Nel 2019 andrà in mostra per la prima volta la Collezione dei Tessili, rarissimi resti di tessuti ritrovati a Pompei ed Ercolano. Indagini inedite hanno svelato sorprendenti informazioni sulla loro fattura
di Redazione FdS
Mentre al Museo Archeologico Nazionale è in corso la mostra dedicata alla Collezione dei Commestibili, ossia ai reperti di archeobotanica riemersi dalle ceneri dell’eruzione che distrusse Pompei ed Ercolano nel 79 d.C., è già in programma l’esposizione che nell’estate del 2019 farà conoscere al mondo per la prima volta la Collezione dei Tessili, che fin dal ‘700 raccoglie rarissimi resti di tessuti ritrovati nelle due città distrutte dal Vesuvio. La particolare natura dei materiali tessili, ha fatto sì che essi difficilmente si conservassero fino ai giorni nostri. Gran parte dei tessuti antichi sono stati infatti mangiati da insetti, sono marciti in ambienti umidi o semplicemente si sono deteriorati con l’uso. Questo rende pertanto unico al mondo il patrimonio preservatosi a Pompei e per gran parte oggi custodito nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
In vista della prossima mostra-evento, la scorsa primavera il MANN ha presentato al Salone biennale dell’Arte e del Restauro di Firenze i risultati di indagini inedite avviate su 150 reperti, parecchi anche in fili d’oro, provenienti dall’area vesuviana. “Il MANN ha affidato all’Opificio delle Pietre Dure il restauro della Collezione dei Tessili, e avviato una Convenzione con il Dipartimento di Architettura e Disegno Industriale dell’Università Vanvitelli per lo studio di un concept di allestimento che nel 2019 metterà per la prima volta in mostra la preziosa collezione e l’affascinante storia della cultura tessile antica che essa custodisce – ha spiegato il direttore del MANN Paolo Giulierini che ha illustrato al Salone fiorentino, con la responsabile dell’ufficio restauro Luigia Melillo, il percorso intrapreso per tutelare e valorizzare uno dei lasciti più interessanti e sino ad ora meno esplorati della cultura romana. La mostra, ha aggiunto Giulierini, “sarà il culmine di un progetto di ricerca scientifica che grazie alla tecnologia indaga sulla composizione delle fibre e i processi di lavorazione, anche al fine di individuare le più adeguate tecniche di conservazione”.
I REPERTI
Fra i materiali di maggior rilievo presenti nella Collezione, oltre ai resti di tessuto in fili d’oro, troviamo un rocchetto di legno con filo di seta; un panno tessuto in amianto proveniente dalla necropoli di IV sec. a.C. di Vasto; fili di asbesto pronti per la tessitura; il “fiocco”, un insolito oggetto la cui funzione è ancora ignota; un frammento di tessuto in porpora e oro realizzato con un’armatura a tela e decorato con fili o lamine auree, il più antico rinvenimento del genere nell’area occidentale dell’Impero (ma usato soprattutto in Oriente); un tessuto di seta lavorato a maglia che una recente indagine al radiocarbonio ha datato tra il XV e il XVI secolo. Le indagini, ancora inedite, condotte con sofisticati strumenti tecnologici allo scopo di analizzare la natura e la morfologia dei resti campionati, hanno permesso di documentare, tra l’altro, che la seta del rocchetto è seta selvatica prodotta dal lepidottero bombilis e che gli spessi filamenti che costituiscono il “fiocco” sono aghi di pino.
Tutti i reperti sono stati affidati all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze per il restauro. “Particolarmente complessa e finora quasi sconosciuta, la Collezione dei Tessili troverà dunque per la prima volta la sua degna valorizzazione, e ciò grazie all’iniziativa del direttore Giulierini”, ha detto la d.ssa Melillo, che ha seguito le operazioni di restauro per conto del Museo di Napoli. “Grazie a un Protocollo d’Intesa e a una convenzione sottoscritti con il Dipartimento di Architettura e Disegno Industriale dell’Università Vanvitelli, – ha aggiunto la studiosa – stiamo lavorando anche con gli studenti sia per lavori di tesi sia per la creazione di un data base di informazioni su tessuti personali e d’arredo tratti dall’esame dei nostri affreschi”.
LA STORIA
Certamente non dovette essere semplice per gli antichi scavatori riconoscere i materiali organici, tra i quali vi erano appunto i resti tessili, non essendo mai stati scavati prima di allora. Eppure essi recuperarono con solerzia vari naturalia quali pezzi di pane, frutta, colori, cereali, semi, intrecci di paglia e gli stessi resti tessili, che confluirono nel Gabinetto degli Oggetti Preziosi, già presente nell’Herculanense Museum ubicato nella Reggia di Portici, prima sede delle raccolte pompeiane; una collezione di “curiosità” unica al mondo che solo i Re di Napoli potevano vantare. Il Gabinetto nell’estate del 1817 risultava comunque già trasferito a Napoli e visitabile nel Palazzo dei Vecchi Studi che dal 1816 aveva assunto il nome di Real Museo Borbonico. Attualmente, i tessuti in fili d’oro e gli altri tessili sono conservati presso il Medagliere in apposite camere climatizzate.
I MATERIALI
Alquanto varia è la tipologia dei materiali schedati, che includono lino, lana, seta, canapa, corda, paglia, sparto, bambagia. Fanno parte della Collezione anche due eccezionali e rari resti tessili in amianto: si tratta di una tela più volte ripiegata che conserva ancora la flessibilità e di fili di asbesto pronti per essere filati (provengono da una tomba rinvenuta nel 1835 a Vasto in Abruzzo, allora nel Regno di Napoli).
L’utilizzo di tessuti in amianto è attestato fin dall’antichità. “Amiantus alumini similis nihil igni deperdit; hic veneficiis resistit omnibus” (“l’amianto, simile all’allume, non si consuma a causa del fuoco ed è in grado di resistere a tutte le stregonerie, comprese quelle dei maghi”): così scriveva Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia (36, 139) definendo quel tessuto “lino vivo” che non brucia, sostanza rara e preziosa utilizzata nella confezione dei manti funebri dei Re perché ne preservava le ceneri. Plinio parla anche della proprietà di isolante acustico dell’amianto e ricorda “abbiamo visto tovaglioli fatti con quel tessuto ardere nei bracieri dei banchetti per venire poi fuori, bruciata ogni traccia di sporco, resi dal fuoco più candidi di quanto avrebbe potuto fare l’acqua…Questo materiale, quando lo si trova, raggiunge il valore delle perle più pregiate” (Naturalis Historia XIX, 4).
LA SETA
Possedere un indumento in seta fu uno dei più ambiti status symbol dei ricchi romani di età imperiale. Il tessuto arrivava a Roma da Oriente sebbene essa non fosse mai entrata in contatto con la Cina se non tramite ambascerie, che comunque garantivano una conoscenza reciproca di usi e costumi. Beni di lusso, quali la seta e le spezie esotiche, approdavano infatti a Roma dopo essere giunte in Occidente attraverso la Via della Seta, in uno scambio economico e culturale mediato dai Parti. In Cina l’allevamento del baco e la produzione della seta sono attestati già migliaia di anni prima di Cristo, ma anche nel Mediterraneo, almeno dal 1850 a.C. circa – come dimostrano scavi condotti a Pyrgos-Mavroraki sull’isola di Cipro, ove si lavorava un filato prodotto dal lepidottero Tortrix viridens – erano diffuse stoffe trasparenti e variopinte di seta selvatica tessute, in particolare, nelle isole greche di Coo, l’attuale Kos, e Amorgo. Erano tessuti ricercati, un vero e proprio strumento di seduzione, che poneva in gran risalto il corpo femminile mostrandolo quasi nudo, come scrive Aristofane nella Lisistrata. Roma tuttavia si rifornì di seta soprattutto dall’Oriente, grazie alla Via della Seta attiva dal I sec. a.C. in poi. Pare che i Romani abbiano conosciuto per la prima volta la seta cinese grazie agli stendardi strappati ai Parti nella battaglia di Carre del 53 a.C., divenendo poi i principali consumatori di questo ricercato tessuto. Lungo la celebre Via potrebbe aver transitato anche la splendida Tazza Farnese, capolavoro dell’arte glittica del II sec. a.C. oggi custodito nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Un disegno di Mohammad Al-Khayamm, artista attivo ai primi del XV secolo ad Herat e a Samarcanda, ha fatto pensare, infatti, a un passaggio in Oriente della Tazza nella collezione di qualche alto dignitario timuride.
FILI D’ORO
La Collezione dei Tessili comprende anche una decina di frammenti di tessuti e reticelle realizzati con fili d’oro, dalla lavorazione complessa e laboriosa. Spianate a martello fino allo spessore di mm 1, le lastrine in oro puro venivano inserite tra budelli di bovino opportunamente lavorati e ammorbiditi. Questa sorta di “libretto” era a sua volta avvolto interamente in una pergamena e, quindi, ulteriormente battuto per assottigliare maggiormente le lastrine in oro che in esso erano collocate. Con tale procedimento si ricavavano foglietti dai quali si ritagliavano fili sottilissimi che venivano poi avvolti su rocchetti per agevolarne l’uso. Tra i frammenti di tessuto in fili d’oro si segnalano una fascia ripiegata più volte su se stessa, perfettamente conservata, sottilissime reticelle e numerosi nastri. Il lemnisco, il nastro in origine di lino poi di stoffe preziose e, infine, tessuto d’oro e d’argento, non era utilizzato solo per l’ornamento personale o per l’abbigliamento ma serviva anche a ornare le corone militari e trionfali in segno di particolare onore.
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