di Kasia Burney Gargiulo
E’ più antico delle celebri Piramidi di Giza, in Egitto, databili secondo l’archeologia ufficiale a circa 4500 anni fa. Ed è più remoto anche del misterioso circolo neolitico di Stonhenge, in Inghilterra, risalente intorno ai 4000 anni fa. Parliamo del sito archeologico sommerso le cui tracce sono state individuate di recente da un team di sub nell’area del Canale di Sicilia grazie agli indizi raccolti dai geologi dell’OGS (Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale, con sede a Trieste). Qui, a 60 km dalla costa siciliana, è stato rinvenuto un monolito lavorato di 12 metri di lunghezza e 15 tonnellate di peso, che presenta fori regolari su alcuni dei suoi lati ed un foro che lo attraversa per intero in una sua estremità. L’eccezionale ritrovamento testimonia la presenza di antiche popolazioni in questo angolo del Mediterraneo, intorno a 9500 anni fa, quando il livello globale del mare era più basso di oltre 40 metri, profondità alla quale il reperto è adagiato.
A rendere particolarmente affascinante la scoperta nel Canale di Sicilia è il fatto che quello identificato è uno fra i siti sommersi più antichi finora conosciuti, di età Mesolitica, più o meno coevo delle sbalorditive strutture di Göbekli Tepe in Turchia, al momento il più antico complesso templare dell’umanità, che ci riporta direttamente all’era glaciale (circa 12 mila anni fa); sito le cui caratteristiche sono narrate dall’archeologo tedesco Klaus Schmidt nel libro “Costruirono i primi templi”.
Attraverso gli studi guidati dall’OGS, con la collaborazione dell’Università di Tel Aviv, dell’Arma dei Carabinieri e di un gruppo di sub professionisti della Global Underwater Explorers, è stato possibile anche ricostruire la storia dell’insediamento umano legato al misterioso monolite: “Attraverso l’analisi dei dati raccolti (batimetria ad alta risoluzione, campionamenti, osservazioni fotografiche e video) e il confronto con l’andamento della variazione del livello del mare, abbiamo potuto potuto ricostruire la storia dell’abbandono di questo sito, avvenuta intorno a 9500 anni fa” – spiega Emanuele Lodolo, ricercatore dell’OGS e coordinatore dello studio. “Le prime osservazioni risalgono alle attività di ricerca nel Canale di Sicilia che abbiamo iniziato nel 2009 con la nave OGS-Explora, ma solo oggi siamo riusciti a ricostruire la storia di questo sito archeologico”.
I dati – recentemente pubblicati dallo stesso Lodolo e da Zvi Ben-Abraham, professore di scienze della terra all’Università di Tel Aviv, sul Journal of Archaeological Science: Reports – ci riportano ad un arcipelago di isole che già nel Mesolitico furono abitate e che fino a circa 9000 anni fa costellavano il settore nord-occidentale del Canale di Sicilia facendo da “ponte” tra le coste della Sicilia e l’Isola di Pantelleria (Trapani). Esso sarebbe stato progressivamente inghiottito dall’innalzamento del mare seguito allo scioglimento della calotta di ghiaccio che copriva buona parte dell’odierna Europa settentrionale, durante l’Ultimo Massimo Glaciale (circa 18000 anni fa). “Il Canale di Sicilia è una delle zone del Mediterraneo centrale nelle quali le conseguenze del mutamento del livello del mare furono più drammatiche ed intense”, dichiarano in proposito i due studiosi.
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La scoperta di questo sito nel Canale di Sicilia – identificato con l’isola sommersa di Pantelleria Vecchia – consente di accrescere, secondo percorsi inaspettati, le nostre conoscenze sulle prime civiltà nel Bacino del Mediterraneo, in particolare per quanto concerne il grado di evoluzione tecnica e di sviluppo conseguiti dagli abitanti Mesolitici. Non ci sono infatti dubbi che il monolite abbia richiesto attività di taglio, estrazione, trasporto e installazione, rivelatrici di importanti competenze tecniche e ingegneristiche, tali da dover abbandonare la convinzione che i nostri antenati non avessero le conoscenze, l’abilità e la tecnologia per sfruttare le risorse naturali e fare traversate marittime. “Non esiste nessun fenomeno naturale a noi noto capace di produrre queste caratteristiche”, hanno infatti sottolineato nella loro relazione Lodolo e Ben-Abraham. Insomma, grazie a tali scoperte di archeologia sommersa, può ritenersi definitivamente superato il concetto di “primitivismo tecnologico” spesso attribuito ai cacciatori-raccoglitori delle zone costiere.
“Una vasta documentazione archeologica dei primi insediamenti umani – conclude Lodolo – è ancora sepolta nelle aree di mare basso delle nostre piattaforme continentali, che erano emerse durante l’ultimo massimo glaciale. Quasi tutto ciò che sappiamo delle culture preistoriche deriva principalmente dagli studi condotti sugli insediamenti a terra. Per trovare le radici della civiltà nella regione del Mediterraneo, è necessario concentrare la ricerca nelle aree di mare basso ora sommerse: questa sarà la sfida della moderna archeologia”.
E mentre una scoperta come questa compiuta in Sicilia induce con sempre maggiore convinzione a retrodatare l’origine della civiltà umana, i suoi autori continuano a chiedersi a cosa sia mai servito quel monolite e se costituisca un pezzo unico oppure faccia parte di una struttura complessa come la nordica Stonehenge.
ATLANTIDE E I MISTERI DELLA CIVILTA’ MEGALITICA
Sebbene la scoperta del monolite sia avvenuta nel Mediterraneo centro-occidentale a poca distanza da Pantelleria, non può non evocare il mito della civiltà sommersa di Atlantide, almeno secondo quelle ricostruzioni che lo vorrebbero ambientato nel Mare Nostrum piuttosto che nell’Oceano Atlantico: una fra le più note è ad esempio quella elaborata dal giornalista italiano Sergio Frau che nel suo libro Le colonne d’Ercole (2002) propone di identificare le “colonne” di cui parla Platone non con lo Stretto di Gibilterra ma proprio con il Canale di Sicilia e l’isola di Atlantide con la Sardegna, patria del misterioso popolo dei Shardana.
Uscendo dalle dense nebbie del mito per entrare nelle foschie della protostoria, è ancora più interessante citare Quando il mare sommerse l’Europa, volume di Vittorio Castellani, astrofisico dell’Università di Pisa e Accademico dei Lincei, su cui si è peraltro basato lo stesso Frau. Castellani, interrogandosi sull’ipotesi che il mito atlantideo rappresenti una reminiscenza reale di popoli ed epoche antichissime e studiando le variazioni geomorfologiche subite da varie zone d’Europa a seguito dell’ultima glaciazione, pone al centro della sua attenzione quella civiltà delle “grandi pietre” di cui rimangono cospicue tracce in area continentale e mediterranea e che allo sciogliersi dei ghiacci, col conseguente innalzamento del livello del mare, dovette subire in molti luoghi l’azione distruttiva delle acque. Proprio parlando del Canale di Sicilia, Castellani fa riferimento alla presenza di terre, oggi sommerse, che portavano la Sicilia meridionale “ad avvicinarsi sensibilmente, se non a congiungersi, con le attuali isole di Malta a sud e di Pantelleria ad Occidente”. Una tesi questa – già basata su dati geologici e archeologici concreti – che sembra trovare sorprendente conferma nel recente ritrovamento siciliano, il quale ci parla proprio di terre un tempo abitate ed oggi coperte dalle acque marine.
Per approfondire:
– Vittorio Castellani, Quando il mare sommerse l’Europa. Dal mistero dei Druidi ad Atlantide, ed. ANANKE, Torino, 1999, 159 p.
– Sergio Frau, Le Colonne d’Ercole. Un’inchiesta, ed. Nur Neon, Roma, 2002, 672 p.
– Klaus Schmidt, Costruirono i primi templi. 7000 anni prima delle Piramidi, OLTRE edizioni, Genova, 2011, 271 p.
– Badischen Landesmuseum Karlsruhe, Vor 12.000 Jahren in Anatolien. Die altesten Monumente der Menschheit, Konrad Theiss Verlag GmbH, Stuttgart, 2007, 391 p.