“Se tutti questi musicisti fossero sopravvissuti, la cultura umana e il mondo musicale del XX secolo si sarebbero sviluppati in modo diverso”
Francesco Lotoro
di Luciana Doronzo
Durante la Seconda Guerra Mondiale il compositore polacco Jozef Kropinski scriveva opere musicali a lume di candela nascondendosi ogni notte nella sala di sezionamento cadaveri del lager di Buchenwald, sapeva di essere al sicuro poiché persino le SS preferivano tenersi alla larga da quel posto inquietante; Kropinski scrisse oltre 400 opere ma solo 111 di esse sopravvissero con lui e il suo violino durante la marcia della morte nel marzo 1945, molte opere le abbandonò nel lager, altre le bruciò per riscaldarsi dal freddo.
Il giovane ingegnere e musicista polacco Alexander Kulisiewicz, uomo dalla memoria eccezionale deportato a Sachsenhausen, quasi impazzì a causa dell’eccezionale sforzo di memorizzare le oltre 750 canzoni clandestine che i suoi compagni di prigionia affidarono al suo cervello, milioni di note e parole che non smetteva un attimo di mormorare come un mantra, per non dimenticarle.
Auschwitz, Dachau, Mauthausen Stutthof, Majdanek, Buchenwald, Treblinka, Janowska sino ai Campi aperti dai giapponesi in Manciuria e Thailandia, dai francesi in Algeria e Tunisia e dai britannici in Kenia, Sudafrica e persino sull’Himalaya: nessun campo di concentramento civile o militare nei luoghi più sperduti del mondo in guerra è mai riuscito a soffocare la musica che scorre nel cervello e nel cuore dei musicisti.
Nel libro Il Maestro dello scrittore francese Thomas Saintourens (Edizioni Piemme, 2014 traduzione da Le Maestro, edito da Stock Paris, 2011) il protagonista di questa storia è il pianista barlettano Francesco Lotoro, definito dallo scrittore “eroe silenzioso che un giorno scoprì di avere una missione ossia trovare e riportare in vita la musica creata in tutti i campi di concentramento dai musicisti deportati”.
Due anni fa il giornalista israeliano Menachem Gantz scrisse sulla famosa testata giornalistica Yedioth Ahronoth: “Difficilmente si riesce a pensare a un progetto musicale più gigantesco. Si tratta di uno dei progetti più splendidi e commoventi che si possano immaginare nella Storia della musica. Il lavoro del pianista Lotoro fa rabbrividire, provoca dolore e suscita riflessione, tuttavia porta con sé anche un grande ottimismo”.
Da quasi 30 anni Lotoro gira il mondo, visita biblioteche, rovista ininterrottamente archivi, incontra sopravvissuti o loro figli e nipoti, sino a oggi ha meticolosamente raccolto migliaia di partiture scritte nei campi di concentramento ma lui continua ostinatamente a cercare e suonare la musica dei deportati fino all’ultimo frammento recuperabile.
“Se tutti questi musicisti fossero sopravvissuti, la cultura umana e il mondo musicale del XX secolo si sarebbero sviluppati in modo diverso”, spiega Francesco Lotoro, oggi è difficile comprenderlo da uomini liberi ma quando si è vicini alla morte le forze umane raddoppiano e, nel momento più tragico della Storia, l’uomo ha trovato forza e lucidità per scrivere musica. Soprattutto per i musicisti ebrei deportati, essi realizzarono che non sarebbe rimasto nulla di loro tranne la loro musica, il loro testamento del cuore e dell’ingegno. Come scrisse il compositore Viktor Ullmann a Theresienstadt, non siamo rimasti seduti a piangere sulle sponde dei fiumi della Babilonia, non ci siamo chiusi nel lutto ma abbiamo cantato, suonato, scritto musica, consapevoli che il Reich sarebbe stato distrutto e il fascismo sarebbe crollato ma il popolo ebraico, nonostante la catastrofe della quale fu testimone e vittima, sarebbe sopravvissuto”.
Thomas Saintourens racconta l’opera del pianista di Barletta in un libro molto scorrevole, scevro da leziosità e sentimentalismi; dal piccolo studio nel quale il maestro semplicemente annega in migliaia di opere e documenti e audio-videocassette da sbobinare alle giornate passate sul pianoforte a studiare e memorizzare centinaia di opere recuperate dall’oblìo del lager, dalle nottate passate sul computer a stendere intere partiture in collegamento con l’inseparabile amico di ventura Paolo Candido agli innumerevoli aneddoti talora divertenti e talora drammatici (la valigia piena di partiture rubata all’aeroporto di Barcellona, la registrazione del quaderno musicale di Heilbut nell’afoso luglio 2009 a Foggia con 43 gradi, l’esaurimento dopo aver suonato e registrato la colossale VIII. Sinfonia per pianoforte di Schulhoff, il figlio del sopravvissuto che ritrova un pezzo scritto nel Lager da suo padre tra le carte del pianista).
Il libro Il Maestro sarà presentato giovedì 13 novembre alle ore 18,00 presso il Salone degli Affreschi dell’Università di Bari; parteciperanno il Rettore dell’Università degli Studi di Bari Antonio Felice Uricchio, l’assessore regionale al Mediterraneo Silvia Godelli, il giornalista Costantino Foschini, modera Guido Regina (ordinario di Chirurgia vascolare presso l’Università degli Studi di Bari). L’attore e regista Gianluigi Belsito leggerà stralci del libro su accompagnamento chitarristico di Domenico Mezzina.
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