di Rocco Mazzolari
Ogni anno, il 19 settembre, il popolo dei devoti spera che il suo sangue torni a sciogliersi nella Cattedrale di Napoli, segno che San Gennaro è tornato a rinnovare con la città il plurisecolare tacito patto di protezione. Oggi però ci occupiamo di lui non per parlare del prodigioso fenomeno, bensì per indagare una tradizione molto antica che mette in discussione il suo luogo di nascita. Un’indagine che risponde al puro gusto della ricerca fra storia e leggenda e che nulla toglie al significato religioso che questa figura riveste per i Campani. A tal proposito la scelta, come immagine di apertura, del dipinto La decapitazione di San Gennaro del celebre pittore calabrese Mattia Preti, non è casuale, perchè l’antica tradizione di cui vogliamo parlarvi ci porta proprio in Calabria, a Caroniti, piccola frazione del comune di Joppolo (Vibo Valentia) situata sulla cima del Monte Poro, a 710 m. di altezza, a poca distanza dalla più nota cittadina di Nicotera e dal Mar Tirreno che da queste parti è di una bellezza straordinaria.
Di questa tradizione ha scritto persino Mons. Luigi Petito, ex parroco del Duomo di Napoli, nel suo libro “San Gennaro”, edito nei primi anni ’80, eppure il prof. Gennaro Luongo, ordinario di Storia di Agiografia e Letteratura cristiana antica alla Università Federico II di Napoli – interpellato più recentemente sull’argomento – ha liquidato la questione dicendo che si tratta “solo dell’invenzione di un prete”. Un’allusione riferita molto probabilmente al libro Santi e Beati di Calabria scritto nel 1996 da don Bruno Sodaro, arciprete di Santa Domenica e rettore del Santuario della Madonna delle Grazie in Torre di Ruggiero (Catanzaro), nel quale appunto si parla ampiamente dell’origine calabrese di S. Gennaro. In realtà la storia, prima ancora che da Sodaro, era già stata trattata da Bruno Polimeni nell’articolo “La fanciullezza di S. Gennaro in Calabria” uscito nel 1987 sulla rivista Calabria Letteraria, riprendendo una vexata quaestio affrontata nel 1958 anche da Raffaele Corso, studioso di etnografia e folklore di Nicotera. Non è dunque un parto della fantasia ma deriva da una tradizione plurisecolare che cercheremo, senza esprimere giudizi di veridicità o infondatezza, di ricostruire citando o riprendendo testualmente alcune fonti remote che la riportano.
Cominciamo col dire che in quanto figura caratterizzata da forti tratti leggendari, di San Gennaro è stata talvolta messa in dubbio persino la reale esistenza storica. Ciò deriva soprattutto dal fatto che le fonti ufficiali che parlano di lui sono di secoli successive alla sua presunta nascita. Prendendole però per valide, ne ricaviamo che San Gennaro, vescovo di Benevento, nato nel 272, sarebbe stato martirizzato a Pozzuoli nel 305 per decapitazione durante la persecuzione dei cristiani da parte dell’imperatore Diocleziano. Quanto al luogo di nascita, già i suoi biografi più antichi indicavano ora la città di Benevento, ora quella di Napoli, oppure omettevano qualunque indicazione, segno che la questione è sempre stata controversa. Ma veniamo alla Calabria, chiedendoci secondo quali riferimenti sia possibile ricondurre a questa regione l’origine di San Gennaro.
LE FONTI
Esiste innanzitutto una radicata tradizione popolare che lo vuole nato vicino a Caroniti cui va ad aggiungersi la presenza di una chiesa parrocchiale a lui intitolata, la celebrazione della festa il 19 settembre e una grande diffusione del nome Gennaro. Passando invece alle fonti scritte, della sua origine calabrese parlano il vescovo, teologo, giurista e filologo settecentesco Tommaso Aceti nel suo commento all’opera di Gabriele Barrio De Antiquitate et situ Calabriae, una Memoria del canonico di Nicotera Luigi Sorace, vissuto ai primi dell’Ottocento, e un volume di Memorie storiche di Nicotera scritto nel 1838 da Francesco Adilardi Di Paolo, socio dell’Accademia Florimontana Vibonese e degli Affaticati di Tropea. Vediamo cosa scrive quest’ultimo, sia pure usando la massima cautela per non urtare la suscettibilità dei Campani:
Le fonti citate dall’Aceti, ricordate nel precedente testo, alludono innanzitutto ad un documento che il vescovo di Pozzuoli [Martin de Léon y Càrdenas – NdR] avrebbe mostrato a Ludovico Centofloreno, nominato vescovo di Nicotera da papa Innocenzo X e trovatosi a passare per Pozzuoli nel 1650 mentre si recava in Calabria per prendere possesso della sede: un Cronicon antichissimo lì conservato dal quale sarebbe apparso chiaro che S. Gennaro era nato a Calafatoni. Riferendosi a questo episodio, il canonico Sorace scrive che Centofloreno fece una copia del documento, ne certificò l’origine e la portò a Nicotera pensando che i cittadini ignorassero la vera origine di S. Gennaro; tale documento prezioso purtroppo andò perduto nel devastante terremoto del 1783. L’altra fonte citata dall’Aceti è un vescovo greco che passando per la Calabria avrebbe mostrato un antichissimo Martirologio scritto nella sua lingua dal quale si evinceva che S. Gennaro era Calabrese.
Se poi passiamo alla Memoria di inizio Ottocento del già citato Luigi Sorace, scopriamo che Monsignor Luca Antonio Resta, nominato nel 1578 vescovo di Nicotera, “volle portarsi di persona a visitare i villaggi di Calafatoni in punto d’estinguersi, e di Caroniti sorgente, ed ancora senza chiesa (…) e avendo inteso…che [la chiesa di Calafatoni] era stata eretta sotto il titolo di San Gennaro, appunto perché essa era il locale dove San Gennaro era nato, giacché era la casa di sua abitazione, siccome egli testifica per averlo udito dagli antichi, ordinò che dette abitazioni di Calafatoni si riunissero a quelle di Caroniti poco distanti, e che ivi si fabbricasse una chiesa che consacrarsi sotto lo stesso titolo, ed una casa per il parroco (…) con la condizione che…[la chiesa di Calafatoni] si conservasse ben tenuta come rurale in memoria e venerazione del Santo, che ivi avea sortito la nascita, massime per la frequenza dei divoti, che andava sin là ad offrir voti e a raccomandarsi al Santo, come sul suolo proprio del suo nascimento.”
A questo episodio si riferisce – come spiega Raffaele Corso – la bolla datata 30 settembre 1578, la più antica di un numeroso gruppo di bolle vescovili che “consacrano tale tradizione”, e ricorda come essa si aprisse con queste eloquenti parole “Annuente domino nostro Jesu Christo , ac. B. Januario Episcopo et Martyre, quem Calaphitonenses meruerunt habere colonum”. Non è dato oggi sapere se il Corso abbia mai visto di persona queste bolle, perchè se così fosse costituirebbero un valido supporto probatorio. Certo è che gli spunti per ulteriori ricerche d’archivio non mancano.
Diversi altri indizi vengono indicati nel più recente (1997) e già menzionato libro di Bruno Sodaro, Santi e beati di Calabria, in cui leggiamo che i vescovi di Nicotera nel XVII e XVIII secolo solevano firmarsi “Episcopus Nicoterensis et Concivis S. Januarii Episcopi et Martyris” (Vescovo di Nicotera e Concittadino di S. Gennaro Vescovo e Martire), denominazione che sarebbe persistita solo fino al vescovato di Mons. Vincenzo Giuseppe Marra (1792-1816) in quanto fino ad allora Calafatoni ricadeva nella diocesi di Nicotera. Ai piedi dello stesso monumento funebre del vescovo Marra si legge “Joseph Marra Episcopus Nicoterensis Concivis S. Januarii Episcopi et Martyris”. Inoltre nella cattedrale di Nicotera c’è un Beneficio fondato dal vescovo Mons. Ottaviano Capece (1582-1619) dedicato a S. Gennaro “Episcopus et Concivis”, così come sull’arcata della Cappella del Santissimo fino ai restauri del 1930 si leggeva “Divo Januario Episcopo Concivi ac Patrono”, mentre nel Museo Diocesano della stessa città si custodisce un pastorale del XV secolo sul cui ricciolo, fino a metà Ottocento, compariva una statuina argentea di S. Gennaro.
LA TRADIZIONE POPOLARE
Torniamo alla tradizione popolare che a Caroniti, come a Napoli, si è sempre nutrita di un sentimento di devozione semplice e schietto senza interrogativi di carattere teologico o storiografico. Per risalire alla sua sorgente più vivida, ci avvaliamo del suggestivo “reportage” di Luigi Bruzzano intitolato “San Gennaro in Calafatoni” e pubblicato nel 1892 sulla rivista “La Calabria” edita a Monteleone [l’odierna Vibo Valentia – NdR]:
“Sul versante meridionale di Monte Poro, diramazione dell’Appennino, che domina il territorio di Ioppolo, a quattro chilometri dalla nota cittadina di Nicotera, nel secolo XV esisteva una terricciuola, aggregato di poche capanne di pastori e di case rurali, appellata Calafatoni. Allora tutta quella costa, a principiare dal Capo Vaticano infino alle pendici orientali, ove stanno accantonati tutti quei piccoli villaggi denominati Li Quarteri, inclusa Motta Filocastro, era tutta rivestita di boschi, i quali internandosi per le forre e pei greppi della montagna si stendevano infino alle creste settentrionali, coprendo di folta boscaglia il territorio di Mesiano e di Aràmoni. Rupi erte e scoscese, fiancheggiate da rovinosi torrenti, si ergono imponenti e pittoresche, coronate da rigogliosa verdura, mentre dai greppi e dai ciglioni, a guisa di festoni, pendono capperi e cespi di ginestre dai fiori gialli. Anima quel paesaggio il mare, colà sempre azzurro, che rumoreggiando ai piedi della sassosa spiaggia la copre di bianca spuma e la carezza coi suoi fiotti argentei; mentre l’aria diafana, dipingendo il tramonto su quell’orizzonte, ne riflette su quelle moli di granito gli ultimi raggi morenti, che fan palpitare di vita la gelida natura.
È sullo sporto della collina, tuttodì appellata Calafatoni, che io accolsi l’eco morente di una remota tradizione, la quale memora che S. Gennaro Vescovo di Benevento e Patrono della città di Napoli, avesse ivi sortito i suoi umili natali, ed avesse santificato quei luoghi nella sua prima giovinezza. Distrutto Calafatoni intorno al 1530, i naturali del luogo trasferivano in Caroniti, villaggio soprastante, i loro lari ed il culto tradizionale al loro santo conterraneo, ove è venerato con singolare divozione [le borgate in loppolo, Caroniti e Preitodi sono attaccatissime alla credenza che S. Gennaro fosse nato in Calafatoni, e se qualche oratore in occasione della festa del santo dicesse che, invece di Calafatoni, fosse nato altrove, si attirerebbe l’odio e le ingiurie della borgata, credendo in tal modo volesse contrariare il loro culto e la loro divozione]. Quest’antica e costante memoria vien confermata da tradizioni locali e da un avanzo di muraglia, che tuttora si addita ai passeggieri, come reliquia della primitiva chiesetta [risalente al IV secolo – NdR], eretta dalla pietà dei fedeli nel luogo della sua casuccia [si afferma inoltre che nel 1808, un contadino intento a cavar pietre in questo luogo, abbia trovato – rotta in due pezzi – una lapide con un’iscrizione attestante che la chiesetta diruta sarebbe sorta sulle mura dell’abitazione del Santo – NdR].
Pieno di queste preziose reminiscenze, nel dì 27 settembre del 1876, trovandomi in quei luoghi per affari di professione, in compagnia dei contadini Francesco ed Antonio Rocco, ascesi il clivo detto Pirro, ad osservare le muraglia indicatami, la quale non è altro che un fondamento di pietra e calcina, lungo tre metri incirca, alto uno, interrato da Ponente e da Nord, scoperto da Levante, quale muraglia nell’ angolo interno, verso Maestro, offre una piccola nicchia, atta a riporre qualche lampada, per preservarla dai venti [oggi tali resti si trovano in un terreno coltivato a vigneto dove crescono anche due vecchi mandorli sotto i quali c’è una grossa pietra tonda con impressa l’orma di un piede attribuita dalla gente del posto a S. Gennaro – NdR]. A pochi passi verso Ponente vi è lo sporto della collina, coronata dagli annosi ulivi, appellati di S. Gennaro, floridi e rigogliosi alberi, per prodigiosa mole riguardevoli; più a monte sorge ritto e severo lo scoglio di S. Gennaro, che si distingue per la sua orma ovoide e colossale. Quei naturali additano quel luogo come sacro, poiché, secondo le tradizioni dei loro anziani, da quel recesso, si vide apparire il santo in atto di fugare e respingere i Saraceni, che in una scorreria per quei luoghi, si disponevano a depredare Ioppolo e Calafatoni.
Se la tradizione non ha reso popolare nella Calabria lo avvenimento della nascita di S. Gennaro in Calafatoni, deve addebitarsi alla mancanza di memorie locali per le vicissitudini dei tempi di mezzo; poiché alle vetuste glorie ed incacellabili memorie non si è mai curato ristorarne la ricordanza ; ond’è che nei primi tempi di fervore cristiano, certi ricordi non si consegnavano in pubblici atti, ma tramandandosi col vivo della parola da padre a figlio se ne formava un racconto commovente facile a scolpirsi nella memoria degli uditori. Siffatto racconto non manca per S. Gennaro, e noi in omaggio alla bellezza dell’antichità ed alla tradizione del luogo godiamo qui ricordario.
S. Gennaro, dice la leggenda, nato da genitori poveri, perdette la madre ben per tempo. Suo padre a procacciargli il vitto lo mandava a custodire i porci nel luogo istesso, ove oggi si ammirano gli annosi ulivi. Il povero fanciullo era crucciato da un desiderio ardentissimo di apprendere le lettere, e a soddisfare questa sua naturale inclinazione, due volte la settimana s’inerpicava su per le balze del monte, attraversava i boschi del Poro, e si recava nel villaggio di Aràmoni [contrada nei pressi della odierna Spilinga – NdR], ove un pio ecclesiastico lo ammaestrava. Pria di recarsi alla scuola, abitualmente chiudeva i porci in un quadrato , che tracciava sulla terra colla punta del suo bastone. I porci, quasi avessero discernimento, piu che istinto, obbedienti e pacifici, quando anche fossero stati molestati dalla fame, non ardivano oltrepassare quel segno, oltre il quale vi era il divieto del santo. Per ogni dì la matrigna gli recava un pane bigio, e poiché non sempre il fanciullo era sul luogo, la donna riponeva il pane su uno dei piedi di ulivo, che ivi erano, tra la inforcatura dei grossi rami e ritornava al casolare. Egli, intento alle vigilie ed alle orazioni, trascurava l’alimentazione propria, in modo che il pane sopravvanzava quasi sempre. Un dì fra gli altri vi erano tre pani sull’albero di ulivo, ed in quel giorno venne a passare il maestro coi discepoli, poiché presso i primi cristiani vi era la usanza di seguire il proprio maestro, imitando le gesta del Divino.
Il maestro, fattosi dappresso al piccolo Gennaro, gli volge cosi la parola: “Gennarino, ne hai pane?” E Gennarino risponde che non ne aveva. Allora il maestro riprende il fanciullo, perchè non aveva detto il vero. E Gennarino convinto risponde: “Maestro, ne ho per avere, ma non è buono per voi.” Ed il maestro a lui: “va, piglialo, perchè ogni pane leva lo appetito.” Quei pani risplendevano dalla inforcatura dei rami, ed egli, nella semplicità, stende la mano per prenderne uno; ma abbagliato dallo splendore che i pani davano, si volge al maestro, dicendogli , che quello non era il pane che egli soleva avere. Il maestro allora ad incuorarlo gli dice: “abbi fede, o Gennarino, quello è il tuo pane”. Ed il pane intanto continuava a risplendere. Mangiato il pane insieme ai discepoli, il maestro invita Gennarino a seguire la buona compagnia e fare la volontà del Signore. E Gennarino senza por tempo in mezzo risponde: “me ne vengo ; ma attendete che meni i porci a casa.” Ed il maestro a lui: “andiamo, o figlio mio, i porci se ne andran soli.” Egli allora, volgendo le spalle agli ulivi, prese a seguire il maestro, mentre i porci grufolando, quasi rimpiangessero il pastorello, si affrettarono al loro presepe.
Noi non ridiamo sulle leggende popolari, solo diciamo che le testimonianze di un passato, che vengono narrate dalla viva parola del popolo, ci sembrano più gloriose di quelle raccontate e scritte. Oggi le tradizioni sono parte integrale della storia, poiché rivelano il genio dei popoli, che tratti al maraviglioso usano un linguaggio proprio e tutto poetico. La natura cede alla storia, ma la storia si nasconde nella caligine dei tempi che più non sono, poiché le belle opre che non hanno cantor l’oblio ricopre”.
In Calabria la tradizione è stata rinverdita il 19 settembre del 1997, in occasione del convegno “La fanciullezza di S. Gennaro nella tradizione calabrese”, organizzato a Caroniti di Joppolo dall’Amministrazione Comunale. Nella circostanza, l’allora sindaco Libero Vecchio ha voluto consegnare idealmente al Santo le chiavi della città per sancire ufficialmente un rapporto che in realtà esiste già da secoli.
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Bibliografia:
– Tommaso Aceti, Thomae Aceti academici Cosentini, et Vaticanae basilicae claerici beneficiati In Gabrielis Barrii franciscani De antiquitate et situ Calabriae libros quinque, nunc primum ex autographo restitutos ac per capita distributos, prolegomena, additiones, & notae. Quibus accesserunt animadversiones Sertorii Quattrimani patricii Cosentini, Romae: ex typographia S. Michaelis ad Ripam Hieronymi Mainardi, 1737
– Francesco Adilardi Di Paolo, Memorie storiche su lo stato fisico morale e politico della città e del circondario di Nicotera, Tipografia Di Porcelli, Napoli 1838
– Luigi Bruzzano, San Gennaro in Calafatoni, in “La Calabria”, Anno V, n. 1, Monteleone, 1892
– Raffaele Corso, La fanciullezza di San Gennaro nella tradizione calabrese: la casa, il bosco, la rupe del Santo, ed. Lib. Tirelli, Catania 1925
– Luigi Petito, San Gennaro: storia, folclore, culto, ed. LER, Roma 1983
– Bruno Polimeni, La fanciullezza di San Gennaro in Calabria, in “Calabria Letteraria”, anno XXXV, n. 10/12, pag. 54-55, ill. 1987
– Bruno Sodaro, Santi e beati di Calabria, Virgiglio editore, Rosarno, 1996