Un piccolo fiume custodisce a Taranto la leggenda dell’origine della città e le ancora attuali tracce di un misterioso rito terapeutico
di Redazione FdS
Come scrive Anna Ferrari nel suo bel “Dizionario dei luoghi del Mito” (ed. BUR) “ogni luogo ha i suoi miti e ogni mito ha i suoi luoghi: non si danno gli uni senza gli altri. Collocare un racconto mitico nel suo sfondo geografico ne restituisce la cornice, riportando alla luce il volto nascosto dei luoghi.” Prendendo spunto da questa riflessione, FAMEDISUD vi racconterà – in vario modo: con immagini, testi, video – “le storie favolose, le vicende degli abitanti che, nelle città perdute, nei centri archeologici, tra le rovine del passato, non si possono vedere”. E’ un modo per offrirvi uno sguardo diverso su alcuni luoghi che incontriamo nella quotidianità attraversando le nostre contrade del Sud, facendovi così scoprire una “storia nascosta” divisa fra realtà e fiaba, dipanata lungo il magico confine fra umano e divino, naturale e soprannaturale. E forse vi accorgerete che quel fiume che intravedete ogni giorno non è soltanto un semplice fiume lungo il quale magari qualche vandalo riversa i suoi rifiuti o un paese sversa le sue fogne; quel monte non è più una semplice altura coperta di alberi che osserviamo distratti correndo in macchina verso le mete della nostra routine quotidiana….ma molto di più; questi luoghi – e come essi, tanti altri – sono cioè espressione di quella magica unione fra natura e cultura che l’Italia in generale, e il Sud in primis, possono vantare come pochi altri posti al mondo. Luoghi che, diventati indifferente sfondo della quotidianità di chi ci vive, hanno invece nei secoli scatenato la fantasia, la creatività, le emozioni, di intere schiere di viaggiatori, artisti, letterati. Sono i luoghi del Mito, luoghi cioè dove l’uomo ha concentrato quei potenti simboli che un tempo gli hanno permesso di riconoscersi. Sarebbe forse il caso che anche noi ci riappropriassimo di queste suggestioni ancestrali, di queste tracce per lo più immateriali che forse possono aiutarci nella ricomposizione del mosaico di un’identità perduta.
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Iniziamo col parlarvi proprio di un fiume, il Tara, che attraversa il territorio della città pugliese di Taranto prima di gettarsi nelle azzurre acque del Mar Jonio. E’ un omaggio che facciamo ad una città che, come poche altre, ha scritto intere pagine di storia della cultura ma che oggi è costretta a contare i propri morti e un declino ambientale e sociale maturato nell’arco di decenni a causa di una colpevole incuria che ha consentito di sacrificare sull’altare del profitto di pochi l’integrità del corpo e dello spirito di una città e del suo territorio.
E’ giunto infatti il momento di ripensare Taranto sulla base di ciò che ha rappresentato per la cultura occidentale e per quanto ancora ha da offrire sotto tanti punti di vista, rinunciando ad identificarla con la pagina forse più nera della sua storia plurimillenaria.
Ma ridiscendiamo lungo le sponde del suo fiume eponimo, quel fiume che in alcune occasioni è comparso fra le segnalazioni dei Luoghi del Cuore del FAI (Fondo per l’ambiente italiano) e del quale una utente della Rete, a commento di tali segnalazioni, ha scritto: “il fiume nonostante l’Ilva e tutte le altre industrie inquinanti…si manifesta nella sua pura bellezza..Espressione di una forza divina?” Ed ecco il Mito che compare…”una forza divina”…Dunque Taranto ha il suo piccolo Nilo, il suo piccolo Sebeto, il suo piccolo Alfeo…e noi ve lo raccontiamo con alcune note storiche e alcuni video, perchè le immagini in movimento comunicano più di mille parole.
Il Tara nasce a circa 10 km da Taranto, per la precisione in corrispondenza della Gravina di Leucaspide. Ed ecco nomi che già profumano di grecità classica. Leucaspide: “λευκός ἀσπίς”, scudo bianco. Il corso d’acqua è la manifestazione di un fenomeno carsico: si tratta delle acque provenienti dalle Murge che, scorrendo sotto terra nel calcare fessurato, affiorano quasi in prossimità del mare. Il Tara, alimentato da polle perenni, ha una portata di 3000 litri al secondo, quasi costante durante tutto l’anno, così come la sua temperatura che oscilla sempre tra i 13 °C e i 18 °C.
Secondo la leggenda, circa 2000 anni prima della nascita di Cristo, il giovane Taras sarebbe giunto con una flotta di Tirii e Cretesi presso il corso d’acqua, che da lui stesso avrebbe preso il nome. Sempre secondo la leggenda, Taras avrebbe quindi edificato una città prima di scomparire nelle acque del fiume e di essere assunto fra gli eroi dal padre Poseidone. Taras infatti era figlio del dio del mare e della ninfa Satyria ed aveva poi sposato Satureia, figlia di Minosse re di Creta. Per scendere ancor più nei meandri della leggenda che lo pone in relazione al fiume tarantino, aggiungiamo che mentre il giovane si trovava sulle rive italiche dello Ionio, un giorno che compiva sacrifici per onorare suo padre Poseidone, si dice gli sia apparso improvvisamente un delfino, segno che interpretò di buon auspicio e di incoraggiamento per fondare una città da dedicare a sua madre Satyria o a sua moglie Satureia e che chiamò quindi Saturo, località realmente esistente di cui rimangono significativi resti archeologici. Secondo la tradizione, nell’VIII secolo a.C., in quello stesso luogo approdarono i coloni greci provenienti da Sparta e guidati da Falanto, i quali, sottratto il territorio agli Iapigi, fondarono più tardi la città, che chiamarono Taranto proprio in onore di Taras.
Ma le memorie remote del fiume Tara non finiscono qui.
Nel I secolo a.C. su questo fiume avvenne la riconciliazione tra Ottaviano e Antonio per opera di Ottavia, sorella del primo e moglie del secondo, la quale visse a Taranto dopo essere stata ripudiata da Antonio a favore di Cleopatra, regina d’Egitto. Nel Medioevo il fiume venne sfruttato dai monaci benedettini e poi olivetani del vicino Monastero di Santa Maria della Giustizia. In epoca relativamente più recente, si ebbe la famosa battaglia del 1594 tra Cristiani e Turchi (nella località Piantata Scardino), che volevano invadere l’agro di Massafra; la popolazione massafrase riuscì a sconfiggere e mettere in fuga i Saraceni che pure erano riusciti a distruggere le torri di guardia poste lungo le due sponde del fiume: la Torre del Tara e la Torre Pezze di Tara. Questa vittoria veniva rievocata con una cavalcata detta Scammisciata, durante la quale si svolgevano tornei in costume, ma la ricorrenza fu sospesa dai Borboni. Tuttavia i cittadini la fecero rivivere sotto forma di processione in onore dei Santi Medici e di San Michele Arcangelo.
Alle acque del Tara la popolazione attribuisce da sempre anche virtù terapeutiche, considerandole rimedio efficacissimo contro le malattie dei nervi, sebbene non manchi chi vi ricorre per curare un’ernia, i reumatismi o persino malattie ben più gravi. Fino agli anni ’50 del Novecento il fiume annoverava ben due stabilimenti balneari, Lido Venere e Pino Solitario, in quanto dalla città e dai paesi vicini la gente si recava numerosa al fiume per bagnarsi nelle sue fredde acque e cospargersi il corpo con i suoi fanghi. All’origine di questa frequentazione del fiume vi è una antica leggenda secondo la quale un contadino portò un vecchio asino malato a morire lungo le sue sponde, ma ripassando dopo qualche mese rivide l’animale risanato proprio dalle acque del fiume. Legata alla pratica dei bagni terapeutici è un rito collettivo, ancora oggi seguito, che il 1 settembre di ogni anno vede gruppi di persone devote alla Madonna del Tara – raffigurata in una piccola statua posta lungo la riva e rievocante una misteriosa icona lignea della Vergine ritrovata un tempo sul fondo del corso d’acqua – immergersi all’alba recitando il rosario tutti insieme per ringraziare Dio della buona salute concessa e propiziarsi un futuro senza malattie (i fautori di questa tradizione di sacralità del fiume Tara, nel 2008, hanno coinvolto anche un lama tibetano, il Ven. Ghesce Namgyal giunto con alcuni monaci a benedire il fiume nell’ambito di una cerimonia promossa dall’Istituto Jangtse Thoesam di Leporano (Taranto) e documentata dalle immagini di Gianna Tarantino (v. il secondo video a fondo pagina). Un relitto culturale di grande interesse antropologico, un frammento di autenticità tarantina, che testimonia la persistenza del “rito” (è la “tenacia” del sacro di cui parla lo storico Jacques Le Goff) a dispetto delle più radicali trasformazioni ambientali e sociali.
Dal 1950 le acque del fiume Tara sono utilizzate per l’irrigazione dei campi, per la raccolta dei giunchi che crescono in abbondanza lungo le sue sponde e, dagli abitanti di Massafra, per intrecciare cesti e sporte…arriviamo così ad un presente in cui la poesia lascia spazio al non meno significativo ruolo del lavoro umano che, entro certi limiti, riesce ad armonizzarsi col paesaggio circostante, come dimostrano secoli di civile pratica agraria da parte dei contadini italiani. Ma ecco che lì, sullo sfondo, domina il “mostro d’acciaio” chiamato Ilva, che se per decenni ha dato lavoro a centinaia di famiglie tarantine, ha nello steso tempo oltraggiato la bellezza di parte del contesto territoriale in cui scorrono il Tara e il Galeso (altro fiume tarantino ricco di memorie di cui vi parleremo in una prossima occasione), fiumi che più che per inquinamento vero e proprio (diffusa infatti è la balneazione nelle acque del Tara) soffrono di abbandono, un abbandono tanto più colpevole perchè frutto dell’indifferenza e dell’oblio di chi finora ha retto le sorti della città.
Per chi voglia approfondire, su You Tube sono disponibili due VIDEO: “Il fiume Tara come non lo avete mai visto” e “La benedizione del Tara impartita dal Lama Ghesce Namgyal – Foto di Gianna Tarantino”
Sull’argomento si segnala anche “Tara, il fiume dei miracoli”, bellissimo volume fotografico del Collettivo DAV, formato da Dalila Ditroilo, Antonio Maria Fantetti, Vito Bellino. L’opera è curata e distribuita da Der*Lab, acronimo di Doll’s Eye Reflex Laboratory. Degli stessi autori è anche l’omonimo video disponibile sulla piattaforma Vimeo.
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