Il Sud Italia regno dei muretti a secco, dichiarati dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità

Muretto a secco, Salento - Ph. image source

Muretto a secco nel Salento, Puglia – Image source

“Dovunque si vada, in Puglia, si vedono pietre che si aggregano, si cercano, si compongono, come […] fossero calamite. Ma perché sono fantasmi […] gli unici veri, che vogliono rivivere nell’epoca del cemento armato la loro prima vita…”
Cesare Brandi, Pellegrino di Puglia, 1979

di Redazione FdS

Hanno assolto ed assolvono a svariate funzioni – di riparo, di confine, di divisione, di sostegno – e col tempo diventano uno spazio vitale per molte specie animali (come ragni, rettili, lumache, anfibi, ecc.) e vegetali, offrendo una combinazione di spazi caldi, freddi, umidi, secchi, soleggiati e ombreggiati. La loro tecnica di costruzione è riscontrabile in quasi tutte le tradizioni culturali del passato, quale remotissima forma di modifica dell’ambiente naturale da parte dell’uomo. Li ritroviamo infatti presso i più svariati popoli, dal bacino del Mediterraneo fino all’Europa continentale, all’America Latina, alla Cina. Sono i muretti a secco, la cui “arte” l’UNESCO ha iscritto nella lista dei beni immateriali dichiarati Patrimonio dell’Umanità. L’organizzazione internazionale ha dunque risposto positivamente agli 8 paesi europei che avevano presentato la candidatura: oltre all’Italia, Croazia, Cipro, Francia, Grecia, Slovenia, Spagna e Svizzera. La decisione è stata approvata all’unanimità dai 24 Stati membri del Comitato, riuniti a Port Louis (Isole Mauritius). È la seconda volta, dopo la pratica tradizionale della coltivazione della vite ad alberello di Pantelleria, che viene attribuito questo riconoscimento a una pratica agricola e rurale.
 

Pajaru, edificio simile al trullo, tipico del Salento

Pajaru, edificio simile al trullo, tipico del Salento – Ph. Paul Barker Hemings | ccby-sa2.0

In Italia i muretti a secco sono un patrimonio ancestrale di diverse regioni, le quali stanno finalmente mettendo in atto pratiche per la salvaguardia di quest’opera dell’uomo la cui tecnica costruttiva spesso muta da una zona all’altra. Li troviamo in regioni del centro-nord come la Liguria (i maixei, per le coltivazioni a terrazza di uliveti e vigneti nei terreni scoscesi) o la Toscana (dove sono diffusi gli uliveti terrazzati), ma è soprattutto nel Mezzogiorno che se ne rileva la più alta concentrazione: dalla Campania, dove vengono utilizzati per perimetrazioni e terrazzamenti, come quelli per i limoneti della Costiera Amalfitana; alla Puglia, dove delimitano soprattutto i grandi uliveti o gli ovili (jazzi) delle masserie storiche, e fanno anche da struttura portante per edifici d’uso abitativo come i trulli; alla Calabria, dove servono soprattutto a sorreggere i vigneti terrazzati (le armacìe) lungo le ripide pendici della Costa Viola; alla Sicilia dove – da quelli neri, in pietra lavica, a quelli bianchi, in calcare – delimitano terreni agricoli, sostengono terrazzamenti o sono utilizzati nella costruzione di edifici come i dammusi di Pantelleria; alla Sardegna, dove li troviamo a delimitazione di aree agro-pastorali e anche nelle strutture plurimillenarie dei nuraghi. Con pressoché analoghe funzioni la tradizione dei muretti a secco sopravvive anche in Abruzzo, Molise e Basilicata.
 

La tecnica della pietra a secco applicata ai trulli

La tecnica della pietra a secco applicata ai trulli, Alberobello, Puglia – Ph. Stefano Avolio | ccby-sa2.0

Il riconoscimento dell’UNESCO interviene a tutelare come Patrimonio dell’Umanità l’arte del “Dry stone walling” (lett. costruire muri con pietra a secco) nella quale – si spiega nella motivazione del provvedimento – sono da ritenersi incluse tutte le conoscenze inerenti la costruzione di strutture ottenute ammassando le pietre una sull’altra, senza l’uso di altro elemento, fatta talora eccezione per la terra. “Le strutture a secco – aggiunge l’UNESCO – sono sempre fatte in perfetta armonia con l’ambiente e la tecnica esemplifica una relazione armoniosa fra l’uomo e la natura. La pratica viene trasmessa principalmente attraverso l’applicazione adattata alle particolari condizioni di ogni luogo in cui viene utilizzata”. I muri a secco, inoltre, “svolgono un ruolo vitale nella prevenzione delle slavine, delle alluvioni, delle valanghe, nel combattere l’erosione e la desertificazione delle terre, migliorando la biodiversità e creando le migliori condizioni microclimatiche per l’agricoltura”.
 

Muretto a secco a  Sant'Andrea Frius, Sardegna - Ph. courtesy Aurelio Candido

Muretto a secco a Sant’Andrea Frius, Sardegna – Ph. courtesy Aurelio Candido

In Italia soddisfazione è stata espressa dal Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo Gian Marco Centinaio, titolare del dicastero che ha portato avanti la candidatura della pratica rurale dell’arte dei muretti a secco in sinergia con il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e con la Commissione nazionale Unesco: “Ancora una volta – ha dichiarato Centinaio – i valori dell’agricoltura sono riconosciuti come parte integrante del patrimonio culturale dei popoli.  Il nostro Paese si fonda sull’identità, i nostri prodotti agroalimentari, i nostri paesaggi, le nostre tradizioni e il nostro saper fare sono elementi caratterizzanti della nostra Storia e della nostra cultura. Non è un caso quindi che, dei 9 elementi italiani riconosciuti dall’Unesco come patrimonio immateriale dell’umanità, ben 4 appartengano al patrimonio rurale e agroalimentare. Un risultato – ha sottolineato – che conferma l’importanza di questo comparto nel nostro Paese e quanto sia fondamentale non dimenticare mai le nostre radici. Ecco perché  – ha concluso – è necessario continuare a investire nella promozione e nella valorizzazione, anche a livello internazionale, delle nostre produzioni agroalimentari e dei nostri territori”. 
 

Muretti a secco italiani secondo varie tecniche costruttive

Muretti a secco italiani secondo varie tecniche costruttive

Anche la Coldiretti ha espresso apprezzamento per il riconoscimento UNESCO dell'”Arte dei muretti a secco”, evidenziando il valore paesaggistico e ambientale di queste opere dell’uomo: “E’ un giusto riconoscimento a una tradizione che in Italia unisce da nord a sud la Valtellina e la Costiera amalfitana, Pantelleria con le Cinque terre e in Puglia il Salento e la Valle d’Itria, realizzata e conservata nel tempo grazie al lavoro di generazioni di agricoltori impegnati nella lotta al dissesto idrogeologico provocato da frane, alluvioni o valanghe. La tecnica del muretto a secco – spiega la Coldiretti – riguarda la realizzazione di costruzioni con pietre posate una sull’altra senza l’utilizzo di altri materiali se non un po’ di terra. La stabilità delle strutture è assicurata dall’attenta selezione e posizionamento dei sassi. Questi manufatti, diffusi per la maggior parte delle aree rurali e su terreni scoscesi, hanno modellato numerosi paesaggi, influenzando modalità di agricoltura e allevamento, con radici che affondano nelle prime comunità umane della preistoria. I muretti a secco svolgono un ruolo fondamentale nella prevenzione delle frane, delle inondazioni e delle valanghe e nella lotta all’erosione e alla desertificazione della terra, aumentando la biodiversità e creando condizioni microclimatiche adeguate per l’agricoltura in un rapporto armonioso tra uomo e natura”.

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Dammusi a Pantelleria, Sicilia - Ph. Gino Roncaglia | ccby2.0

Dammusi sull’isola di Pantelleria, Sicilia – Ph. Gino Roncaglia | ccby2.0

 

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