di Redazione FdS
Non finiscono mai di sorprendere le acquisizioni storiche intorno all’antica colonia magno-greca di Sibari, la città i cui pochi ma importanti resti finora scoperti giacciono lontano dai riflettori lungo la costa dell’alto Jonio cosentino e che – a detta del geografo Strabone – governò su quattro tribù e 25 città limitrofe, fece guerra contro Crotone con 300mila uomini ed ebbe abitanti in tal numero da riempire un circuito di 50 stadi (circa 9 km). Ebbene, a questa antica e gloriosa città appartiene un particolare primato.
Dallo studio delle fonti antiche si apprende infatti che il primo monopolio* per una originale creazione dell’ingegno umano fu concesso nell’antica città calabrese nel VII sec. a.C. Fonte autorevole di questa notizia, che andrebbe quindi a dirimere l’annosa polemica fra Italia e Inghilterra in merito al rispettivo primato in questo campo, è lo storico ateniese Filarco, vissuto ad Atene nel III sec. a.C. Secondo quanto da lui riferito – e ripreso secoli dopo da Ateneo di Naucrati (II° sec. d.C.) – ben quattrocento anni prima (per l’appunto nel VII secolo a.C.), nella città jonica è stato ufficializzato il diritto allo sfruttamento esclusivo di una invenzione, per la precisione una ricetta.
Nella colonia magno greca, scrive Filarco, fu concesso un monopolio di 12 mesi per una pietanza originale ed elaborata affinché “a chi per primo l’abbia inventata sia riservato trarne profitto durante il suddetto periodo e gli altri, dandosi da fare essi stessi, si segnalino per invenzioni di tal genere” **. La conferma di quanto riportato dallo storico emerge da una lapide ritrovata nell’area archeologica sulla quale si legge come a Sibari “veniva offerto un incoraggiamento a tutti coloro che realizzano un qualsiasi miglioramento al benessere, i relativi guadagni essendo assicurati all’inventore per un anno”.
In tempi di startup e innovazione questi concetti risuonano di una modernità sorprendente. E a quanto pare, dopo l’esperienza sibarita, erano destinati a riemergere ancora una volta nella Firenze del 1421 con il brevetto concesso al celebre architetto e ingegnere Filippo Brunelleschi per un barcone anfibio adibito a trasportare marmo sull’Arno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
NOTE:
* Sull’argomento segnaliamo un breve saggio pubblicato da Placido Scaglione nel 2008: “Il brevetto di Sibari e le anticipazioni storiche della gente di Calabria” (Franco Pancallo Editore): nel volume si evidenzia come il brevetto di Sibari “non costituiva un privilegio concesso “ad personam” come compenso per un servizio reso allo Stato (…) ma era un diritto che per legge era accordato a chiunque nella propria attività professionale (‘cuoco’) o, anche nella propria abituale attività domestica (‘addetto alla cucina”) avesse inventato una pietanza, utilizzando una sua ricetta “nuova ed originale”. Queste caratteristiche dell’invenzione assicuravano per un anno la concessione di un diritto di esclusività consistente nel potere “alios excludendi” dall’uso della ricetta senza autorizzazione del titolare. Scaglione fa notare come la norma sibarita trovi una sorprendente corrispondenza con l’Art. I – Section 8 della Costituzione degli Stati Uniti risalente al 1789, non solo in ciò che dispone, ma anche nelle finalità (favorire con la competizione fra inventori, l’innovazione e il progresso).
** Riportiamo di seguito il testo di Ateneo di Naucrati che riprende le informazioni da Filarco: “I Sibariti stabilirono per legge che”…”se un cuoco o un addetto alla cucina avesse inventato una ricetta originale ed elaborata, nessun altro a parte l’inventore potesse trarne profitto prima del termine di un anno e che durante questo periodo egli solo avesse l’esclusiva della riproduzione, affinchè gli altri, dandosi da fare essi stessi, eccellessero con simili invenzioni”.