Il Comune di Pompei sfratta la biblioteca di Amedeo Maiuri, padre dell’archeologia pompeiana. Capri offre Villa Lysis come sede

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Il grande archeologo Amedeo Maiuri (1886-1963) e, nella foto in basso, un particolare del celebre affresco pompeiano della Villa dei Misteri, alla quale Maiuri dedicò diverse attività di scavo

di Kasia Burney Gargiulo

E’ considerato uno dei grandi padri dell’archeologia pompeiana e non c’è dubbio che sotto la sua egida quasi tutto il patrimonio archeologico campano come lo conosciamo oggi, Pompei in primis, è stato riportato alla luce. Mi riferisco all’archeologo ciociaro Amedeo Maiuri, classe 1886, che a partire dai primi decenni del ‘900 vide il suo destino professionale legarsi a Napoli e alla Campania, prima come Ispettore al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, poi come Sovrintendente alle Antichità di Napoli e del Mezzogiorno e anche direttore del Museo partenopeo, ruoli che hanno beneficiato anche della sua frequente attività operativa sul campo con numerose campagne di scavi.

Ebbene, fra libri acquisiti, altri scritti di suo pugno con felicissima penna e documenti vari, Maiuri ha accumulato negli anni una notevole biblioteca che nel 2001 – a 41 anni dalla sua morte avvenuta a Napoli nel 1963 – è diventata di proprietà dell’Università napoletana Suor Orsola Benincasa. L’istituto era riuscito a trovare al Fondo “Amedeo Maiuri” una sede presso due stanze di rappresentanza del Comune di Pompei, luogo più che consono in cui essere custodita, quand’ecco che improvvisamente il primo luglio scorso il prof. Umberto Pappalardo, responsabile del Centro internazionale per gli Studi Pompeiani del Suor Orsola, ha ricevuto una lettera di sfratto dall’ente con la richiesta di sbaraccare in 20 giorni per lasciare spazio ad un ufficio tecnico, evidentemente considerato più importante di quel tesoro biliografico di archeologia nella città dell’archeologia per antonomasia.

Va così a consumarsi l’ennesimo assurdo episodio di disprezzo ed indifferenza nei confronti del patrimonio culturale, pronto ad essere fatto passare in secondo piano rispetto ad altre esigenze. Per la serie la Cultura in Italia è l’ultima ruota del carro, la miserabile ancella della politica, trattata come una escort da esibire quando serve per fare scena e poi mandata a ramengo a calci nel sedere quando non serve più.

Ma ecco che a fronte di un Comune di Pompei che con questa scelta si è assicurato una pessima figura, si sono viceversa fatti avanti numerosi altri soggetti che, molto più lungimiranti, hanno compreso quale valore culturale sia racchiuso in quella biblioteca: offerte sono giunte dalla vicina Ercolano, dalle Università di Oxford e Cambridge, mentre il ministero della cultura cinese ha fatto sapere di volerla acquistare “a qualsiasi prezzo”. Fra le ultime proposte, anche quella del Comune di Capri, che con questa iniziativa potrebbe compensare in corner l’assurda idea, circolata di recente sulla stampa,  di voler eventualmente vendere la splendida Villa Lysys sul Monte Tiberio acquista qualche anno fa ed oggi considerata troppo dispendiosa da mantenere, semplicemente perchè non si è ancora riusciti a trovare un modo intelligente e proficuo di utilizzarla. Destinare l’ex dimora del celebre Barone de Fersen come sede del Fondo Maiuri non sarebbe una cattiva soluzione, in fondo Villa Lysys è a due passi dai resti della leggendaria Villa Jovis appartenuta all’imperatore romano Tiberio e recuperata proprio da Amedeo Maiuri. Non a caso, in una nota diramata dal’assessore comunale caprese Caterina Mansi,  si legge che “nell’esprimere la viva preoccupazione che il Fondo possa trovare un’ubicazione fuori dall’Italia, il Comune si candida ad ospitarlo a Villa Lysis, nei pressi di Villa Jovis, vicina ai luoghi che il grande archeologo percorse in lungo e in largo nel corso delle sue ricerche”.

Il prof. Pappalardo dell’Università Benicasa si è detto felice di quest’ultima proposta ed ha rimarcato come Maiuri avesse un legame particolare con Capri, dove grazie all’appannaggio che riceveva come Accademico d’Italia aveva comprato una piccola dimora ad Anacapri. Oltre agli scavi a Villa Jovis a lui si deve anche quello nella Grotta Azzurra della quale comprese la funzione di ninfeo ipogeo e marittimo della villa soprastante, come appunto dimostrano le statue che ne adornavano le pareti rocciose poi ripescate sul fondale ed oggi custodite alla Certosa di S. Giacomo. E mentre Pappalardo si prepara a raggiungere Capri insieme al Rettore per ringraziare il Comune, già vagheggia l’idea di una mostra su Amedeo Mauri e Capri da allestire con materiali tratti dal Fondo.

Mentre succedeva tutto questo, da Pompei è giunta una proposta finalizzata a rimediare allo sfratto: Pappalardo ha infatti dichiarato di aver ricevuto l’offerta di trasferire il Fondo nel palazzo della pretura, un edificio fatiscente degli anni ‘70, dove i libri andrebbero a traslocare insieme ai vigili urbani; evidentemente la proposta non lo ha entusiasmato affatto ritenendo il luogo del tutto impresentabile. Lo studioso auspica piuttosto un accordo tra Ministero, Regione, Comune di Pompei e Università Suor Orsola per collocare la sede del Fondo nelle infrastrutture della città archeologica per le quali sono stati già stanziati fondi cospicui.

Ma cosa contiene di preciso il Fondo Maiuri? Archeologi di tutto il mondo lo considerano una sorta di pozzo di S. Patrizio perchè comprende di tutto: da libri a stampa a manoscritti, da taccuini di scavo autografi a disegni e documenti, da fotografie d’epoca a cimeli, oltre alla produzione scientifica e pubblicistica dello studioso tradotta in varie lingue e a una vasta bibliografia tematica con migliaia di articoli italiani e stranieri autografati. Tutto questo, come si diceva sopra, è passato al Suor Orsola nel 2001, e ciò grazie proprio all’opera di mediazione svolta dal prof. Pappalardo con la famiglia del grande archeologo.

Andando a spulciare un po’ più a fondo si scopre che in questa collezione figurano volumi di epoca compresa  fra ‘700 e ‘800, i diari di scavo di Ercolano e Stabia del Ruggiero e l’unico esemplare veneziano del 1566 dell’opera Ab Urbe condita di Tito Livio (stampato presso Paulum Manutium), e poi ancora un carteggio privato di novantatré lettere inviate a Maiuri da 23 diversi corrispondenti tra cui George Macmillan, editore in Londra, ed Ernesto Pontieri, Rettore dell’Ateneo di Napoli;  i documenti di un’inchiesta amministrativa con centoquindici pagine dattiloscritte e trentaquattro manoscritte del Memoriale di Maiuri; 41 lettere scritte o ricevute dalle figlie Ada e Bianca e dalla moglie Valentina nell’ambito della corrispondenza con enti e personaggi politici come il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, il senatore Giovanni Leone e il soprintendente alle Antichità delle Province di Napoli e Caserta, Alfonso de Franciscis.

Particolarmente preziosi sono però considerati i sei taccuini che ci parlano degli scavi nei siti archeologici di Liternum, Paestum, Sepino, Velia e in alcune aree archeologiche del Molise e del Sannio, redatti tra gli anni 1924-­1955. Di grande rilievo anche le 1190 immagini – suddivise in 940 fotografie, 48 diapositive e 202 immagini in 109 lastre di vetro – che raccontano Pompei, Ercolano, Napoli, i Campi Flegrei, Liternum, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, il Palazzo Reale e anche aspetti della vita più intima e privata dello studioso.

Completano il Fondo la livrea azzurra dell’Accademia Nazionale d’Italia, diplomi, medaglie e onorificenze fra cui sette cittadinanze onorarie (fra esse, quelle di Rodi, Ercolano e Capri), diplomi e premi conferiti da enti ed associazioni – dall’Istituto Archeologico Germanico all’Accademia Pontaniana fino all’Académie Royale di Parigi – e infine sei dipinti, alcuni dei quali immancabilmente di soggetto pompeiano.

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