di Redazione FdS
Valle del Crati, un territorio in provincia di Cosenza che fin dalla più remota antichità si attesta come una delle zone più fertili della Calabria, solcata com’è dalle acque dell’omonimo fiume che ha accompagnato la straordinaria stagione storica della Sibari magno-greca; una terra ricca di quei prodotti agricoli che sono l’emblema stesso del Mediterraneo: il grano, l’ulivo, la vite, e quel meraviglioso frutto che va sotto il nome di fico dottato cosentino, considerato già dai Romani il migliore d’Italia; una terra il cui antico splendore trapela dalle suggestive incisioni dell’abate de Saint-Non, umanista, disegnatore, archeologo e mecenate francese che nel Settecento percorse e descrisse queste contrade nel suo Voyage pittoresque. Già crocevia di popoli fra mar Jonio e mar Tirreno, questi luoghi hanno una lunghissima storia da raccontare, una storia che parte almeno dall’Età del Bronzo e che per molti versi è ancora sconosciuta perché non ancora del tutto svelata. Ma talora accade che il caso apra nuovi spiragli di conoscenza, com’è accaduto lo scorso giugno a Bisignano, cittadina di origine antichissima, il cui sottosuolo durante lavori agricoli in un terreno privato posto a nord del centro abitato, in località Squarcio, nei pressi del fiume Crati, ha restituito i resti di una domus romana il cui studio preliminare è stato presentato ieri nel corso di una conferenza stampa tenutasi presso la sede del Comune.
A segnalare i primi affioramenti la signora Lucia Nicoletti, proprietaria del terreno che, prossima a ripartire per la Germania dove abitualmente risiede, ha contattato con solerzia le autorità competenti oltre ad agevolare con la massima disponibilità gli interventi della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Catanzaro, Cosenza e Crotone, coordinati dagli archeologi Giovanna Verbicaro e Giovanni Piccolo. Quella appena compiuta è un’indagine preliminare volta ad identificare la tipologia del sito; l’operazione, finanziata dal Segretariato Regionale del MiBACT, è stata promossa dall’amministrazione comunale che ha curato la logistica e sostenuto le attività di prospezione con georadar e GPS condotte dai geologi Carmine Nigro e Francesca Lucieri per Geomedia & Engineering srls, grazie alle quali è stato possibile rilevare nel suolo la presenza di anomalie di probabile origine antropica successivamente confermate dagli scavi eseguiti. Si è quindi proceduto con la tracciatura di quattro trincee che hanno permesso di portare alla luce i resti di una villa romana con segni di frequentazione dall’età repubblicana a quella imperiale (II sec. a.C. – II sec. d.C.) della quale è stato possibile al momento documentare innanzitutto la presenza di quattro ambienti pertinenti al settore residenziale muniti di pareti (alte almeno 60 cm.) dipinte in rosso pompeiano.
Rilevate anche strutture relative a un settore produttivo, tra le quali si riconosce un vano, pavimentato in opus spicatum, destinato probabilmente alla lavorazione delle olive, come lascerebbe dedurre la presenza dei resti di un torchio. Non si conoscono ancora con precisione l’estensione e lo sviluppo planimetrico dell’edificio, ma i materiali mobili rinvenuti consentono di ipotizzare l’esistenza di ulteriori ambienti produttivi (macine in pietra lavica per la lavorazione di cereali e resti di ceramica ipercotta) e ambienti residenziali di pregio (laterizi per suspensurae, utilizzati nella costruzione di ambienti termali o comunque riscaldati), fornendo indizi sulla potenziale ricchezza di quanto ancora sepolto, per la cui tutela – in attesa di finanziamenti per nuove e più estese campagne di scavo – la Soprintendenza ha sottoposto l’area a vincolo.
Ieri mattina, nel corso della conferenza stampa di presentazione della scoperta, ed entrando ancor più nel dettaglio dei materiali mobili recuperati, l’archeologa Verbicaro ha segnalato il ritrovamento anche di un frammento di pisside (contenitore portagioie) in ceramica a vernice nera del II-I sec. a.C.; di un orlo di coppa in terra sigillata italica del I sec. a.C.; di frammenti di ceramica a pareti sottili del I sec. d.C., prodotta in area vesuviana, e di ceramica in terra sigillata proveniente dal Nord Africa, del II-III sec. d.C.
“Ci sono tutti gli elementi – ha osservato il soprintendente Mario Pagano – per parlare di una villa il cui proprietario dovette essere dedito ad attività di produzione agricola. Del resto ci troviamo in un’area ubicata in una eccezionale posizione di crocevia, a breve distanza dalla importante via Annia-Popilia e dalla riva occidentale del fiume Crati, un territorio la cui particolare fertilità è menzionata nelle fonti antiche. Ritengo – ha aggiunto – si possa fare un accostamento con la villa romana di Larderia, in territorio di Roggiano Gravina, con la quale questo edificio sembra presentare elementi di affinità. Sono convinto – ha concluso – che la conoscenza del sito meriti di essere approfondita, non solo per la sua rilevanza scientifica ma anche perché potrà offrire spunti di collegamento con le attuali attività produttive di Bisignano”.
Questo ritrovamento offre dunque l’opportunità di ricostruire una delle pagine più affascinanti della storia di Bisignano (la bruzio-romana Besidia) e del suo territorio, con ulteriori imprevedibili sviluppi che – ha dichiarato l’archeologa Verbicaro – potrebbero prima o poi contemplare anche il ritrovamento di tracce greche, “tutt’altro che improbabili in quest’area”. Così come sembrano riaccendersi, dopo anni di relativo silenzio, i riflettori anche su quello che è notoriamente considerato il grande ”mistero” di Bisignano, ossia il tumulo di Cozzo Rotondo, una collinetta artificiale già attenzionata dagli archeologi negli anni ’80-’90 ma mai oggetto di un vero e proprio scavo per mancanza di fondi. Bisignano si riscopre così “un luogo intriso di storia le cui potenzialità culturali, turistiche ed economiche – hanno sottolineato il Sindaco Francesco Lo Giudice e l’Assessore alla Cultura Ornella Gallo – meritano di essere valorizzate al massimo grado, ravvisando nel suo passato una risorsa su cui puntare e non un ostacolo allo svolgimento delle abituali attività cittadine”. A tal proposito gli amministratori si sono detti pronti ad intercettare ogni possibile fondo, soprattutto in sede europea, per poter proseguire nelle indagini archeologiche e intaprendere gli interventi di restauro che si renderanno via via necessari.
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