E’ un piccolo borgo arroccato ai piedi di una chiesetta intitolata alla Madonna di Piedigrotta. Al momento è abitato da appena alcune decine di persone, soprattutto anziani. E’ Pantanolungo, nel comune di Carolei, a pochi Km da Cosenza. Lo sparuto numero di abitanti, le tante case vuote, la solitudine e la quiete che lo circondano di un’atmosfera quasi irreale, potrebbero far pensare a un villaggio votato all’inesorabile abbandono e invece…
…invece scopriamo che i tanti emigranti che lo hanno lasciato anni fa per cercare fortuna all’estero, non si sono voluti rassegnare all’idea di perdere il loro ‘posto’ del cuore, per cui hanno deciso di farlo conoscere attraverso il web. E così sui sentieri elettronici di internet viaggia il sogno – non impossibile – di far rivivere il piccolo borgo di Pantanolungo. Perchè però questo sogno si realizzi occorre però l’amore di tutti, in primis di quanti hanno il compito di salvaguardare quelle radici che alimentano la nostra identità più autentica…ma anche di quanti – pur vivendo lontani da questo luogo – possono immaginare di trasformarne qualcuna delle case in un rifugio fra i boschi dove coltivare la propria pace interiore e la propria voglia di contatto con la Natura. Sono state avanzate ipotesi di una valorizzazione del borgo come albergo diffuso oppure come sede di un villaggio telematico, per il momento ancora solo sulla carta.
Pantanolungo è stato oggetto anche di una tesi di laurea, quella scritta dalla dott.ssa Emma Tucci, relatore Prof. Vito Teti, ordinario della Cattedra di Antropologia presso l’Università della Calabria. Ecco un breve ma significativo estratto dal I° Capitolo: “PANTANOLUNGO DI CAROLEI: TRA STORIA E LEGGENDA”:
“La storia di Pantanolungo è strettamente legata a quella di Carolei, paese di cui è frazione. Uno storiografo vissuto a cavallo fra il VI e il V secolo a.C., Ecateo di Mileto, menziona nella sua opera otto centri indigeni preellenici situati nella parte settentrionale della “Terra degli Enotri”, che successivamente i romani chiamarono “Brutium”: la nostra Calabria. Tra questi centri si dà risalto ad “Arintha”, oggi Rende, a “Menecino”, oggi Mendicino e ad “Ixia”, l’odierna Carolei. Altri storiografi antichi hanno citato più volte questa cittadina ma, nessuno di loro si è addentrato nei particolari per descriverla. Ippia ci ha lasciato detto che era una bella cittadina italica, cara agli dei, alle dipendenze di Pandosia, capitale dell’Enotria. Strabone, nel soffermarsi sulle città della Magna Grecia, accenna anche ad Ixia, ma non vi si sofferma a lungo. Si suppone che Ixia esistesse prima ancora della fondazione di Pandosia, per il fatto che il suo nome ci rivela una religiosità arcaica, come arcaica è la sua prima necropoli. Ad essa, infatti, non fu dato il nome di una divinità, né quello di un re o altro personaggio illustre ma, il nome di un arboscello che nasce fra cielo e terra e che proprio perché non contaminato dalla terra era ritenuto sacro e, quindi, caro agli dèi. Questo arboscello, in greco, Ixia, letteralmente significa “Vischio”. Ancora oggi i fitti boschi di querce ed i castagneti accolgono una rigogliosa vegetazione di questa pianticella. Tutti i sacerdoti delle varie religioni mediterranee, compresi i druidi della Gallia meridionale, con le sue bacche e le sue foglie preparavano infusi con i quali curavano malattie come l’epilessia, il catarro, l’asma bronchiale e,soprattutto,la sterilità della donna. Ed ecco perché ancora oggi con l’avvento del Cristianesimo, nel giorno di Natale, le donne, pur ignorandone l’antico significato, ne comprano un ramoscello e dopo averlo fatto benedire in chiesa lo portano a casa e lo mettono sotto l’immagine della Madonna. Ma ormai anche questo rito sta scomparendo, tra noi donne della nuova generazione, lasciando il posto a gesti meno sentimentali e spirituali e molto più materialistici.
Quando i Romani presero il potere, fecero erigere, nell’attuale frazione di Vadue, una stazione di servizio daziaria. Fecero, poi, costruire un torrione dalla cui sommità si poteva avere un totale controllo sulle carovane che transitavano lungo il Busento. Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, lxia, caduta in mano Longobarda venne governata da un feudatario, probabilmente di origine spagnola, che aveva il soprannome di “Caroleo”: faccia di leone. Con il passare del tempo questo soprannome diverrà cognome e lxia, a poco a poco, sarà chiamata Ixia di Caroleo per trasformarsi, poi, in Carolei, nome che tutt’ora identifica il territorio entro cui è inglobato il borgo di Pantanolungo che in greco significa “Il pianto dei morti”. Secondo la leggenda e la fantasia popolare, quindi, i moribondi scendevano da quelle balze scoscese tra il mormorio assordante del fiume per andare a morire. Anche sul fiume che attraversa Pantanolungo aleggia l’aura della leggenda. Si narra, infatti, che nel letto di tale fiume sarebbe stato sepolto un giovane re: Alarico. Alarico era il re dei Goti e, si racconta che fu sepolto con tutte le ricchezze che aveva sottratto alla Roma dei Cesari. Gli schiavi esecutori del lavoro, furono uccisi e, si dice anche, che successivamente il fiume fu deviato affinché rimanesse segreta l’ubicazione della tomba. Ancora oggi, molti sperano di realizzare il sogno di questa scoperta: “chissà che la deviazione non fu fatta proprio dove oggi sorge Pantanolungo”. Ecco, allora, come leggenda e storia si intrecciano così profondamente per raccontare insieme la storia di una terra tutta da scoprire, ancora addormentata sotto la polvere del tempo.
Esaminando alcuni atti notarili presso l’archivio di stato di Cosenza, mi sono resa conto che Pantanolungo veniva già menzionato nel 1687 con il nome di Castelluccio, una località dai confini più ristretti rispetto a quelli odierni. Ma il numero di documenti più massiccio è sicuramente quello che copre il triennio 1852-54. Risalgono a questo periodo, infatti, tutta una serie di atti notarili che riguardano persone, possedimenti, case di Pantanolungo, riportato non più con il nome di Castelluccio ma di Pantano-Longo. Ma una delle cose più interessanti che ho trovato in proposito, è una sentenza emessa dal Tribunale Civile di Cosenza, nel 1876, a favore di un certo Luigi Cosenza, nella quale vi è una descrizione dettagliata del Fondo in questione. Qui Pantanolungo viene descritto come un fondo di figura irregolare somigliante ad un trapezio e, viene collocato nel territorio del comune di Carolei. Viene riportata la natura poco consistente del terreno, che spesso ha causato delle frane soprattutto nella parte inferiore. La descrizione prosegue con l’indicazione di roveti, nella parte rialzata, e di altri arbusti che interrompono la continuità del fondo. Vengono specificati anche i confini che erano:
– La strada pubblica, che formava il limite dal lato superiore;
-I beni di Nicola Reda, contigui sul lato sinistro;
-Il podere di Arcangelo Reda, che arrivava fino al fiume di Mendicino.
Notiamo come in questo periodo la maggior parte dei territori pantanolunghesi appartenessero alla fam. Reda: ancora oggi, i Reda italo-americani hanno proprietà nel piccolo paese, che stanno cercando di recuperare allo scopo di veder rivivere il piccolo borgo nel quale sono nati che, nonostante la lontananza rimane il punto di riferimento, il fulcro della propria identità, il luogo dove ci si ritrova e non ci si sente mai estranei.
Il passato nel presente
Il censimento del 1961 , attestava la presenza di 248 unità abitative nella frazione pantanolunghese; nel 1971 , quindi dieci anni dopo, da 248 si scende a 126 unità abitative fino ad arrivare ai pochi nuclei familiari odierni. Pantanolungo, infatti, si presenta oggi, come un villaggio quasi abbandonato; siamo nel Comune di Carolei a quota 630 metri s. I. m., in una delle gole che dalla catena appenninica scendono giù verso la Valle del Crati. Si tratta di un villaggio ormai quasi disabitato di circa otto unità abitative sparse lungo un pendio che da un costone roccioso, posto a 650 metri s. I. m., porta giù lungo il torrente Caronte, unico corso d’acqua a lambirne il territorio.
L’immagine del paesello, per chi si appresta a visitarlo, è quella di un borgo vagamente medievale arroccato su di una collina a 650 metri sul livello del mare. A sovrastare le case e le strade che un tempo brulicavano di gente, la chiesetta della Madonna di Piedigrotta che risale alla seconda metà dell’Ottocento: in parte distrutta dal terremoto del 1905, venne successivamente ricostruita, ampliata e riaperta al culto. La sua distruzione in seguito a tale catastrofe è legata ad una leggenda secondo cui la chiesetta fu distrutta per la traslazione della festa religiosa che, da allora, non fu più spostata.
Il patrimonio edilizio esistente è variegato, esistono e sono tuttora integri, esempi di edilizia rurale ottocentesca: esempi modesti ma dotati di strutture sane che hanno passato integralmente i due secoli di vita e che, nonostante l’abbandono, sono ancora facilmente ristrutturabili e adattabili ad ogni scopo. Accanto a questo vivono, ma in stato di degrado, esempi di edilizia povera ma non per questo meno importante. La pietra, in prevalenza calcarea, è l’elemento dominante in queste costruzioni: la si trova in ogni angolo, in ogni organismo edilizio. Esisteva nel villaggio una notevole cultura della pietra, che come elemento locale veniva sfruttato nel migliore dei modi. Alcuni esempi, poi, rappresentano dei notevoli capolavori degli scalpellini locali, come la bifora della chiesetta della Madonna di Piedigrotta. Il nucleo centrale dell’abitato è intrecciato a se stesso e percorso da stradine, viuzze e camminamenti coperti.
Il pendìo su cui è arroccato il borgo scende giù fino a tuffarsi nel torrente Caronte, nelle cui vicinanze sono presenti due opifici, quello del Mulino e quello della Calcara; anch’essi risalgono all’Ottocento ed erano adibiti alla produzione di materie di prima necessità, di calce e di farina. Archi, volte, affacci e panorami non sono altro che la normale commistione naturalistica ed architettonica di questo luogo che, grazie alla sua posizione geografica di difficile avvicinamento e di difficile sfruttamento edilizio, ha salvaguardato il territorio e lo ha tramandato quasi integralmente. Svuotata completamente nella seconda ondata emigrativa degli anni Sessanta, Pantanolungo, è stata da sempre una comunità autosufficiente dove, addirittura, fino agli anni Settanta esisteva un ufficio postale funzionante. La maggior parte dell’economia arcaica era data dall’agricoltura e dalla pastorizia.
Gran parte del territorio era boschivo e pratile; i grandi castagneti, alternati a querceti, davano, con i loro frutti, una certa sicurezza, mentre i vasti prati garantivano la pastorizia, che dava carni, latte, lana e pelli.
Questa base economica facilitava l’allevamento degli animali domestici, soprattutto quello dei maiali, che si commerciavano.
Gli Enotri, con riferimento alle popolazioni della Valle del Crati, furono i primi a praticare la carne di maiale insaccata da fare essiccare, per poi commerciarla. I Lucani ne vennero a conoscenza e, quando i Romani occuparono la Lucania, conobbero le “salsicce” che chiamarono “Iucaniche”. Saranno poi i Romani a farle conoscere ad altri popoli, compresa la Grecia, i cui cittadini le chiamavano, almeno fino a qualche tempo fa, lucaniche. L’economia del posto è rimasta legata all’attività agricola ed alla pastorizia fino alla feroce ondata emigrativa che ha spopolato il ridente e rigoglioso villaggio.
Per un certo periodo della storia di Carolei, Pantanolungo ha rappresentato uno dei maggiori centri, se non il principale.
Proviamo ad immaginario: un luogo immerso nel verde, pieno di campi da arare, di pascoli rigogliosi per il bestiame, ricco di una natura sostentatrice per l’uomo grazie, soprattutto, ad un fiume vicino che permetteva di avere l’acqua per l’irrigazione, per l’abbeveramento del bestiame, per la pulizia quotidiana della casa e, non in ultimo, il fiume rappresentava una meravigliosa cornice a tutta questa natura. Beh, se proviamo a chiudere gli occhi e usiamo un po’ di fantasia possiamo immaginare questo piccolo borgo un po’ come quei paesaggi dipinti dai grandi pittori o descritti dall’abile penna di importanti scrittori. A tal proposito mi viene in mente Shakespeare, quando descrive in maniera magica il bosco di “Sogno di una notte di mezza estate”; un bosco animato da folletti, fate e creature magiche di ogni genere.
Anche noi potremmo immaginare Pantanolungo come luogo delle favole, pieno di meravigliosi esseri della natura, come le lucciole, che simili alle fate volano qua e là illuminando i luoghi di una luce magica. E poi non dimentichiamo il fruscìo del vento fra gli alberi o, la dolce musica dello scorrere eterno del fiume, testimone impotente e silenzioso dei cambiamenti della storia; una storia fatta di tante storie di singoli uomini, di intere famiglie che per dare una svolta alla propria vita si sono messe in cammino verso il “Grande Sogno Americano”. Queste notizie costituiscono una fonte preziosa che attesta l’esistenza di questo territorio nei secoli passati e, getta un po’ di luce su di un passato che sembra dimenticato, un passato fatto di gente che è nata, ha vissuto, lavorato su questa terra.” (Text source)