di Rossella Mazzotta
Per chi vuole vivere la natura in modo rilassante, alla ricerca di splendidi panorami e della tranquillità che solo i boschi possono dare, la meta ideale è il Monte Vulture (m.1326 slm), un vulcano spento che si trova nel nord della Basilicata, la cui attività si è interrotta in epoca preistorica. Questo antico vulcano, con le sue eruzioni e colate di lava, ha arricchito le terre ad esso circostanti ed è su queste che si coltiva un vitigno autoctono da cui si produce un vino rosso nobile: l’Aglianico del Vulture, una delle eccellenze enologiche italiane. Grazie alla presenza di molte sorgenti d’acqua, questo territorio è diventato anche il luogo di produzione di acque minerali da parte di importanti marchi commerciali.
Ai piedi del Monte Vulture sono situati il Lago Piccolo ed il Lago Grande di Monticchio, entrambi di forma circolare, divisi tra loro da un piccolo istmo ma collegati da canali sotterranei. Il primo è tutelato da una Riserva Naturale Regionale che lo colloca tra le aree protette della Basilicata e fra la ricca fauna che ne popola i boschi circostanti annovera il lepidottero Brahmaea europaea (scoperto proprio in questo luogo dal ricercatore alto-atesino Federico Hartig, nel 1963) una farfalla notturna di grandi dimensioni, unica specie della famiglia delle Brahmaeidae presente in Europa.
Nel Lago Piccolo si riflette l’Abbazia di San Michele Arcangelo, eretta dai Benedettini nel X secolo su una grotta frequentata da eremiti Basiliani nei cui pressi sono stati ritrovati depositi votivi risalenti al IV-III secolo a.C. Il luogo sacro, raggiungibile attraverso un caratteristico sentiero tra i fitti boschi, fu lasciato dai Benedettini nel 1452 e passò successivamente ai Cappuccini che vi fondarono anche una biblioteca e un lanificio, mentre dal 1782 al 1866 è appartenuto all’Ordine Militare Costantiniano. Tuttora meta di pellegrinaggio, l’Abbazia si presenta come un imponente edificio che comprende l’antica Cappella di S. Michele (ricavata all’interno di una grotta in tufo nella quale sono presenti tracce di affreschi dell’XI sec.), un convento e una chiesa settecentesca. Nei primi due piani dell’edificio ha sede il Museo di Storia Naturale del Vulture con una sezione dedicata proprio alla farfalla Brahmaea. Il panorama che si ammira dall’edificio è straordinariamente suggestivo, spaziando sulla verde superficie del lago e sulle fitte faggete che ne circondano le rive (Per visite organizzate al museo: 0972.731028 – email: museodelvulture@provinciapotenza.it).
Poco distanti dall’Abbazia di San Michele, tra i due laghi, vi sono i resti di un altro luogo di culto che ebbe rilevanza nel Medioevo. Si tratta delle rovine dell’Abbazia di S. Ippolito, fondata da monaci basiliani tra l’XI ed il XII secolo. Ai basiliani, allontanatisi dal Vulture con l’arrivo dei Normanni, subentrarono i Benedettini che trasformarono l’antico monastero in una loro badia. Il terremoto del 1456 la distrusse in gran parte per cui i religiosi furono costretti ad abbandonarla. Dell’abbazia oggi restano visibili solo alcuni pilastri e le absidi della chiesa.
Tutta la zona dei Laghi di Monticchio è ricca di itinerari escursionistici immersi in uno stupendo scenario di foreste e vegetazione rigogliosa, tra faggi, castagni, querce e conifere. Si tratta di percorsi ad anello, ben segnalati, che si imboccano nei pressi dell’Abbazia di S. Michele e sono percorribili sia a piedi sia in fuoristrada. Alcuni di essi ripercorrono le orme dei “briganti di Crocco”, ossia la banda che nel periodo risorgimentale vide a capo il celebre brigante Carmine Donatelli detto “Crocco”, nascosto in questi fitti boschi e sempre pronto a controllare dall’alto i movimenti dei soldati che gli davano la caccia.
La terra del Vulture è stata teatro di una guerra dimenticata che ha insanguinato tutto il meridione d’Italia e che è iniziata dallo sbarco di Garibaldi in Sicilia con i Mille, al cui fianco lottarono, contro il dispotismo Borbonico anche molti “briganti” lucani, calabresi e pugliesi. Si trattava di gruppi di fuorilegge e latitanti, nonché di perseguitati politici, che sfuggivano la giustizia e si nascondevano nei boschi. Vivevano perpetrando furti, saccheggi e sequestri a scopo di estorsione a danno dei latifondisti, ed uccidevano per mandato o per vendetta.
Con l’Unità d’Italia le popolazioni meridionali, deluse dal nuovo governo italiano nelle loro speranze di possedere la terra, e per l’aumento della pressione fiscale, lo contrastarono con una sanguinosa rivolta. Scoppiarono così moti e tumulti a catena. L’obbligo all’arruolamento alimentò il brigantaggio, che assunse un carattere diverso da quello tradizionale associato per lo più ad un’immagine criminale, acquisendo non di rado valore sociale e politico. Spesso i briganti godevano dell’aiuto delle popolazioni locali, le quali vedevano in loro un simbolo di reazione contro le ingiustizie e i soprusi che erano costrette a subire.
Il Vulture è stato il territorio strategico per i movimenti militari della banda di Carmine Crocco, originario della zona. Egli era esperto di guerriglia, conosceva perfettamente i luoghi e si muoveva con estrema rapidità tanto da sfuggire alle forze dell’ordine e dileguarsi tra i monti, dove nascondeva veri e propri depositi di armi e di denaro. Nascondigli privilegiati erano soprattutto delle grotte naturali, alcune delle quali ancora note ai contadini della zona. Dopo l’Unità d’ Italia la banda crebbe di numero e arrivò a contare anche duemila uomini. Tra le sue fila erano aggregati anche altri noti briganti e moltissimi ex soldati borbonici. A questo gruppo di briganti successivamente si affiancò quello di Josè Borjes, il generale catalano che perseguiva il fine di rinfocolare la reazione borbonica nel Mezzogiorno. I briganti combatterono contro l’esercito sabaudo costituito da 120.000 soldati. Il colpo decisivo al brigantaggio venne dal varo della legge Pica e da un apposito piano militare in grado di dissolvere qualsiasi resistenza.
Le lotte durarono fino al 1865, lasciando sul campo circa 20.000 morti con tanta violenza da entrambe le parti. Così terminavano gli anni più accesi della lotta brigantesca e Carmine Crocco, condannato a morte a Potenza l’11 settembre del 1872, scontò il carcere a vita nel bagno penale di Portoferraio dove dettò le sue memorie: La mia vita da brigante.
La figura di Carmine Crocco ha ispirato vari autori, dalla tv, al cinema alla musica: su di lui è stato ad esempio realizzato il documentario “Carmine Crocco, dei briganti il Generale” a cura di Antonio Esposto e Massimo Lunardelli, mentre il regista Pasquale Squitieri nel 1999 si è ispirato alle sue vicende per il film “Li chiamarono…Briganti”, fedele ai fatti storici; in ambito musicale il gruppo Musicanova ha inciso un album dal titolo “Briganti se more”, contenente il brano “Il brigante Carmine Crocco”. Insomma un vero mito ‘moderno’ che in un periodo come quello attuale, di vivace revisionismo storico filoborbonico e antisabaudo, è tornato fortemente di moda.
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