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di Alessandro Novoli
Nella nostra ricognizione dei fenomeni rituali e folklorici legati al culto dei morti, iniziata nel 2015, si aggiunge una tappa irrinunciabile, la Campania, terra anch’essa di tradizioni antichissime e di stratificazioni culturali legate alla sua storia plurimillenaria. Anche qui troviamo la diffusa credenza che vita e morte siano separate da una parete sottile e che in certi periodi dell’anno (Natale, Epifania e nelle notti che precedono il 2 novembre) si apra in essa una misteriosa via di comunicazione tra le due dimensioni. Ai morti – che abitualmente sopravvivono nel ricordo e nei sogni, spesso rivelatori, di chi rimane, ma anche in forme di culto privato che affondano le loro radici nelle antiche usanze di epoca romana come le Parentalia – in quei determinati giorni viene concesso di tornare nei luoghi dei loro affetti.
Mantenendo aperte tutte le ipotesi già formulate circa l’origine dell’usanza (v. sopra l’articolo introduttivo), anche in Campania troviamo la tradizione di accendere lumini e candele fuori dalle abitazioni in occasione delle festività dei defunti, e anche qui scopriamo che queste fonti di luce – utili ad illuminare le strade e ad indicare le case agli spiriti dei morti – venivano collocate in zucche cave, in un’impressionante analogia con la antica festa celtica di Samhain, oggi nota in tutto il mondo con il nome di Halloween. La tradizione è attestata soprattutto in Irpinia, nell’avellinese, ma la si ricorda anche nell’area di Salerno. Ad Avellino – come riferisce Aniello Russo, studioso di tradizioni e leggende dell’Irpinia – tra l’1 e il 2 novembre, c’era l’usanza di porre un bacile d’acqua sulla finestra di fianco ad alcune zucche illuminate da candele accese, formate col cerume di tutti i familiari raccolto durante l’anno. Un rito che si riteneva fosse in grado di richiamare le anime dell’aldilà: queste, allo scoccare della mezzanotte, sarebbero approdate sulla superficie dell’acqua contenuta nel bacile e, una volta radunatesi, avrebbero assistito nella chiesa del paese a una messa officiata da un prete defunto.
Altre zucche illuminate le troviamo a Somma Vesuviana (Napoli), sebbene non legate al periodo autunnale ma agli inizi di Agosto. Si tratta della celebre Festa delle Lucerne, durante la quale 10 vecchi vicoli del centro storico vengono decorati con fascine di rami di castagno, felci e zucche svuotate, ed illuminati soltanto da lucerne, più di quattromila, per l’occasione create da artigiani locali. Al di là del diverso periodo, che comunque – come afferma Roberto De Simone – coincide con “la morte dell’estate”, ossia la fine di un ciclo agricolo, riecheggiando ancestrali riti rustici, anche la zucca intagliata e illuminata di Somma Vesuviana rappresenta la forma in cui si manifestano i morti, come nota l’antropologo Marino Niola.
Ritornando nuovamente al periodo autunnale, e rievocando altre usanze legate ai defunti, scopriamo che a Napoli, ricordi risalenti all’ultimo dopoguerra – quindi decenni prima della recente diffusione popolare di Halloween, – ci raccontano come i bambini dei quartieri popolari, per l’occasione vestiti di stracci, andassero bussando agli usci delle case con una cassetta di cartone a forma di bara, detta “o tavutiello“, e formulavano l’invocazione “Fate bene ai Santi morti”. Era praticamente una questua, non dissimile dal “trick or treat” di Halloween, accompagnata da una filastrocca che recitava così: “Famme bene, pe’ li muorte: dint’a ‘sta péttula che ‘ce puórte? Passe e ficu secche ‘nce puórte e famme bene, pe’ li muorte” (Fammi del bene, in nome dei morti: in questo grembiule cosa porti? Porti uva passa e fichi secchi, dai, fammi del bene, in nome dei morti). In zone più interne della Campania i bambini chiedevano direttamente un dono specifico: “Cicci muorti!”, ossia i chicchi di grano fatti bollire e poi ripassati nel miele, un dolce povero dalle chiare valenze simboliche (i chicchi di grano sono il seme della vita che rinasce e un simbolo di fertilità e abbondanza), preparazione che ritroviamo in diverse zone del sud, come ad es. in Puglia dove prende il nome di colva e si prepara a Ognissanti con grano bollito, mandorle, noci, chicchi di melagrana, uvetta e vin cotto.
Anche in Campania era inoltre diffusa l’usanza di lasciare le tavole imbandite la sera del 31 ottobre per dare ristoro ai defunti che si credeva tornassero in visita nelle case dei loro cari ancora in vita. Diffuso, nella ricorrenza dei defunti, era infine l’uso del torrone dei morti, che le pasticcerie proponevano in vari gusti. Questi torroni erano spesso chiamati “morticini” per via della forma che richiamava una cassa da morto, ed erano oggetto di dono quali note dolci in una ricorrenza malinconica.
Quest’ultimo segmento, dedicato alla Campania, che conclude la nostra lunga ricerca sui riti italiani legati ai defunti, caratterizzati da forti analogie con la festa di Halloween diffusasi nel nostro Paese in epoca molto più tarda, conferma quanto sia importante riappropriarsi di quelle che l’antropologo Marino Niola ha definito “le ragioni e le radici delle biodiversità festive” che, come quelle alimentari, sono state “messe fuori mercato dal dilagare di un prodotto confezionato altrove e distribuito su scala multinazionale”. “Il trionfo di questo merchandising cerimoniale – dice Niola – conferma così il valore simbolico della zucca, che diventa emblema della sorte delle culture locali. Svuotate progressivamente e riempite di una polpa standard. Senz’anima, né sapore.”
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Bibliografia:
Claudio Corvino, Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità della Campania, Newton&Compton, Roma, 2002, 894 pp.
Roberto De Simone, Canti e tradizioni popolari in Campania, Lato Side, Roma, 1979, 222 pp.
Francesco Maria Morese, L’ eredità degli antenati. Il lascito ancestrale di Italici, Romani e Longobardi nel folklore di Salerno tra religiosità popolare e sopravvivenze pagane, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza, 2019, 326 pp.
Marino Niola, Si fa presto a dire cotto. Un antropologo in cucina, Il Mulino, 154 pp.
Aniello Russo, Fiabe e racconti popolari, Benito Petrillo, Avellino, 1991, 167 pp.
Domenico Silvestri, Saperi e sapori mediterranei: la cultura dell’alimentazione e i suoi riflessi linguistici , atti del convegno Napoli, 13-16 ottobre 1999: Volume 1, 1296 pp.
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