Caravaggio a Napoli: città-snodo delle peripezie di un dipinto, la Maddalena in estasi, identificato di recente in Europa

maddalena_caravaggio

La Maddalena in estasi identificata dalla studiosa Mina Gregori come l’originale di Caravaggio – Foto diffusa dal quotidiano La Repubblica

di Kasia Burney Gargiulo

Caravaggio testa part Il rapporto del celebre pittore Michelangelo Merisi da Caravaggio con Napoli è certamente noto a tutti gli estimatori di questo gigante della pittura, ma giova riassumerlo in concomitanza della recente notizia dell’avvenuta identificazione di un suo dipinto originale. Si tratta della Maddalena in estasi di cui esistono ben otto esemplari dispersi per il mondo ed uno solo di sua mano, finalmente rintracciato in Europa da una delle massime studiose del pittore, l’italiana Mina Gregori, che nei giorni scorsi ha svelato la notizia in esclusiva al quotidiano La Repubblica.

A Napoli l’artista lombardo giunse nel 1606 rimanedovi per un periodo relativamente breve ma fruttuoso. Fu di stanza ai Quartieri Spagnoli, preceduto da una fama nota in tutta la città. I nobili romani Colonna lo raccomandarono presso un ramo collaterale napoletano della loro famiglia: i Carafa-Colonna. Per l’artista fu questo un periodo fecondo di commissioni che lo portò a concepire, fra l’altro, capolavori straordinari come La flagellazione di Cristo, la Madonna del Rosario e le Sette opere di Misericordia.

Dopo una burrascosa parentesi maltese e siciliana, ritroviamo Caravaggio ancora una volta a Napoli nel 1609 e, tanto per non smentire la sua fama di artista “maledetto”, lo vediamo alle prese con alcuni uomini al soldo di un suo rivale maltese, vittima di un’aggressione all’uscita della Locanda del Cerriglio, occasione nella quale rimase sfigurato. Frattanto cominciò persino a circolare infondatamente la notizia della sua morte, che sfortunatamente avrebbe fatto seguito di lì a poco. Sono di questo secondo periodo napoletano opere eccezionali come il Davide con la testa di Golia, lavoro particolarmente significativa perchè ci mostra l’autoritratto dell’artista nelle sembianze della testa mozzata del biblico gigante (nella foto piccola sopra, il particolare), e il Martirio di Sant’Orsola considerato l’ultimo dipinto di Caravaggio giunto fino ai giorni nostri. La conclusione della sua vita, avvenuta il 18 luglio del 1610, è degna di un film e piena di punti oscuri.

La versione ufficiale vuole che Caravaggio abbia ricevuto presso la sua ospite a Napoli, la marchesa Costanza Colonna, notizia del fatto che papa Paolo V stava preparando una revoca del suo bando di condanna a morte (questa gli era stata comminata per l’uccisione del rivale Ranuccio Tomassoni da Terni, con il quale aveva avuto già in precedenza discussioni sfociate in risse). Nel luglio 1610 decise così di partire con una feluca-traghetto che con cadenza settimanale faceva la tratta Napoli-Porto Ercole e ritorno; suo obiettivo era quello di sbarcare segretamente allo scalo portuale di Palo di Ladispoli, nel feudo Orsini ed in territorio papale, a circa 40 km da Roma. Contava quindi di attendere lì il condono papale prima di ritornare a Roma da persona libera. Ma le cose non andarono come previsto. Come siano andate davvero forse non lo sapremo mai, ma intanto restano due ipotesi alternative che vale la pena citare.

Una prima ricostruzione vuole che al suo arrivo a Palo di Ladispoli fu sottoposto a fermo per accertamenti e che la feluca, sbarcato il pittore, proseguì per Porto Ercole portando con sè inavvertitamente il bagaglio dell’artista. Quel bagaglio conteneva il “prezzo” concordato dal Merisi col cardinal Scipione Borghese per la sua definitiva libertà, in particolare alcune sue tele, tra cui un prezioso quadro del Battista. Occorreva quindi recuperare per forza quel bagaglio: la tradizione vuole che gli Orsini gli abbiano offerto un’imbarcazione per raggiungere Porto Ercole e recuperare le sue cose e che l’artista vi giunse non trovando forse più la feluca-traghetto già di rientro a Napoli coi suoi bagagli ancora a bordo. Affaticato dal viaggio e ammalato di febbre alta, probabilmente per un’infezione intestinale, si sarebbe quindi fermato a Porto Ercole, accolto da una confraternita locale che il 18 luglio 1610 ne avrebbe certificato la morte avvenuta presso il locale sanatorio. Sarebbe quindi stato sepolto nella fossa comune del cimitero di San Sebastiano ricavata sulla spiaggia e riservata agli stranieri, lì dove nel  2002 è stato collocato un monumento a lui dedicato. Una seconda ricostruzione, presentata dal prof. Vincenzo Pacelli dell’Università di Napoli in occasione delle celebrazioni per i 400 anni dalla morte dell’artista, lo ritiene invece deceduto sulla riva laziale di Palo di Ladispoli, assassinato da emissari dei cavalieri di Malta, con il tacito assenso della Curia Romana; insomma una sorta di omicidio di Stato.

Comunque siano andate le cose, certo è che Caravaggio, partendo da Napoli, aveva con sè alcuni suoi dipinti, fra cui la Maddalena in estasi ritrovata di recente nella sua versione originale. Il quadro era sulla feluca diretta a Porto Ercole quel triste luglio del 1610 mentre oggi lo ritroviamo in una collezione privata europea dove Mina Gregori, allieva del grande Roberto Longhi, l’ha identificata come autentica. Nessuno l’aveva mai vista prima: il quadro mostra una fanciulla poco più che adolescente, a differenza della donna adulta che compare nella cosiddetta “Maddalena Klein” presente in una collezione romana, creduta fino ad oggi originale solo da alcuni studiosi, sebbene esposta come tale con l’approvazione del Ministero dei beni culturali. Molto simile all’originale ritrovato di recente è invece la copia che Louis Finson (1580-1617), un caravaggesco fiammingo, realizzò a Napoli e che oggi si trova al Musée des Beaux Arts di Marsiglia. Olte a questa macroscopica differenza, la Gregori evidenzia anche come nel dipinto inedito a parlare il linguaggio autentico di Caravaggio sia la “pennellata unica e vigorosa”, tipica dell’artista lombardo, con cui sono tratteggiate le lunghe pieghe della camicia. E poi c’è lei, la Maddalena, raffigurata con la testa abbandonata all’indietro, gli occhi semichiusi, la bocca leggermente aperta, le spalle scoperte, le mani giunte, i capelli sciolti e “un incarnato del corpo di toni variati, l’intensità del volto, i polsi forti e le mani di toni lividi con mirabili variazioni di colore e di luce e con l’ombra che oscura la metà delle dita”:  sono questi – dice la Gregori – “gli aspetti più interessanti e intensi del dipinto. È Caravaggio”.

Oltre a queste fondamentali valutazioni tecniche, a rendere certa l’attribuzione è stato il ritrovamento, sul retro del dipinto, di un foglietto tratteggiato con caratteri seicenteschi in cui si legge: “Madalena reversa di Caravaggio a Chiaia ivi da servare pel beneficio del Cardinale Borghese di Roma”. Da questo punto riparte quindi la ricostruzione degli spostamenti di quest’opera che, lo dicevamo prima, Caravaggio aveva con sè, insieme ad altri dipinti, nel suo viaggio da Napoli in direzione Porto Ercole. Fissata la data della sua morte al 18 luglio 1610, si è appreso dallo studioso Vincenzo Pacelli dell’esistenza di una lettera datata 29 luglio, ritrovata nell’Archivio Segreto del Vaticano, nella quale Diodato Gentile, vescovo di Caserta e Nunzio Apostolico del Regno di Napoli, comunica al cardinale Scipione Borghese, collezionista e protettore di Caravaggio, l’avvenuta morte dell’artista e gli parla anche della famosa “feluca” del viaggio da Napoli a Porto Ercole,  segnalando come su questa fossero trasportati anche tre quadri: “doi S. Giovanni e la Maddalena”. Sono proprio queste le opere che, una volta recuperate, furono affidate in custodia a Costanza Colonna, la marchesa amica del pittore che risiedeva a Napoli proprio nel quartiere di Chiaia citato nel biglietto ritrovato sul retro della tela appena riscoperta. La nobildonna napoletana si sarebbe dovuta occupare di far pervenire i dipinti al cardinale Borghese: uno si ritiene che possa essere il San Giovanni oggi esposto alla Galleria Borghese, l’altro è un secondo San Giovanni di cui si ignora il destino, e infine c’è la Maddalena, quella identificata da Mina Gregori.

Risulta difficile ricostruire il successivo passaggio da Napoli a Roma, o altrove, delle tre opere salvate. E’ altamente probabile che almeno la Maddalena abbia stazionato a Napoli per oltre un anno, se si considera che il succitato pittore fiammingo Finson realizzò qui la sua copia diretta, firmandola e datandola al 1612. Certamente però la Maddalena ad un certo punto è arrivata a Roma, come attesta un timbro di ceralacca della locale dogana presente sulla tela. Si tratta di un timbro – spiega Gregori –  in uso soltanto dalla fine del Seicento, per cui è da dedurre che il quadro sia arrivato a Roma solo in quel periodo, o addirittura all’inizio del secolo successivo.Dopo c’è il buio più totale, almeno fino a quando l’opera non compare nella collezione di una famiglia europea,nella quale si è tramandata per generazioni.

Mina Gregori, presidente della Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi di Firenze, è stata contattata proprio per verificare se il dipinto fosse o meno un originale di Caravaggio. Del resto la sua fama di grande esperta era già legata al Martirio di Sant’Orsola, oggi a Napoli, che la studiosa aveva attribuito al Caravaggio deccenni prima che emergessero delle prove documentali. Oggi – dice Gregori – l’unico luogo dove è ancora possibile scovare capolavori sono le collezioni private, come quella della famiglia che l’ha contattata per l’expertise, la quale al momento ha preferito rimanere anonima, nè è dato sapere se metterà mai a disposizione l’opera per una mostra. Criticando la smania diffusa di nuove attribuzioni caravaggesche, per evidenti ragioni di mercato, Gregori ha affermato che in questo caso la realtà è diversa, dicendosi sicura al cento per cento della paternità dell’opera, grazie alle ragioni tecniche esposte prima oltre che alla novità del soggetto mai rappresentato prima in un modo così particolare.

 

Rispondi

Il tuo indirizzo e-mail non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono segnalati *

*

Torna su