di Redazione FdS
Se si esclude una esposizione nel 2009 a Catanzaro, presso il Complesso Monumentale di S. Giovanni, che insieme ai suoi dipinti raggruppava anche quelli degli altri due celebri artisti calabresi Mattia e Gregorio Preti, l’ultima importante mostra monografica dedicata al pittore Francesco Cozza da Stignano (Reggio Calabria), risale al 2007: si tratta di “Francesco Cozza. Un Calabrese a Roma tra Classicismo e Barocco”, curata da Claudio Strinati, Rossella Vodret e Giorgio Leone, e tenutasi a Palazzo Venezia. Su Francesco Cozza vogliamo pertanto riaccendere i riflettori proprio nell’anno della grande mostra di Taverna (Catanzaro) dedicata al quarto centenario della nascita del più giovane e più celebre Mattia Preti che ebbe modo di conoscerlo bene.
Cozza era nato nel 1605 nel casale di Stignano, oggi un comune autonomo ma quel tempo appartenente al demanio di Stilo, in provincia di Reggio Calabria. La tradizione lo vuole cugino, per parte di madre, del suo concittadino Tommaso Campanella, l’illustre filosofo di cui dipinse un ritratto conservato presso la collezione della Fondazione Camillo Caetani a Sermoneta. Dopo aver trascorso la giovinezza in Calabria, Francesco Cozza – che il coevo scrittore d’arte Lione Pascoli e lo storico Giovan Battista Passeri definiscono «intelligente e studioso» – si recò a Roma dove fu apprendista del celebre pittore Domenichino. La sua presenza è infatti registrata a Roma presso la parrocchia di Sant’Andrea delle Fratte, ospite dei Minimi di San Francesco di Paola, che, secondo una tradizione consolidata, offrivano ospitalità e appoggio ai corregionali del loro Santo fondatore. L’arrivo fu poco prima del 1630, anno in cui il Domenichino si recò a Napoli. Cozza rimase ospite dei Minimi fino al 1634; in questo periodo seguì il Domenichino a Napoli e a Frascati.
Del suo maestro assimilò come tratti distintivi i caratteri stilistici del classicismo bolognese, rivissuti in ambiente romano. Abbiamo testimonianze certe del pittore presso l’Accademia di San Luca nel 1634 mentre nel 1648 fu accettato nella Congregazione dei Virtuosi del Pantheon, mantenendo rapporti con gli altri calabresi lì presenti tra i quali certamente Gregorio Preti, fratello del più celebre Mattia, anche lui membro della stessa istituzione. Cozza rimase a Roma e nei dintorni di Roma per i rimanenti anni della sua vita. La morte lo colse il 13 gennaio del 1682, pochi giorni dopo aver redatto il suo testamento (9 gennaio). Anche se ebbe grandi commissioni pubbliche e una parabola artistica lunga e gloriosa, oggi Francesco Cozza è un pittore conosciuto soprattutto dagli esperti d’arte ma molto meno dal grande pubblico; da qui la nostra scelta di parlare della sua figura e delle sue opere.
Circa i suoi rapporti con il contemporaneo e corregionale Mattia Preti, sempre Lione Pascoli, racconta nelle “Vite” di come alla richiesta di Preti di fargli un anagramma per poterlo trascrivere nelle opere che stava realizzando, di botto Cozza rispose ad alta voce: «Mattia sì, ma pittor mai». Si può immaginare, dice il Pascoli, «quanto se ne offendesse» Mattia Preti, «quanto minacciasse di vendicarsene», finché non arrivarono fiaschi di vino e cibo e il Cozza riconobbe la grandezza dell’ amico, ammettendo che la sua era stata solo una burla.
UNO SGUARDO ALLE SUE OPERE
La prima opera datata è un San Giuseppe a Sant’Andrea delle Fratte (1632). Opere giovanili sono inoltre la Pietà alla Galleria Nazionale d’Arte Antica, l’affresco di Madonna e Santa Francesca Romana, a S. Andrea delle Fratte, e un bel Crocifisso con San Francesco di Paola, al refettorio nella omonima chiesa di Roma. Quest’ultima chiesa era stata costruita a partire dal 1623, quando cioè i frati minimi chiesero alla famiglia Cesarini un appezzamento di terreno nei pressi della Basilica di San Pietro in Vincoli; i lavori tuttavia iniziarono soltanto verso il 1640. Ciò costituì l’occasione dell’incontro con i Cesarini, signori fra l’altro di Genzano di Roma e Valmontone, per le successive committenze e lavori nelle due cittadine. Verso il 1641 ottenne la commissione per gli affreschi, ora distrutti, della cupola di Santa Maria della Pace a Roma. Probabilmente a questo periodo risale anche la Nascita della Vergine della Galleria Colonna.
Negli anni ’40 dipinge la Madonna del Cucito per l’Ospedale di Santo Spirito a Roma, ispirata a Guido Reni e al Domenichino. Quest’opera non è l’unica versione del fortunato soggetto: la prima, realizzata nel 1645, si trovava a Molfetta, presso la Cappella Passari della Chiesa di S. Bernardino, dalla quale fu trafugata nel 1970 e successivamente sostituita da una copia del pittore Nino Ronca. Nello stesso periodo eseguì, per i Frati di San Francesco da Paola in Sant’Andrea delle Fratte, la pala con San Giuseppe e San Carlo. Verso il 1650 dipinse la Madonna del Riscatto nella Basilica di Santa Francesca Romana e fra il 1658 ed il 1659 affrescò la volta del Fuoco nell’attuale Palazzo Doria Pamphilj di Valmontone e due affreschi con l’ Estate e l’ Inverno, nel Palazzo Altieri.
A Valmontone Cozza incontrò Gaspard Dughet e il suo corregionale Mattia Preti, due artisti che ebbero una notevole influenza nella sua formazione. Al 1660 risale la grande Pala d’altare (olio su tela) per la Chiesa di Santa Maria della Cima a Genzano, dove, secondo il critico Mariano Apa, “si accentua la sua personale ricerca di riproposta del classicismo emiliano rinforzato da un naturalismo ora vivido dalle esperienze con il forte parlare del Mattia Preti”. Molto bella, sebbene rovinata, anche la Pala d’altare per il Duomo di Segni. Un’austera Madonna con Bambino e cherubini è conservata presso la Pinacoteca Provinciale di Bari.
Tra le altre sue opere presenti in tutt’Italia, emergono poi le bellissime tele raffiguranti la Madonna del Riscatto, custodita oggi nel refettorio del Collegio Nepomuceno di Roma, e la Madonna col bambino tra i Santi Gioacchino e Anna della chiesa di S. Egidio a Montalcino, in provincia di Siena. Due opere notevoli, in cui si avverte il superamento delle posizioni classicistiche iniziali e domenichiane verso un linguaggio più aperto agli sviluppi bolognesi e romani barocchi. Di grande rilievo anche il Ritrovamento di Mosè dei Pii Stabilimenti di S. Maria in Aquiro di Roma, ambientato in un paesaggio sensibile alla poetica di Dughet e di Salvator Rosa e le sue varie tele raffiguranti la Fuga in Egitto.
Nel catalogo, edito dalla Rubettino, della mostra romana del 2007 a Palazzo Venezia (v. sopra) dedicata a Francesco Cozza, viene presentata, oltre alle opere esposte, tutta la sua produzione artistica, per cui il volume si pone come una vera e propria “opera omnia”. Il catalogo è inoltre corredato di ampi apparati contenenti tutti i nuovi documenti emersi dalle ricerche intraprese per questa occasione, come la presentazione critica, la trascrizione e le foto a colori del Trattato sulla Prospettiva scritto da Francesco Cozza e conservato nell’archivio storico dell’Accademia Nazionale di San Luca, opera di grande interesse ma ancora poco approfondita. In occasione di quella mostra Claudio Strinati, con ragione, ha dichiarato che Cozza non è certo interpretabile in chiave barocca ma neppure è un classicista nell’ ottica domenichiana. Fu qualcosa di diverso, in qualche modo un pittore inconfondibile rispetto a qualunque altro e con fama di uomo dotto e facondo.
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