di Marzio Luras
Ci sono voluti circa quarant’anni perchè giungessero alla ribalta internazionale, ma finalmente l’interesse degli studiosi verso i Giganti di Mont’e Prama e verso il contesto territoriale in cui i colossi sardi di pietra furono ritrovati nel lontano 1974 sta crescendo in modo esponenziale. A ciò hanno contribuito soprattutto gli ulteriori recenti ritrovamenti ed i nuovi orizzonti di ricerca archeologica aperti dalle più avanzate tecnologie. A parlare di recente dei risultati e delle nuove prospettive connesse agli scavi di Mont’e Prama, nella penisola del Sinis, è stato il professor Gaetano Ranieri, docente di Geofisica presso l’Università di Cagliari. Le novità riguardano innanzitutto l’estensione dell’area in cui potranno concentrarsi le future ricerche sullo straordinario insediamento da cui provengono i Giganti. Finora – spiega Ranieri – sono stati scandagliati solo otto ettari, ma l’area di sicuro interesse è di circa quaranta. Le anomalie riscontrate nel terreno – “corpi che sono nel sottosuolo mentre non dovrebbero esserci” – suggeriscono infatti la presenza di numerosi altri “reperti di elevato valore storico”.
Ranieri e la sua equipe di studiosi dell’ateneo cagliaritano hanno ottenuto questo dato utilizzando un georadar mobile – “l’Università di Cagliari è l’unica al mondo a possederne uno a 16 canali” – che permette di ispezionare in profondità il territorio, rivelando i dettagli del sottosuolo prima ancora di procedere a scavi veri e propri. Le ‘radiografie’ ottenute sono state elaborate ed analizzate e si è giunti alla conclusione che alla serie di puntini rossi che identificano altrettante anomalie del terreno corrispondono strade, muri, tombe e probabilmente altre statue. Sono circa settantamila le anomalie, rivela Ranieri, il quale non esita a definire Mont’e Prama come “la più grande scoperta archeologica nel Mediterraneo occidentale negli ultimi cinquant’anni”. Non solo Giganti, dunque: secondo gli esperti, il sito nasconderebbe anche un santuario nuragico, una necropoli, edifici e centinaia di altri reperti.
Il professor Ranieri, fra i primi al mondo ad utilizzare tecniche di tomografia sismica e metodologie geofisiche applicate ai beni culturali, esclude che a quelle anomalie corrispondano semplici conformazioni geologiche. Del resto la tecnica di indagine utilizzata, spiega lo studioso, è la stessa che in Marocco ha consentito di scoprire l’anfiteatro romano di Volubilis e il tempio di Ercole a Lixus.
I rilievi effettuati sembrano dunque prospettare possibilità di scavo per lunghi anni a venire: “sarebbe bello – conclude il professor Ranieri – che a Mont’e Prama venissero a lavorare gli esperti delle più prestigiose università internazionali”. Intanto un nuovo finanziamento già disponibile, previo nulla osta della Soprintendenza, dovrebbe garantire la prosecuzione delle operazioni di indagine radar del sottosuolo, sebbene al momento sia impossibile immaginare un ampliamento dell’area di scavo senza la preliminare acquisizione dei terreni oggetto di interesse scientifico.
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