di Redazione FdS
E’ uno dei fotografi più poliedrici del panorama nazionale, i suoi lavori sono conservati in importanti collezioni pubbliche e private di tutto il mondo e ad 87 anni è ancora pieno di energie e di voglia di comunicare, con l’obiettivo e con la parola. A Bari lo ha fatto pochi giorni fa incontrando il pubblico intervenuto al Politecnico per l’inaugurazione del 4° Laboratorio di Fotografia promosso dal Museo della Fotografia. E’ mattina inoltrata quando nell’aula magna ‘Attilio Alto’ del Politecnico, lo scorso 28 settembre, Nino Migliori ha aperto un nuovo percorso costituito da conferenze, workshop, corsi di fotografia, mostre di foto e letture di portfolio. Ad introdurre questo originale ed estroverso protagonista della fotografia del XX secolo – dopo una breve prolusione di Nicola Costantino Magnifico Rettore del Politecnico di Bari – è stato Pio Meledandri, direttore del Museo della Fotografia che nel fare gli auguri di buon compleanno al Maestro (nato il 29 settembre del ’26), ha ricordato l’attenzione di Migliori, fin dalla fine degli anni ’40, verso la corrente artistica informale, come testimoniato anche dalla sua amicizia con Emilio Vedova e Tancredi Parmeggiani. Ha quindi sottolineato come “Migliori sia sempre un po’ più ‘avanti’ rispetto agli altri…rispetto cioè ai movimenti della fotografia e dell’arte in generale. Si potrebbero citare vari esempi: uno per tutti è quello di Burri e delle sue “Combustioni”: ebbene, Migliori lo aveva già in un certo senso preceduto di nove anni con i “Pirogrammi” realizzati manipolando col fuoco parti di pellicole.”
Meledandri ha quindi evidenziato come la fotografia abbia “tutta l’autorità per essere un’arte autonoma” e come “Migliori abbia contribuito in questa direzione, anticipando certi esiti dei movimenti artistici e quindi ribaltando il rapporto fra fotografia e arte in voga nell’Ottocento, allorché la prima inseguiva la seconda”. “Anche quando Migliori si è impegnato in un tipo di fotografia realista come quella dei progetti socio-antropologici dedicati alla “Gente” dell’Emilia e del Sud, lui anticipa già quei fotografi degli anni ’70 e ’80 che hanno studiato la città, le persone, il paesaggio sociale. Se si passano oggi in rassegna quelle immagini ci si rende conto che non sono un semplice ritratto di quello che è il tessuto sociale di allora; sono già una interpretazione personale di quello che è il territorio, sono delle indicazioni ‘sue’ verso il territorio (…)”. Nel fotografare le persone del Sud – ha spiegato Meledandri – Migliori “ne dimostra la grande capacità gestuale, dimostra la grande capacità comunicativa delle donne meridionali, e ce lo dice in una maniera molto efficace.”
Ritornando all’attenzione di Migliori per l’informale, ha quindi spiegato come questa non sia altro che “una ricerca di libertà…la libertà di potersi esprimere”, un concetto che si è voluto porre al centro del Laboratorio di quest’anno. “Certo – ha proseguito – occorre imparare la tecnica per avere gli strumenti, ma poi bisogna andare avanti liberi con la propria creatività…come appunto fa Migliori che nelle sue sperimentazioni utilizza pellicola, luce, spazio, tempo, tecnica di sviluppo, insomma gli strumenti tipici della fotografia, e persino il contatto col corpo, per ‘piegarli’ a nuovi risultati espressivi”. Da tutto questo sperimentare, emerge alla fine – ha concluso Meledandri – “come nulla possa essere più mistificante e più soggettivo della fotografia. Non a caso Migliori, intervenendo sull’immagine in vario modo, non fa altro che creare un’altra fotografia, un’altra superficie, un altro segno…Questa sua trasformazione dei segni è un’altra anticipazione di quella che poi Luca Panaro ha chiamato ‘la terza via della fotografia” [la “finzione”, oltre all’”archivio” e alla “realtà” – NdR]. Meledandri ha quindi ricordato come di Migliori si conservino opere in sedi museali prestigiose quali le Gallerie d’Arte Moderna di Torino, Bologna e Roma; il Museo d’Arte Contemporanea di Prato; la Bibliothèque National di Parigi; il Musèe Reattu di Arles; il Museo di Praga; il Museum of Modern Art di New York; il Museum of Fine Arts di Boston; lo statunitense Polaroid International Museum, e svariati altri templi dell’arte contemporanea.
E’ un Migliori vivace ed entusiasta quello che subito dopo ha preso la parola dicendosi grato di questa trasferta a Bari, “città bellissima” della quale ha un ricordo risalente a circa sessant’anni fa quando vi soggiornò brevemente “in sacco a pelo”. Ora vi ritorna per raccontare ai numerosi presenti come “la fotografia sia la forma più moderna di espressione”, convinto “come dice Umberto Eco e molte università americane” che essa sia “molto più vicina alla letteratura che non al mondo dell’arte pittorica. E’ una libera forma di ciò che si vuole dire utilizzando un mezzo diverso dalla parola, ma molto affine ad essa.” Parlando di “scrittura fotografica” Migliori allude così a un mezzo che permette di “esprimere concetti, di raccontare emozioni, di far conoscere agli altri ciò che si pensa, ciò che si è, ciò che si vuol dire…”, il tutto senza alcuna concessione estetizzante all’idea di una immagine fotografica “da appendere in salotto”. Scabro ed emozionante poi il racconto di un Migliori adolescente che vive gli orrori della Seconda Guerra Mondiale cercando di sfuggire ai bombardamenti, fra la povertà più estrema, le angosce per il destino dei propri familiari e quella di essere perseguito in quanto ‘soggetto renitente alla leva’; poi la fine di un incubo e il bisogno di aprirsi alla scoperta del mondo e degli altri. Il rivelarsi della passione per la fotografia, il modello imprescindibile di Cartier-Bresson, l’ingresso nella FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche), esperienza comune ai principali fotografi del tempo, sono alcune delle tappe principali della formazione di un artista pronto oggi, a 87 anni, a dichiararsi contrario a “qualsiasi forma di romanticismo fotografico”, e a stigmatizzare il tentativo “puramente artigianale e non espressivo” di coloro che si dedicano a ricostruire i dagherrotipi, o lo sguardo rivolto al passato di quanti si ostinano nell’uso della tecnica analogica, tentando di sfuggire all’avvento del digitale. “Se si è d’accordo – chiarisce Migliori – con un uso della fotografia che persegua il modello della parola, allora l’importante è quello che si dice non come lo si fa. Quindi – conclude – io sono per un utilizzo sempre più avanzato del mezzo fotografico…”.
E si dichiara per nulla sorpreso del dato secondo il quale quotidianamente si stampano circa due miliardi di fotografie, cifra tutto sommato non altissima per un mezzo pronto a contendere sempre più il campo alla parola, “della quale può fare a meno.” Scopriamo così un Migliori per nulla restio ad una correlazione sempre più avanzata fra pensiero ed immagine, come quella a cui lavorano alcune università americane e anche italiane in merito alla possibilità di tradurre gli impulsi mentali in immagini, secondo un campo di applicazione che va dal settore medico a non meglio, per ora, precisate possibilità di sviluppo che un domani potranno coinvolgere anche l’ambito puramente espressivo. Intanto Migliori ammette di aver persino usato di recente l’iPhone per produrre immagini poi ulteriormente ‘lavorate’ al computer. Gli applausi convinti del pubblico premiano tanto proiettarsi in avanti da parte di un uomo e di un artista che nel suo campo ha praticamente conosciuto e sperimentato di tutto e che alla sua veneranda età si lascia volentieri sedurre da frontiere di linguaggio sempre più avanzate e futuribili, convinto com’è che la fotografia sia “ancora ai primordi della sua storia”.
Infine, prima della proiezione di diversi esempi del suo lavoro [dall’ormai mitico “Tuffatore” alla realtà italiana in bianco/nero degli anni ’50, ai suoi celebri ‘Muri’, alla lunga stagione dell’informale a stretto contatto con artisti e mecenati del tempo, da Emilio Vedova a Peggy Guggenheim] e del botta e risposta col pubblico (col quale Migliori si dichiara scherzosamente “pronto anche a litigare”), la giornalista Donatella Lopez ricorda un aneddoto di vita vissuta dal fotografo e cioè il rifiuto opposto alla Magnum per la necessità di “dover incassare puntualmente a fine mese e di pensare alla famiglia”, doveri che difficilmente avrebbe potuto assolvere lavorando per la celebre agenzia fotografica. Inizia così un “dialogo” intorno alla fotografia che parte dalla dichiarazione di Migliori circa il valore “soggettivo” di questo mezzo che racconta la realtà filtrata sempre attraverso un punto di vista, in quanto una scena è sempre molto più complessa rispetto al ‘taglio’ che un fotografo può decidere di dare all’opera che intende rappresentarla. Ne esce fuori una realtà “parcellizzata”, raccontata da uno strumento che non è specchio oggettivo ma “interpretazione personale della realtà”: in tal senso, dice Migliori, la fotografia può essere considerata “bugiarda”. Un’affermazione ‘forte’ che sicuramente non toglie valore al mezzo fotografico ma gli riconosce piena dignità di Arte, un’arte “democratica” da praticare sempre di più “opponendosi – dice Migliori con piglio polemico – al diktat della tiratura limitata, una vera e propria ‘truffa mercantile’ messa in atto dai galleristi”.*
*Per seguire l’intero incontro con Nino Migliori, ed apprezzare anche i numerosi esempi della sua opera, illustrati personalmente dall’artista, è possibile prendere visione della registrazione streaming disponibile QUI