Il mestiere dell’archeologo. Chi osa difendere Capo Colonna?

facebook twitter instagram vimeo youtube google+ linkedin

Calabria - Capo Colonna al tramonto - Ph. Margherita Corrado

Calabria – Capo Colonna al tramonto – Ph. Margherita Corrado

di Margherita Corrado*

Permettetemi una premessa di ordine generale prima di spiegare, come promesso nella precedente occasione, le ragioni del mio coinvolgimento, convinto e totale, nella controversa vicenda di Capo Colonna.

È uno strano mestiere quello dell’archeologo. Ambitissimo e trasversale ai generi e alle classi sociali fino ai 10/12 anni d’età, quando contende il primato all’astronauta e alla ballerina, perde di fascino tra gli adolescenti e i giovani. Pochissimi conservano fino al momento della selezione del percorso universitario, o la maturano a ridosso di quello, la volontà di farne realmente la propria scelta professionale.

Le opportunità offerte dall’ateneo che si ha la fortuna/sfortuna di frequentare incidono non poco sull’esito finale del cursus studiorum: parte dei provetti archeologi si scoprono ingannati dal falso mito di Indiana Jones e si volgono tempestivamente in direzioni diverse; altri comprendono solo sul campo, se e dove gli si dà l’opportunità di fare pratica di scavo, di non essere tagliati per questo mestiere: la passione per l’arte, infatti, non assicura le capacità fisiche e mentali necessarie all’esercizio delle abilità tecniche richieste in cantiere non meno che nell’attività di post-scavo. Chi fra costoro vuole restare nel settore, si vota alla ricerca in biblioteca o in laboratorio, ritenendola meno defatigante.

Gli scampati a questa sorta di selezione naturale che avviene già sui banchi dell’università sono pochissimi ma assai motivati: restano convinti della loro scelta iniziale nonostante le difficoltà oggettive e le profezie avverse della gente comune che saggiamente, a dispetto del fascino dell’archeologia, già li vede allargare le fila dei disoccupati.

In effetti, l’ingresso nel mondo del lavoro, anche dopo il biennio di specializzazione o di dottorato richiesto (in aggiunta alla laurea magistrale) per non precludersi alcuna opportunità, non è dei più agevoli, sia che tentino la carriera universitaria sia che si propongano di collaborare, singolarmente (com’era usuale ‘ai miei tempi’) o mediante le numerose società di archeologi oggi attive, con la Soprintendenza alla quale il Ministero Beni Culturali demandava, fino allo scorso anno, la tutela e la valorizzazione del patrimonio archeologico. La riforma introdotta dal Decreto Ministeriale del 23 dicembre 2014 ha separato le due competenze, lasciando la prima alla neonata Soprintendenza Archeologia e affidando la seconda ai responsabili di ciascuno dei Poli Museali Regionali, salvo attribuire maggiore autonomia ai principali musei italiani. Tutto deve cambiare perché niente cambi, si potrebbe commentare con una punta di malizia ma facciamo pure finta di credere, per ora, che invece si tratti di un cambiamento virtuoso.

Resta il fatto che, avendo lo Stato la gestione esclusiva dell’attività archeologica nel territorio nazionale, tant’è che anche le Università lavorano sul campo solo mediante concessioni temporanee e soggette a condizioni precise, è con lo Stato che ci si deve confrontare, benché sempre più di rado questo sia il datore di lavoro principale di un archeologo, in mancanza delle risorse pubbliche necessarie a programmare e gestire da sé gli interventi sul terreno. Il committente, da una decina d’anni in qua, è quasi sempre un privato (persona fisica o società) costretto dalla legislazione vigente ad assumersi l’onere economico dell’indagine stratigrafica in vista della realizzazione delle opere di suo interesse.

L’esercizio della diplomazia, stante la delicata situazione in cui spesso l’archeologo si trova, costui lo apprende a proprie spese giorno per giorno, mentre sperimenta tutti i disagi prodotti dalla mancanza di un albo professionale che lo tuteli in fatto di retribuzioni e previdenza. Se non bastasse, la proprietà intellettuale dei risultati di uno scavo non meno che di una schedatura di reperti, attività sempre più rara, è rivendicata sine die dalla Soprintendenza, senza alcuna garanzia che i dati raccolti o prodotti siano mai condivisi con il resto del mondo scientifico.

Ciò nonostante, a distanza di anni dall’incerto ingresso nel mondo del lavoro, al ‘povero’ archeologo che non abbia ceduto alla delusione capita, raramente ma capita, il colpo di fortuna capace di ripagarlo di tante delusioni: un progetto faraonico che impegni per diversi mesi professionisti del settore scelti non come nel quotidiano, cioè dietro segnalazione del funzionario competente per territorio, nelle cui grazie occorre rientrare e permanere saldamente se si vuole sperare di ottenere contratti, ma sulla base delle esperienze maturate e della propria produzione intellettuale [segue dopo la gallery].

GUARDA LA PHOTOGALLERY

Il mestiere dell'archeologo. Chi osa difendere Capo Colonna?

Calabria – Il tratto di Mar Jonio di fronte a Capo Colonna (Kr) – Ph. Margherita Corrado

Il mestiere dell'archeologo. Chi osa difendere Capo Colonna?

Area archeologica di Capo Colonna (Kr) – Ph. Margherita Corrado

Il mestiere dell'archeologo. Chi osa difendere Capo Colonna?

La colonna superstite del tempio di Hera Lacinia a Capo Colonna (Kr) – Ph. Margherita Corrado

Il mestiere dell'archeologo. Chi osa difendere Capo Colonna?

Area archeologica di Capo Colonna (Kr) – Ph. Margherita Corrado

Il mestiere dell'archeologo. Chi osa difendere Capo Colonna?

Area archeologica di Capo Colonna (Kr) – Ph. Margherita Corrado

Il mestiere dell'archeologo. Chi osa difendere Capo Colonna?

Torre e chiesa di Capo Colonna (Kr) – Ph. Margherita Corrado

Il mestiere dell'archeologo. Chi osa difendere Capo Colonna?

La colonna superstite del tempio di Hera Lacinia a Capo Colonna (Kr) al tramonto – Ph. Margherita Corrado

Il mestiere dell'archeologo. Chi osa difendere Capo Colonna?

Mosaico da Capo Colonna (Kr) – Ph. Margherita Corrado

Il mestiere dell'archeologo. Chi osa difendere Capo Colonna?

Mosaico da Capo Colonna (Kr) – Ph. Margherita Corrado

Il mestiere dell'archeologo. Chi osa difendere Capo Colonna?

Arcobaleno a Capo Colonna (Kr) – Ph. Margherita Corrado

Il mestiere dell'archeologo. Chi osa difendere Capo Colonna?

Faro di Capo Colonna (Kr) – Ph. Margherita Corrado

Il mestiere dell'archeologo. Chi osa difendere Capo Colonna?

Tracce di storia e di natura a Capo Colonna (Kr) – Ph. Margherita Corrado

Il mestiere dell'archeologo. Chi osa difendere Capo Colonna?

La colonna superstite del tempio di Hera Lacinia a Capo Colonna (Kr) – Ph. Margherita Corrado

Il mestiere dell'archeologo. Chi osa difendere Capo Colonna?

Iscrizione sul santuario della Madonna di Capo Colonna (Kr) al tramonto – Ph. Margherita Corrado

Il mestiere dell'archeologo. Chi osa difendere Capo Colonna?

Scavi nella chiesa di Capo Colonna (Kr) al tramonto – Ph. Margherita Corrado

Chi scrive ha avuto questa sorte nel 2013, e a rendere l’opportunità ancora più straordinaria sta il fatto che teatro delle operazioni di scavo, durate circa dieci mesi, più cinque di attività in museo, era il parco archeologico di Capo Colonna, sede ambìta da qualsiasi archeologo di formazione classica e massimo traguardo possibile per una professionista crotonese. Tornarci dopo il campo di volontariato del 1994 e a circa quindici anni dalla prima occasione ufficiale – lo scavo del 1999 all’interno della Chiesa della Madonna di Capo Colonna -, occorsa quando da poco avevo cominciato a collaborare con l’allora Soprintendenza Archeologica della Calabria, è stato per me un privilegio, vorrei dire un segno, di cui ho avvertito da subito la portata e la responsabilità.

Si tratta, è forse superfluo ribadirlo, dell’area archeologica più importante della Calabria e di una delle principali del Paese, scrigno di memorie condivise da tutto l’Occidente, memorie che partendo almeno dall’VIII secolo a.C., ma è probabile che l’inizio della frequentazione stabile del promontorio vada retrodatato, arrivano senza discontinuità ai giorni nostri passando dalle più diverse esperienze: dal santuario sopranazionale magno greco alla colonia di epoca romano-repubblicana, dalla stazione militare marittima proto-bizantina alla sede del santuario mariano d’impianto basso-medievale (XIII secolo), dalla demolizione del tempio classico in funzione delle fortificazioni di Cotrone da Carlo V nel Cinquecento alle spoliazioni successive giustificate da altre opere pubbliche, dalla costruzione settecentesca delle case di villeggiatura dell’Arcidiaconato (con annessa torre-rifugio) e della nobiltà locale, alla trasformazione in tenuta agricola dopo l’Unità, dall’avvio degli scavi ufficiali (1910), tenuti a battesimo da Paolo Orsi, alla nascita del parco e del relativo museo sul finire del XX e a all’inizio del XXI secolo.

Le attese non sono andate deluse: per restare al santuario, dirò che i risultati dello scavo 2013/2014 sono stati eccezionali, tali da costringere i responsabili scientifici dell’operazione, se intellettualmente onesti, a ripensare l’odierna esposizione museale e a mettere immediatamente il mondo scientifico al corrente della necessità di modificare gran parte delle convinzioni che si credevano acquisite. Va rivisto, infatti, molto di quanto finora noto sul periptero classico e sui templi in pietra che lo precedettero, sui loro apparati decorativi, sulle caratteristiche morfologiche dell’area ove sorsero, sull’altare, su natura e provenienza degli ex voto offerti ad Era Lacinia e sulle modalità del loro accantonamento, sulla cronologia della via percorsa dalle processioni, sulle modalità e conseguenze della demolizione del tempio di V sec. a.C. attuata in epoca viceregnale. Nulla di tutto ciò è finora accaduto: non una parola è stata spesa né una riga scritta in sedi pubbliche sui risultati di quasi due anni di lavoro in un sito così peculiare.

In un’area archeologica indagata ancora per non più del 30%, le nuove informazioni ‘costringerebbero’ a ripensare non solo la ricerca e la salvaguardia ma anche e le modalità della fruizione da parte del pubblico, tuttora parziale e difficoltosa anche perché supportata da un apparato didattico-esplicativo in condizioni a dir poco precarie (quello superstite risalente ai primi anni Duemila) o del tutto insufficiente benché appena installato.

L’utente così bistrattato è lasciato completamente all’oscuro dei risultati della ricerca 2013/2014 che lui stesso ha finanziato, anche con i proventi del Lotto, rinunciando – per potersela permettere e permettere agli archeologi di agire per suo conto in vista di un incremento delle conoscenze –  ad un po’ di sanità, di giustizia, di infrastrutture ecc. E al danno già subito dal finanziatore, reso volutamente ignaro, nella misura in cui l’ingente somma spesa non ha prodotto un adeguato ritorno, si aggiunge, nel lungo periodo, la beffa del mancato sviluppo economico che le informazioni negate avrebbero potuto contribuire a produrre, a vantaggio del parco, della vicina città e della Calabria, per non guardare oltre, se opportunamente valorizzate.

Ho sempre creduto che le persone, i singoli individui, siano più importanti delle idee ma, davanti agli scempi compiuti a pochi mesi dalla conclusione di quella straordinaria esperienza lavorativa nell’esecuzione del nuovo progetto, lo SPA 2.4, mentre vedo Capo Colonna com’è ma ho altrettanto chiaro come potrebbe e dovrebbe essere, avrei potuto non reagire?!

© RIPRODUZIONE RISERVATA

*Margherita Corrado, calabrese, è nata a Crotone nel 1969. Si è laureata in Lettere Classiche (indirizzo archeologico) presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e specializzata presso la Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera. Romanista di formazione, ha prestissimo orientato i propri interessi verso l’età post-classica, con particolare riferimento all’alto Medioevo di marca bizantina. Dopo un lungo tirocinio nel volontariato archeologico, dal 1996 lavora come collaboratrice esterna per la Soprintendenza Archeologica della Calabria. Negli anni, è stata incaricata della catalogazione di migliaia di reperti di diversa origine e cronologia ed ha operato sul campo in tutte le provincie calabresi (saltuariamente anche in Puglia), affiancando la Direzione Scientifica nell’indagine stratigrafica di siti databili dall’età arcaica fino al XIX secolo, compresi importanti cantieri di archeologia urbana, aree santuariali magnogreche ed edifici di culto cristiani. Ha collaborato con l’Amministrazione anche per l’allestimento di mostre temporanee e di esposizioni museali permanenti. E’ autrice di un centinaio di pubblicazioni, una decina delle quali monografiche, eterogenee per impostazione, cronologia e contenuti ma con una spiccata predilezione per la cultura materiale e le arti minori (in particolare l’oreficeria), molte delle quali edite negli atti di convegni nazionali e internazionali. E’ membro della Società degli Archeologi Medievisti Italiani, dell’Istituto per gli Incontri di Studi Bizantini, del Circolo di Studi Storici Le Calabrie e dell’Istituto Italiano dei Castelli. Collabora con l’Ufficio Beni Culturali dell’Arcidiocesi di Crotone-Santa Severina. Referente del Gruppo FAI di Crotone dal 2013, è anche socia fondatrice di un paio di associazioni culturali a carattere locale per conto delle quali svolge attività didattica nelle Scuole e cura visite guidate gratuite tese ad avvicinare la cittadinanza ai temi dell’archeologia e della storia calabrese.

 
latuapubblicita2
 

Rispondi

Il tuo indirizzo e-mail non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono segnalati *

*

Torna su