di Kasia Burney Gargiulo
Ieri vi abbiamo parlato dei più recenti sviluppi in Puglia del caso Xylella, il parassita che starebbe facendo strage di ulivi nel Salento. Vi abbiamo mostrato come la vicenda sia tutt’altro che chiara, come del resto testimoniano i fronti contrapposti di chi ritiene il parassita responsabile unico del processo di essiccazione degli ulivi e di chi, come l’agronomo Giuseppe Altieri (peraltro non unico a sostenerlo) attribuisce tale processo all’uso eccessivo e indiscriminato di fitofarmaci o all’incuria, fattori che alterano gli equilibri biologici delle piante indebolendole e rendendole attaccabili – con esiti letali – da agenti prima pressoché innocui per alberi in grado di vivere migliaia di anni. Si sono così create due fazioni: c’è chi paventa un’epidemia di portata europea e chi invece minimizza facendo notare come interi uliveti trattati con tecniche colturali biologiche stiano benissimo sebbene situati nel cuore della cosiddetta ”zona rossa” di presunti focolai di un contagio in espansione.
Nella giornata di ieri, alle notizie già diffuse nei giorni precedenti, come quella della nomina governativa di un Commissario Straordinario incaricato di gestire la situazione, si è aggiunta una voce ”nuova”, quella del PM che da ormai un anno si sta occupando presso la Procura di Lecce di un’inchiesta giudiziaria attivata da tutta una serie di esposti, presentati soprattutto dagli ambientalisti salentini, volti a far luce su un caso pieno di zone d’ombra. Ad intervistare Elsa Valeria Mignone, sostituto procuratore di Lecce, è Antonio Sanfrancesco per il settimanale Famiglia Cristiana. Ne emergono dichiarazioni sconcertanti che cercheremo di riassumere a grandi linee.
Innanzitutto dal servizio emerge come il ”caso Xylella”, proprio per i suoi lati oscuri, compaia nell’ultimo rapporto sulle agromafie elaborato da Eurispes, Coldiretti e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura. Inoltre si apprende che, parallelamente al piano operativo di interventi della cui conduzione è stato incaricato, in veste di commissario straordinario, il capo della Forestale pugliese Giuseppe Silletti – piano che anche a causa delle pressioni europee è orientato verso l’eradicazione degli alberi infetti e l’uso “mirato” di diserbanti e antiparassitari – è in corso da circa un anno presso la Procura di Lecce un’inchiesta giudiziaria per accertare eventuali responsabilità penali legate alla situazione in atto.
Uno dei passaggi principali degli esposti che hanno dato input all’inchiesta è quello relativo ad un un workshop di studio su alcune malattie delle piante, tra cui quella causata dal batterio Xylella, che nel 2010 si è tenuto presso la sede dell’Istituto Agronomico Mediterraneo (IAM) di Valenzano (Bari) dove è stato portato fisicamente un campione del batterio. E’ una semplice coincidenza che qualcuno abbia sentito l’esigenza di discutere in Puglia di Xylella in un momento in cui ancora non c’erano affatto tracce di essiccazione? E’ perchè si è permesso che si portasse sul posto un agente patogeno? Domande legittime che ancora non hanno risposta e che risuonano ancora più inquietanti se si pensa che una semplice patologia fitosanitaria è finita in un rapporto sulle agromafie e che una Procura della Repubblica sta indagando su un ipotizzato reato di “diffusione colposa di malattia della pianta”.
A detta del procuratore Mignone, capo del pool sui reati ambientali, gli esposti in Procura continuano ad arrivare e “non sono destituiti di fondamento”. Il PM lamenta il poco tempo a disposizione per indagare su una vicenda davvero complessa e considera “allarmante” la celerità con cui si vuole intervenire con modalità distruttive su un territorio già martoriato dall’abusivismo edilizio, dal business disinvolto del fotovoltaico e delle biomasse.
Una delle più sconcertanti affermazioni del PM è però quella che, allo stato attuale dell’inchiesta, non si può ancora affermare con certezza che la Xylella c’entri davvero qualcosa con quanto sta succedendo a una parte degli ulivi del Salento. Dalle parole del magistrato viene fuori che fin da quell’ormai famigerato workshop del 2010 ci siano stati “un orientamento e un’informazione ben precisi” volti a demonizzare la Xylella come causa dell’essiccamento degli ulivi e come l’allarme esploso a livello europeo e mediterraneo andrebbe ridimensionato visto che in Spagna, Grecia e Francia non si segnala alcun caso.
Scendendo più nei dettagli, il PM rileva come per motivi di studio sia stata concessa una deroga al divieto di introdurre sul territorio italiano germi patogeni e che ciò sia avvenuto presso l’Istituto Agronomico Mediterraneo (IAM) di Valenzano (Bari), luogo precluso alle indagini. In altri termini, proprio la sede in cui si è svolto il più volte citato workshop con ”ospite” la Xylella dal vivo, gode per legge di uno status di immunità assoluta: “un caso – ha dichiarato il magistrato – pressoché unico nello scenario europeo e forse mondiale.” A permettere questo è la legge 13 luglio 1965 n. 932, con cui l’Italia ha ratificato l’accordo con l’Europa per l’istituzione in Puglia del Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici Mediterranei, una delle 4 diramazioni europee del CIHEAM (Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Méditerranéennes) un’organizzazione intergovernativa alla quale aderiscono 13 Paesi mediterranei.
Queste normative di fatto precludono oggi alla autorità giudiziaria italiana di varcare la soglia dell’istituto, di effettuare sequestri, perquisizioni o confische. Addirittura godono di immunità persino la ricerca e lo studio effettuati nella sede dello IAM e portati fuori dal territorio, a meno che lo stesso IAM non vi rinunci. Su queste basi si sono quindi introdotti presso tale istituto – sottolinea il PM – “germi patogeni a scopo di sperimentazione, e nessuna verifica contemporanea o postuma può essere effettuata da chicchessia sulla correttezza dei metodi usati nella sperimentazione”.
Circa invece l’origine geografica della Xylella attiva in Salento, il magistrato nega che ci siano certezze al momento, non escludendo che essa possa essere endogena, ossia sempre esistita sul posto, ipotesi che renderebbe ancora più assurde le massicce misure di intervento in previsione. Certo è – dice il PM – che qualora il parassita sia arrivato da fuori “bisogna sapere da dove e tramite chi”.
Oltre a questi quesiti a cui cercare risposta, il magistrato intende anche capire che cosa dal 2013 – data di esplosione dell’allarme disseccamento – è stato fatto da parte dei soggetti preposti al territorio per arginare il fenomeno. Insomma quali decisione le autorità abbiano adottato in concreto. E soprattutto a partire da quando hanno saputo del problema. Dal punto di vista del PM, qualora la Xylella si rivelasse davvero responsabile del disseccamento, non ci sarebbero dubbi sul fatto che si è agito con ritardo visto che – sostiene – “le prime segnalazioni di disseccamento risalgono al 2011, e probabilmente anche al 2008-2009.”
La dott.ssa Mignone si chiede anche in base a quali ricerche e studi scientifici si sia certi che l’uso massiccio di pesticidi , “i cui principi attivi – afferma – sono prodotti da multinazionali”, siano in grado di debellare la Xylella. Senza trascurare – aggiunge – una necessaria riflessione sull’effetto devastante che il loro uso avrebbe per l’ambiente e la salute delle persone. E se l’Europa – conclude – vuole imporre mezzi così drastici per affrontare il problema è perchè si è basata sul modo in cui la questione le è stata presentata, e cioè che il batterio sarebbe di origine esterna, quindi mai esistito in Puglia, per cui va combattuto con ogni mezzo, e ciò sebbene non ci siano accertamenti noti che lo attestino.
In conclusione, mentre l’inchiesta giudiziaria va avanti fra mille difficoltà, ci troviamo di fronte ad una situazione magmatica in cui le certezze scientifiche sulla reale responsabilità della Xylella sembrano essere praticamente pari quasi a zero. Eppure si è pronti a sparare coi “cannoni” sul famigerato batterio senza preoccuparsi delle conseguenze ambientali che ne deriverebbero. Un’offensiva – osserva il magistrato – basata su una correlazione fra essiccazione e Xylella sostenuta fin dalle prime ore da diversi soggetti come lo IAM, il Cnr di Bari e l’Università di Bari, ma mai corroborata da studi scientifici noti. Dal famoso workshop del 2010 in poi – aggiunge – non c’è stato alcun serio confronto fra gli accusatori delle Xylella e personalità scientifiche di rilievo al fine di individuare il giusto rimedio con il minor danno possibile, per cui ci si ritrova di fronte allo scenario di una soluzione distruttiva del cui reale funzionamento non si ha alcuna sicurezza.
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