Il sistema dell’Arte? Un cimitero di cadaveri eccellenti. A Favara la mostra provocatoria di Momò Calascibetta

I provocatori ''loculi'' della mostra Cenere dell'artista palermitano Momò Calascibetta, Farm Cultural Park, Favara (Agrigento)

I provocatori ”loculi” della mostra Cenere, personale dell’artista palermitano Momò Calascibetta, Farm Cultural Park, Favara (Agrigento)

di Redazione FdS

Un artista e uno scrittore per raccontare in modo ironico e pungente il sistema dell’arte siciliana, cioè quell’insieme di figure – critici, collezionisti, galleristi, curatori – che si accompagnano agli artisti come un cimitero colorato nel quale i “signori dell’arte” ripetono in eterno i medesimi esercizi. Così lo hanno provocatoriamente immaginato l’artista Momò Calascibetta e lo scrittore Dario Orphée, artefici della mostra itinerante Cenere, curata da Andrea Guastella e visitabile fino al 31 agosto presso il Farm Cultural Park, il centro culturale e turistico fondato da Andrea Bartoli e Florinda Saieva che fra gallerie e residenze per artisti anima da otto anni il cuore di Favara (Agrigento), diventato ormai una delle più importanti mete internazionali legate all’arte contemporanea.
 

Da sinistra: il curatore Andrea Guastella, il pittore Momò Calascibetta e lo scrittore Dario Orphée

Da sinistra: il curatore Andrea Guastella, il pittore Momò Calascibetta e lo scrittore Dario Orphée, Farm Cultural Park, Favara (Agrigento)

La mostra, pur nella sua colorata veste ironica, rappresenta un attacco frontale ad un sistema che pretende di farsi interprete di quanto di nuovo e originale si agita nel mondo dell’arte, ma che alla fine – come sostiene il curatore Andrea Guastella – “con la creazione artistica sembra aver poco da spartire, regolato com’è da leggi di mercato”. Eppure a questo sistema “è interamente demandato il riconoscimento e il successo di un autore”. E un artista che intenda farsi strada, deve preoccuparsi di “conquistare il favore dei galleristi, collezionisti e curatori più influenti con la partecipazione costante a biennali e residenze e con la benedizione – sovente prezzolata – della stampa di settore”. Muovendo da queste premesse, Momò Calascibetta e Dario Orphée hanno quindi voluto provare ad osservare da vicino i protagonisti di questo “sistema”.
 
Da sin.: Momò Calascibetta e Dario Orphée, Farm Cultural Park, Favara (Agrigento)

Da sin.: Momò Calascibetta e Dario Orphée, Farm Cultural Park, Favara (Agrigento)

In questo nuovo lavoro, che rispetto al passato sposta il focus da intere categorie umane e sociali a soggetti singolari, la vena caustica di Calascibetta è più sferzante che mai: alcune delle figure che popolano il suo bizzarro cimitero, “come la strana coppia de L’ultima scena, con due uomini – una Madonna col Bambino – dalle labbra truccate e le unghie rifatte intenti a mimare, addobbati come sono di sacri paramenti, una consacrazione eucaristica decisamente blasfema (il “celebrante” è un travestito, al posto del vinsanto si usa lo champagne, il tappo è un glande e la spuma che fuoriesce dalla bottiglia è un fiotto generoso di bianchissima sperma) tra icone gay autentiche – i San Sebastiano martirizzati sullo sfondo – e oggettistica Kitsch”, superano il grottesco fino a diventare inquietanti. Altri, come Il Cappellaio Matto “circondato di simboli massonici e satanici che munge il latte di una bambola gonfiabile e ha un ‘pio pellicano’ che anziché nutrire i piccoli ferendosi il petto sembra volerli divorare – un altro gigantesco, o forse è un fenicottero, vigila al suo fiancoispirano terrore”, sottolinea Guastella. Altri ancora, “come il giovane seduto in una mandorla a forma di vagina cosparsa di rose e affiancata da angeli piangenti di Topolinia o il nano sorridente del circo di Nanà non possono che suscitare tenerezza e simpatia”.
 
Momò Calascibetta, Cuore di panna, tecnica mistra, 2018

Momò Calascibetta, Cuore di panna, tecnica mista, 2018

Insomma un ‘bestiario’ di non poco conto a cui fa da contrappunto la verve non meno corrosiva del testo di Orphée: Non sono mai stati gli artisti a fare la mostra: è la mostra che li rende tali”; “Oggi ci sono più artisti fastidiosi che emorroidi in tutti i culi della popolazione mondiale”; “La vita stessa è una vendita”; “La cosiddetta critica è una forma subliminale di pubblicità”; “Diciamo che qualcosa è arte perché ci piace, perché abbiamo la necessità di inventare qualcosa in cui riversare la nostra paura di non morire, perché l’ha fatto un nostro amico, perché siamo pagati per dirlo, perché ci siamo abituati, perché dall’arte vogliamo essere sollevati, perché abbiamo il terrore della solitudine, o di essere giudicati e relegati in una minoranza; anche a quelli che stanno nella minoranza e che dichiarano di fottersene, alla fine, gli rode. Insomma, diciamo che qualcosa è arte perché non capiamo nulla”.
 
Da sin: Momò Calascibetta, Dario Orphée e Andrea Guastella, Farm Cultural Park, Favara (Agrigento)

Da sin: Momò Calascibetta, Dario Orphée e Andrea Guastella, Farm Cultural Park, Favara (Agrigento)

Dal canto suo Calascibetta, convinto che “un artista che si rispetti ha il dovere di combattere gli alfieri del politicamente corretto ed eticamente corrotto con tutte le sue forze”, ha concepito questo progetto espositivo “deciso più che mai a salvare la principessa – l’arte – uccidendo, o quanto meno ridicolizzando, la bestia sputafuoco”, spiega Guastella con colorita metafora. L’idea è stata subito raccolta da Orphée che si è ritagliato una parte narrativa in questa mostra che non è una mostra in senso stretto di dipinti ma una vera e propria installazione…quella di un cimitero “con tanto di nicchie in cui sigillare a futura memoria le mummie dei potenti.” E rinnovando la tradizione degli artisti che amano ispirarsi a persone reali, anche i personaggi di Cenere hanno un’identità anagrafica, indovinare la quale fa parte del gioco. Chi sarà mai il critico d’arte specialista in turpiloqui, la donna che indossa un salvagente copiato dal serpente del Peccato di von Stuck, o l’uomo nelle vesti di Madonna con Bambino? Per molti non sarà difficile identificarli, mentre per gli altri basterà attendere la fine della mostra quando, “verranno proclamati con la solennità dovuta i cadaveri eccellenti”. “E tuttavia – conclude Guastella – se non si conoscesse – non esistesse – neppure uno di loro, il fritto misto di Momò e Dario rimarrebbe una pietanza da gustare.”

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