degradato. A tal proposito va ricordato come il Castagno dei Cento Cavalli sia all’origine di quello che può considerarsi uno tra i primi atti – se non il primo in assoluto – di tutela ambientale prodotti in Sicilia. Parliamo di un atto dal «Tribunale dell’Ordine del Real Patrimonio di Sicilia», emanato il 21 agosto 1745, con il quale si tutelava istituzionalmente il Castagno dei Cento Cavalli ed il vicino Castagno Nave. Ecco cosa vi si legge, fra l’altro: « …Or volendo noi che a somiglianti alberi non s’irrogasse il minor danno, o nocumento sia con tagli, sia con fuoco, sia con altra incisione, o sfrondamento che ridondar potesse in lor pregiudizio, ma che soltanto si conservassero illesi, et intatti da chiunque dannifera invasione, per scorgersi in ogni tempo con pari piacere, e maraviglia la smisurata, straordinaria loro mole; fidati sul vostro zelo, et accortezza specialmente sulla cura indossata di detto Bosco, abbiamo stimato far a voi le presenti con le quali ordiniamo di dover con tutta diligenza, et ugual premura invigilare a che non fosse apportato ai cennati alberi di Castagno, o di altra sorte che siino, danno, o pregiudizio alcuno, o con tagli, o con fuoco, o con altra forma, e maniera che potesse andar da inferirgli il loro decadimento; ma che venissero custoditi, e curati con tutt’attenzione, conforme ce lo persuadiamo dalla vostra buona condotta; imponendo delle pene pecuniarie, personali, carcerazioni, o altro a’ Campieri, Guardiani; e Gabelloti, di esso Bosco, affin di accertarsi l’intento della conservazione di detti alberi, e mantenersi con ciò sempre più viva e recente la memoria di una tale naturale maraviglia, che è di stupore ad ognuno, e di decoro a questo Regno: mercé noi in vigor delle presenti vi concediamo tutta la facoltà e potestà necessaria e le nostre veci ancora in disponere ciò che voi giudicherete proprio, e corrispondente alla conservazione di detti alberi, a non altrimenti.»
Il fondo dove sorge il castagno era di proprietà di alcune famiglie della nobiltà locale e venne usato come luogo di banchetti per ospiti illustri. Solo nel 1965 l’albero fu espropriato e dichiarato monumento nazionale, e solo alla fine del XX secolo è stata seriamente avviata una serie di studi e provvedimenti per tutelare e conservare il castagno.
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Altri alberi secolari nelle vicinanze: se vi capita di andare da quelle parti, sappiate che a circa quattrocento metri dal grande castagno se ne trova un altro con almeno mille anni di vita, il Castagno Nave (chiamato anche Castagno S.Agata o Arrusbigghiasonnu – risveglia sonno – forse per il cinguettio degli uccelli o forse per le fronde basse che destavano improvvisamente dal sonno qualche carrettiere passante). Questo castagno sarebbe, secondo alcuni studi, il secondo per antichità e grandezza in Italia. La circonferenza misura 20 m ed è alto 19 m. Sempre sul versante orientale dell’Etna, ma in territorio di Zafferana Etnea, potete vedere un leccio quasi millenario: l’Ilice di Carrinu, con circonferenza di 4 m e altezza di 19 m.
IL LUOGO