di Enzo Garofalo
Scende la sera sulla Chianalea di Scilla e acccende di liquidi bagliori azzurrini gli anfratti fra le case, i cordami ammassati e le buie lampare. Il vento lentamente comincia a levarsi e scoraggia l’uscita al largo. Quell’azzurro velato di foschia è il tenue riflesso del mare che qui sposa la pietra in un perenne amplesso, ora lieve ora violento, e quando l’acqua schiaffeggia le finestre, inonda i cortili, invade le darsene, il luogo sembra trasformarsi in un paese per esseri anfibi usciti dalla fiaba mediterranea di Colapesce…Ecco, ora il vento comincia ad aumentare…preannuncia la grande mareggiata di domani, qui nella Piana delle Galee…e sotto gli scogli del Castello Ruffo già s’ode il sordo ruggito della mostruosa Scilla che fa da sentinella immortale al vortice Cariddi….
SPETTACOLARE MAREGGIATA A SCILLA
“Oh viandante che percorri queste contrade, sappi che un tempo io fui la ninfa Scilla, figlia di una dea di nome Crateide…vivo da sempre su queste sponde calabre donde ero solita spingermi fin sulla spiaggia di Messina per fare il bagno nell’acqua del mare. Una sera, nei pressi della riva, vidi apparire dalle onde Glauco, figlio di Poseidone, che un tempo era stato un mortale, ma ormai era un dio marino metà uomo e metà pesce. Terrorizzata alla sua vista, mi rifugiai sulla vetta di un monte che sorgeva vicino alla spiaggia. Il dio a cui ero sfuggita cominciò ad urlarmi il suo amore, ma io fuggii lasciandolo solo, immerso nel suo dolore. Allora Glauco si recò all’isola di Eea dalla maga Circe e le chiese un filtro d’amore per farmi innamorare di lui, ma quella donna egocentrica, desiderando il dio per sé, gli propose di unirsi a lei. Glauco si rifiutò di tradire il suo amore per me e Circe, furiosa per essere stata respinta a causa di una mortale, volle vendicarsi. Quando Glauco se ne fu andato, preparò una pozione malefica e venne lungo la spiaggia di Messina, versò il filtro in mare e ritornò alla sua dimora. Quando arrivai e mi immersi nell’acqua, vidi crescere intorno a me con sommo orrore mostruose teste di cani. Spaventata fuggii fuori dall’acqua ma mi accorsi che i cani erano attaccati alle mie gambe con un collo serpentino. Capii allora che sino al bacino ero ancora una ninfa ma al posto delle gambe spuntavano sei musi feroci di cane. Per l’orrore mi gettai in mare e trovai rifugio nella cavità di uno scoglio vicino alla grotta dove dimorava Cariddi…”
“…Io invece fui la naiade Cariddi, figlia di Poseidone e Gea, dedita alle rapine e famosa per la mia voracità. Un giorno rubai ad Eracle i buoi di Gerione e ne mangiai alcuni. Allora Zeus mi fulminò facendomi cadere in mare, dove mi mutò in un gigantesco mostro simile ad una lampreda, e da allora creai un vortice marino con la mia immensa bocca, capace di inghiottire le imbarcazioni di passaggio…”
“…Entrambe diventammo così il terrore delle navi che imboccano lo Stretto, costrette come sono a passare accanto ad almeno una di noi due…gli Argonauti riuscirono a scampare al nostro pericolo perché guidati da Teti, madre di Achille e nereide anch’ella…e Odisseo, forte d’una astuzia che non lascia scampo, preferì affrontare me, Scilla, per paura di perdere la nave passando vicino al gorgo di Cariddi…Mangiai sei dei suoi compagni, senza pietà…altri perirono nel gorgo di Cariddi…ma Lui riuscii a sfuggire alla mia Ira…Invocò mia madre Crateide affinchè mi trattenesse dall’aggredirlo…e così passò oltre il nostro fatale varco…Io non sono mai andata via dal mio antro, né Cariddi dalle sue acque, ma ora siamo innocue, eppure solo in pochi osano sfidare il nostro tratto di mare…solo i coraggiosi alla disperata ricerca di se stessi…”
IL LUOGO
Scilla, Scilla, la Venezia del Sud.
Mi piacerebbe viverci x sempre, ascoltando solo una musica: quella proveniente dal mare, che si confonde con quella del cuore…