di Redazione FdS
Dopo il martirio con la ruota di lame e la decapitazione, ecco il nuovo martirio, stavolta in effigie, riservato a San Giorgio, il santo della Cappadocia che nel Sud Italia, Puglia compresa, gode di un ampio culto, soprattutto in quel luoghi che hanno avuto storici scambi con l’Oriente. E’ il martirio del fuoco, quello che poche notti fa ha devastato la chiesetta di San Giorgio martire, un gioiellino architettonico dell’XI secolo sito alla periferia di Bari, nei pressi del Teatro Kismet. L’interno della chiesa, e in parte anche la facciata, appaiono oggi tristemente ricoperti da una spessa e compatta coltre di nera fuligine, effetto di un incendio che parrebbe essere stato appiccato da balordi per sciogliere cavi elettrici rubati ed estrarne il rame.
Di questo luogo suggestivo, collegato ad una antica struttura abbaziale e ad un ipogeo, avevamo parlato lo scorso 28 gennaio in occasione di un’escursione organizzata dall’associazione Ecomuseo del Nord Barese che aveva invitato i cittadini a prendere visione dello stato di degrado della struttura, denunciato più volte nel corso degli anni sui mass media cittadini. Da quello che è dato sapere, i proprietari della chiesa – la famiglia Scattarelli, a cui fra l’altro si deve il restauro risalente agli anni 20 del secolo scorso – hanno più volte tentato di richiamare l’attenzione delle istituzioni nei confronti di questo bene storico, senza però ricavarne alcun risultato. L’ironia della sorte – o forse sarebbe meglio dire il ritardo cronico con cui in Italia si interviene a sanare certe emergenze – ha voluto che il fuoco si abbattesse sulla chiesa proprio nel periodo in cui erano in corso nuove trattative fra gli eredi Scattarelli e il Fai (Fondo per l’Ambiente Italiano) per la sua cessione finalizzata al restauro e ad una ripristinata fruibilità.
Alla notizia dell’incendio è stata di grande sconcerto la reazione del Prof. Dino Borri, presidente regionale del Fai, il quale si è detto sgomento e dispiaciuto per l’accaduto, il quale “non fermerà” – ha aggiunto – il percorso intrapreso dal Fai intenzionato “a restaurare e salvare la chiesa di San Giorgio perchè possa essere restituita alla città”. Una prospettiva che dovrà però realisticamente fare i conti con gli effetti del fuoco che molto probabilmente è andato a compromettere la già precaria condizione statica dell’immobile. Irrecuperabili senza dubbio le tracce dell’affresco absidale raffigurante il santo guerriero, che si conservavano ancora cospicue sebbene molto logorate dal tempo e dai vandali, così come è probabile si siano dissolti, sotto la nera e compatta fuliggine che ora ricopre il tutto, anche gli eleganti stucchi risalenti agli inizi del ‘900.
Intanto l’arch. Eugenio Lombardi, presidente dell’Associazione Ecomuseale del Nord Barese, ha inviato una lettera di denuncia sul disastro della chiesa di San Giorgio Martire al Nucleo Beni Culturali dei Carabinieri, all’Assessore Maugeri e alla Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici, per richiamare ancora una volta l’ettenzione delle istituzioni sullo scempio che da più parti si va consumando ai danni del territorio e del suo patrimonio: “Ben altra attenzione e tutela – scrive fra l’altro Lombardi nella lettera – avrebbero dovuto essere profuse a difesa di un bene storico di tale straordinario valore, ma a nulla sono valsi gli appelli, le denunce, i tentativi di valorizzazione promossi da singoli e da associazioni. A cosa serve avere il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio se ogni giorno stiamo assistendo impotenti alla cancellazione delle nostre straordinarie memorie storiche e identitarie?”
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E’ difficile aggiungere commenti alle parole dell’ arch. Lombardi. E’ scontato ritenere che in qualsiasi altro Stato più “povero” di arte rispetto all’Italia un gioiello del genere sarebbe stato meta di folle di visitatori. Evidentemente siamo un popolo talmente sciatto da non meritare le vestigia del nostro (lontano) splendore. Continuiamo a gloriarci dei nostri indice di “densità” di opere d’arte e ne siamo talmente convinti da consentire che continui il lento ma inesorabile depauperamento del nostro Patrimonio. Le rendite di posizione, prima o poi, finiscono.