di Enzo Garofalo
Gil Shaham sorride. Sorride al pubblico e all’orchestra, ma soprattutto sorride alla musica. E la musica lo ricambia, fluendo come una prodigiosa epifania dalle corde del suo Stradivari Countess Polignac del 1899. Con lui ha condiviso il palcoscenico del Teatro Petruzzelli di Bari un’orchestra in splendida forma, diretta con sapienza e raffinatezza da Giampaolo Bisanti, suggellando in grande stile, lo scorso 14 giugno, la chiusura pre-estiva della Stagione Sinfonica 2016. Un concerto che può senza dubbio ascriversi fra i migliori degli ultimi anni a Bari, come peraltro sottolineato da vere e proprie acclamazioni rivolte dal pubblico a tutti gli interpreti. E se il futuro di questo teatro è ancora appeso a un filo per le note vicende che non staremo qui a ricordare, per nulla incerto è il futuro della grande musica, tutt’altro che morta, a dispetto di quanto qualcuno vorrebbe far credere. A uccidere la musica sono solo i cattivi interpreti, coloro che riconoscono ad essi immeritate ribalte e quanti tagliano ogni sostegno economico a orchestre, cori e teatri. Dal canto suo la grande arte musicale – dallo spartito allo strumento, alla voce, alla bacchetta che la eseguono – sa farsi riconoscere al primo colpo, e allora è come se improvvisamente i neuroni e l’anima dell’ascoltatore si rivitalizzassero, trascinati da un’iniezione di energia spirituale che diventa fiducia nel futuro della Bellezza e, in fin dei conti, della vita stessa.
Molto coinvolgente il programma scelto per la serata la cui prima parte ha visto Shaham protagonista con il Concerto per violino e orchestra in re maggiore op. 35 di Čajkovskij, sicuramente uno dei lavori del celebre compositore russo più amati dai concertisti di questo strumento. Momenti enfatici e più liricamente raccolti si sono susseguiti in una delle pagine di maggior virtuosismo mai scritte per violino, resa da Shaham in perfetto equilibrio con la compagine orchestrale, con controllo assoluto dell’intonazione, profondità e vigore espressivi, e una mirabile capacità di cesellare i suoni lungo quel vertiginoso confine in cui la tecnica più sapiente cede il passo alla poesia. Applausi a non finire e un Bach di commiato – la Gavotte en rondeau dalla Partita n.3 in mi maggiore BWV 1006 – di cui ha catturato, come pochi, la maestà, le ardite architetture, la delicatezza.
Les Préludes (d’après Lamartine) poema sinfonico n.3 S. 97 di Franz Liszt ha aperto la seconda parte del concerto. Fra le maggiori composizione del celebre ungherese, fu concepita come una pagina di musica pura a preludio di vari pezzi corali, ma alla fine l’autore decise di ricollegarla a una “méditation” del poeta francese Lamartine, conferendole così un “programma”. Filo conduttore la vita dell’uomo, vista come una serie numerosa di “preludi” a fatti gioiosi o tristi. E in effetti la partitura è concepita come un gruppo di episodi di vario carattere, peraltro fusi in un tempo unico. Enfasi, distensione lirica, mestizia, sono sentimenti distribuiti con mirabile equilibrio in questo pezzo che è senz’altro uno dei capolavori di Liszt. Quindici minuti di emozione assoluta fatti rivivere dall’Orchestra del Petruzzelli, impeccabilmente guidata da Giampaolo Bisanti.
Cambio radicale di atmosfere nel pezzo di chiusura del concerto, lo Stabat Mater per soli, coro misto e orchestra op. 53 del compositore polacco Karol Szymanowski, lavoro della metà degli anni ’20 del ‘900 salutato da molti come il suo capolavoro. Del resto egli stesso considerava lo Stabat Mater come la composizione nella quale trovava piena espressione la sua creatività. In essa le 20 strofe della celebre sequenza duecentesca di Jacopone da Todi sono state riorganizzate in modo da ottenere una cantata in sei movimenti, nei quali – attraverso le voci soliste di soprano, contralto e baritono, il coro e l’orchestra – si susseguono stati d’animo contrastanti, oscillanti fra momenti di struggente e solenne lirismo e armonie spigolosamente dissonanti, in cui prende corpo lo straziante dolore della Vergine ai piedi della Croce. Un lavoro estremamente personale, nel quale viene evocata la secolare tradizione della musica sacra e in cui l’autore fonde in modo originale tradizione polacca e percorsi della musica centro-europea conosciuti e assimilati attraverso lunghi viaggi attraverso il continente. Di mirabile qualità l’esecuzione affidata all’Orchestra e al Coro del Teatro Petruzzelli, con le tre ottime voci soliste di Valentina Farkas (soprano), Daniela Innamorati (contralto) e Mattia Olivieri (baritono) che hanno restituito al pubblico l’intensa tessitura emozionale di questo capolavoro.
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