di Kasia Burney Gargiulo
La novità era già nell’aria. Appena ad aprile scorso il settimanale “L’Espresso” ha pubblicato un ampio reportage dall’eloquente titolo “Il tesoro segreto del Museo Archeologico di Napoli” nel quale si svelava come più di ventimila manufatti dell’antica Roma e della Magna Grecia – fra statue, vasi, anfore, sarcofagi, capitelli, ecc. – giacciano nascosti nei sotterranei del museo partenopeo senza che nessuno, a parte gli addetti ai lavori, possa vederli. Si tratta di una quantità di reperti, non di rado straordinari, pari al triplo di quelli esposti al pubblico, un centinaio dei quali – a partire da oggi – sono visibili in una grande teca in vetro e plexiglas all’interno di uno dei giardini del Museo. E’ questa la novità che sicuramente sarà accolta con entusiasmo da tutti gli amanti dell’archeologia e della cultura in generale.
Della enorme mole di reperti presente nei depositi del Museo di Napoli, gli esemplari più preziosi sono oggi custoditi in appositi caveau mentre oggetti di uso quotidiano reperiti in gran quantità negli scavi di Pompei ed Ercolano – così come la vasta serie di vasi provenienti dalla Magna Grecia – si trovano in uno spazio dedicato ironicamente definito “Sing-Sing” perchè composto di una serie di sale chiuse con grata e catenaccio che ricordano le celle di una prigione. Tutto il resto occupa ampi sotterranei che un tempo furono le cave di estrazione della pietra servita a costruire il palazzo del Museo. E’ questa la fotografia insolita di uno storico spazio espositivo che, soprattutto grazie alle grandi collezioni di Pompei ed Ercolano, è stato un punto di riferimento importante per la cultura europea e per i viaggiatori del Grand Tour sette-ottocentesco assetati di Bellezza.
Molte delle opere un tempo visibili, e numerose altre mai esposte, sono rimaste tagliate fuori dalle sale museali a causa di nuovi criteri di riordino che hanno imposto maggiore spazio per il pubblico e l’esposizione solo degli esemplari più significativi per ogni collezione. L’idea di aprire direttamente i depositi alla pubblica fruizione, pur accarezzata dai responsabili del Museo, non si è purtroppo mai realizzata per mancanza di fondi e di manodopera. Si è però finalmente attuata una nuova formula che permetterà di ammirare una selezione delle opere più belle fra quelle mai viste. Si tratta del progetto STORAGE, un’iniziativa del Ministero ai Beni culturali che mira alla valorizzazione dei tesori conservati nei depositi del Museo attraverso una sinergia tra pubblico e privato, per l’esattezza una partnership con la Fondazione Telecom Italia che ha sostenuto e finanziato l’iniziativa. Tale collaborazione è sfociata nella mostra “Beni culturali invisibili”, curata da Valeria Sanpaolo, concomitante con l’avvio della nuova direzione di Paolo Giulierini e con i lavori di ristrutturazione di un nuovo braccio del Museo che dovrebbe essere pronto entro il 2016 dando vita ad un nuovo polo culturale fornito di biblioteca, laboratori, bar e persino un teatro.
La mostra trova spazio nel giardino settentrionale che separa l’edificio museale storico dal suo braccio nuovo risalente agli anni Trenta e vede le opere “invisibili” esposte all’interno di una gigantesca teca in travi d’acciaio, vetro e plexiglas, lunga cinquanta metri e larga sei (costata 320mila euro). Al suo interno reperti di epoca romana provenienti da Pompei, Ercolano, Cuma, Pozzuoli e Baia. Il pubblico non può però entrare nella teca: le opere sono ammirabili dall’esterno, identificate da didascalie scorrevoli su due schermi. L’allestimento è fruibile anche dall’interno del Museo grazie ad una postazione video collocata nell’atrio, che trasmette in diretta streaming immagini dalla grande teca. Il visitatore, inoltre, per mezzo di un apposito dispositivo manuale può indirizzare la telecamera zoomando su una determinata opera per coglierne i particolari.
Il neo direttore Giulierini ha definito l’iniziativa “un esempio virtuoso di collaborazione tra pubblico e privato, una sfida del futuro che inaugura un nuovo corso radicato nel lavoro importante, serio e meticoloso fatto finora. Autonomia per un Museo non deve significare infatti isolamento ma versatilità, dinamismo, miglioramento dei rapporti con il Ministero e con gli enti locali oltre che con la città, ponendosi al servizio dei cittadini”.
Dopo l’esperienza di questa mostra già si annunciano nuove iniziative per il Museo come la probabile riapertura della sezione egizia ed un nuovo progetto di comunicazione. Non resta che augurargli un ulteriore avanzamento nel suo già importante posizionamento quale 15esimo luogo d’arte e cultura visitato in Italia, con circa 310 mila visitatori l’anno e un totale di introiti lordi pari a 1.051.885,81 euro. Un risultato che merita di crescere ancora considerato che – fondato nel 1777 da Ferdinando IV di Borbone – il Museo Archeologico di Napoli vanta il più ricco e pregevole patrimonio di opere d’arte e manufatti di interesse archeologico in Italia.
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