di Redazione FdS
Nella nostra costante ricerca di opere d’arte di ogni tempo che, nate nel Sud Italia, hanno percorso le vie del mondo in quell’inarrestabile peregrinare che è proprio dell’Arte e del suo linguaggio universale, abbiamo scovato una statuetta in terracotta, alta 40 cm. circa, proveniente dalla città magno-greca di Canosa, in Puglia, custodita presso il Museo Archeologico Nazionale di Spagna, a Madrid. Rappresenta una Sirena, raffigurata con zampe, ali e coda d’uccello, munita di cetra e con il braccio destro sollevato oltre il capo in un tipico atteggiamento di lamentazione. In questo caso la figura mitologica assume un valore di essere psicopompo, ossia di accompagnatore dell’anima nel regno dei morti. A rendere particolarmente prezioso questo manufatto, datato ad un periodo intermedio fra V° e IV° sec. a.C. è, oltre che la qualità della fattura, anche la persistenza di marcate tracce dell’originario cromatismo.
Tutti conoscono la versione letteraria, risalente all’antichità classica, della figura delle sirene che si ritrova nell’Odissea di Omero dove vengono presentate come soavi ma subdole cantatrici marine abitanti un’isola sulla quale attirano, facendoli poi morire, i marinai che incautamente vi sbarcavano. La loro isola era disseminata di cadaveri in putrefazione, ma Ulisse, consigliato da Circe, riuscì a supererla indenne. Una tradizione, riportata da Pseudo-Apollodoro, le vuole figlie della divinità fluviale Acheloo e di Melpomene, Musa della Tragedia: «Le sirene erano figlie di Acheloo e di una delle Muse, Melpomene; si chiamavano Pisinoe, Aglaope e Telsiepia. Una di esse suonava la cetra, la seconda cantava, la terza suonava l’aulo: con questa musica persuadevano i navigatori a fermarsi. Dalle cosce in giù esse avevano la forma di uccelli. […] Una profezia diceva che le sirene sarebbero morte se una nave riusciva a passare: ed esse, infatti, morirono».
Gli antichi pittori vascolari le rappresentavano sempre con il corpo di un uccello e con una testa umana, a volte munite di braccia e mammelle, quasi sempre con artigli ai piedi, artigli non aventi però la funzione del rapimento, funzione propria delle Arpie, in quanto, per loro caratteristica fondante, le sirene sono strettamente collegate al mondo della musica, suonando la lira o il doppio flauto e accompagnandosi col canto. Le sirene sono onniscienti e in grado di placare i venti intonando le melodie dell’Ade. Nella loro versione “mortifera”, quella evocata da Omero, le sirene sono appunto fonti di onniscienza e la morte di chi presta loro ascolto non è priva di senso sembrando alludere al fatto che conoscere ogni cosa, soprattutto il proprio passato, è cosa letale per l’uomo che non sia un iniziato ai sacri misteri.
C’è poi un altro collegamento delle Sirene con il mondo dei morti, testimoniato dal fatto che fin dai tempi più antichi le loro immagini fossero a corredo delle tombe, il che fa supporre ad alcuni autori che le sirene fossero in origine degli uccelli in cui trovavano dimora le anime dei defunti. Con la identificazione tradizionale delle località omeriche, in età antica si ritenne che le sirene abitassero l’Italia meridionale. Strabone, in Gheographikà I,22, ci dice che i popoli marinari di Napoli, Sorrento e della Sicilia, le veneravano. Il loro corpo, per metà donna e metà uccello sarebbe frutto di un incantesimo vendicativo da parte di Afrodite disprezzata dalle vergini sirene per i suoi amori. Un’altra tradizione le vuole invece punite da Demetra per non aver impedito il ratto della figlia Persefone da parte di Ade mentre insieme coglievano dei fiori. Il poeta Ovidio, nelle Metamorfosi, offre infine una spiegazione poetica alla loro natura e al loro destino: esse non furono punite da Demetra, ma le stesse sirene chiesero di essere trasformate in uccelli per cercare in volo l’amica perduta.
© RIPRODUZIONE RISERVATA