di Enzo Garofalo
Quanti dei frequentatori odierni dei teatri lirici sanno chi è Nicola De Giosa? Praticamente quasi nessuno. La cosa non sorprende perchè perfettamente in linea con la condizione di un’Italia Paese senza memoria, noncurante del proprio patrimonio storico-culturale o, tutt’al più, pronta a magnificarlo solo quando sono “gli altri” ad accorgersi della sua esistenza, rivelando in questo una buona dose di provincialismo. Ebbene, Nicola De Giosa – uno degli ultimi rappresentanti della celebre Scuola Musicale Napoletana – fa parte di quella schiera di artisti oggi dimenticati e, quel che è più grave, trascurati dalla loro stessa città di origine. Egli era di Bari ed è stato il più importante compositore del capoluogo pugliese dopo Niccolò Piccinni ma, come quest’ultimo, non ha conosciuto in tempi moderni che qualche sporadica esecuzione di suoi lavori. Viceversa non mancano mute forme di commemorazione come l’intitolazione di una strada, un ritratto nella sala consiliare del Comune e una statua a grandezza naturale nel Teatro Petruzzelli che in origine doveva essere a lui dedicato. A riscoprirne ora la musica, attraverso quella che fu la sua opera più fortunata, il Don Checco, è il 41° Festival della Valle d’Itria, la celebre rassegna musicale di Martina Franca (Taranto) che lo scorso 21 luglio ha mandato in scena a Palazzo Ducale l’opera buffa in due atti su libretto di Almerindo Spadetta. Un pezzo di divertente teatro musicale che fece il suo debutto nel 1850 al Teatro Nuovo di Napoli, rimanendovi in cartellone per ben 96 repliche, senza calcolare le numerose messe in scena in giro per l’Italia e anche all’estero, durate almeno fino al 1887.
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La trama dell’opera è decisamente esile – l’amore contrastato di due giovani, un padre burbero, un conte che si finge pittore girovago per controllare i suoi sudditi e lo spiantato Don Checco creduto conte ma in realtà inseguito dall’esattore del nobile feudatario verso il quale è indebitato fino al collo – ma riesce a coinvolgere e a divertire grazie al proverbiale gioco degli equivoci che si sciolgono nell’immancabile lieto fine, all’alta dose di ironia, ora sottile ora sfacciata, e ad una musica capace di alternare momenti di spumeggiante vitalità con altri di più intenso lirismo. De Giosa mette in campo con abilità tutto l’armamentario di un genere da lui “vissuto” soprattutto attraverso la lezione di un grande autore come Gaetano Donizetti (del quale fu anche allievo e pupillo), compositore ancora nel cuore del pubblico di metà Ottocento mentre all’orizzonte sorgevano nuovi astri come il giovane Giuseppe Verdi. In questo periodo di transizione De Giosa diede il suo apprezzabile contributo grazie ad una notevole facilità di scrittura, ad un indiscutibile dominio dell’arte del contrappunto e ad una certa dose di originalità, qualità che lo collocano fra gli autori più significativi del suo tempo, sia pure senza assurgere alla grandezza dei suoi maestri o a quella di altre figure apparse sulla scena musicale posteriore. Fra i momenti notevoli dell’opera, che molto deve anche al brio e alla vivacità di rossiniana memoria, possono ricordarsi l’ouverture del secondo atto, i due concertati, il terzetto che chiude il primo atto, l’aria con coro di Fiorina che ricorda la cavatina di Adina ne L’elisir d’amore, la cavatina di Don Checco e il duetto fra i due personaggi buffi (Don Checco e l’oste Bartolaccio).
A Martina Franca l’opera è stata presentata in un bell’allestimento coprodotto con la Fondazione Teatro S. Carlo di Napoli e basato sulla partitura revisionata da Lorenzo Fico. Si tratta della prima vera ripresa in forma scenica in tempi moderni peraltro già proposta lo scorso anno a Napoli nel Teatrino di Corte di Palazzo Reale, un anno dopo l’esecuzione quasi integrale, ma in forma di concerto, tenutasi a Bari nel 2013 presso il Teatro Showville, con l’Orchestra della Provincia diretta dallo stesso Lorenzo Fico. E’ dunque questa una ulteriore preziosa occasione per meglio apprezzare l’ultima opera buffa napoletana di travolgente successo popolare, che sedusse anche il re Ferdinando II di Borbone, spettatore immancabile ad ogni rappresentazione che si tenne a suo tempo presso il S. Carlo di Napoli.
Il cast vocale, ben affiatato, ha affrontato con energia i ritmi serrati dell’opera grazie soprattutto alla presenza di alcuni interpreti di particolare valore le cui doti canore e sceniche hanno fatto da elemento trascinante. Perfettamente a suo agio nel ruolo principale di Don Checco il basso-baritono Domenico Colaianni, abilissimo caratterizzatore di personaggi buffi, stavolta alle prese con una parte in lingua napoletana decisamente lunga ed impegnativa, ardua prova di agilità vocale resa senza tentennamenti soprattutto nei concitatissimi e scoppiettanti sillabati nonchè grande prova d’attore. Validissima anche la performance del giovane tenore Francesco Castoro (il cameriere Carletto), ottimo esempio di musicalità, garbo, eleganza e disinvoltura scenica. Troppo esile per un palcoscenico all’aperto la pur gradevole voce del soprano Carolina Lippo, ribelle e romantica Fiorina, figlia del burbero oste Bartolaccio il cui ruolo è risultato calzare a pennello al baritono Carmine Monaco, interprete non nuovo alle scene martinesi. Vocalmente funzionali ai rispettivi ruoli e dotati di buon piglio scenico il basso Rocco Cavalluzzi (il pittore Roberto, alias il Conte de’ Ridolfi) e il tenore Paolo Cauteruccio (Succhiello Scorticone, esattore del Conte).
Una più approfondita ricerca di dinamiche e colori da parte del direttore d’orchestra Matteo Beltrami avrebbe meglio valorizzato la brillante pagina musicale di De Giosa peraltro ben servita, nell’insieme, dall’Orchestra Internazionale d’Italia e dal Coro della Filarmonica di Stato “Transilvania” di Cluj-Napoca preparato dal M° Cornel Groza.
Sullo sfondo della sontuosa osteria ideata da Nicola Rubertelli, coi costumi anni ’30-40 della brava Giusy Giustino, il regista Lorenzo Amato ha imbastito uno spettacolo di grande vivacità che ha visto partecipi solisti e coro con pari presenza di spirito ed ha mantenuto l’elemento farsesco, pur dominante, sempre nei limiti del buon gusto. Apprezzabili anche i contributi del disegno luci di Franco Machitella e delle coreografie di Giancarlo Stiscia, che hanno arricchito la messa in scena.
Calorosissimi gli applausi del pubblico che ha affollato la corte interna di Palazzo Ducale dove l’opera sarà riproposta in replica il prossimo 31 luglio alle ore 21.00.