Un tempo diffuso lungo l’estrema punta meridionale della Calabria, oggi figura tra le specie a più alto rischio di estinzione. Per il suo valore ambientale, un progetto speciale dell’AIAB sta tentando di ripopolarlo. Lanciata una campagna di crowdfunding
di Redazione FdS
Il suo nome scientifico – Juniperus Phoenicea – evoca remote antichità mediterranee, così come un relitto di altre epoche appare il nudo tronco dei suoi esemplari più vetusti che, soprattutto nelle aree più in prossimità del mare, assumono a volte un affascinante portamento contorto nel quale sembra trovare espressione plastica la resistenza della pianta all’azione del vento e delle intemperie. Tali caratteristiche finiscono col rendere il ginepro fenicio – conifera della famiglia delle Cupressaceae che in Italia è presente soprattutto nella macchia mediterranea di Calabria, Campania, Sicilia e Sardegna – una sorta di emblema vegetale di una terra dai forti contrasti qual è l’area grecanica del basso Jonio reggino. Qui vegeta in particolare la sottospecie Juniperus phoenicea L. subsp. turbinata Guss. Nyman, un tempo diffusa in tutto il litorale jonico e oggi concentrata soprattutto nelle zone del bacino idrografico dell’Amendolea e di Capo San Giovanni d’Avalos, dove sono presenti alcune piante secolari di straordinaria bellezza.
Legato, come vedremo, a questo territorio dal punto di vista storico-culturale oltre che paesaggistico, il Ginepro Fenicio risulta tra le specie vegetali locali a maggior rischio di estinzione, al punto che l’AIAB Calabria (Associazione Italiana Agricoltura Biologica) ha ritenuto necessario sviluppare da due anni un apposito progetto per la sua conservazione e il suo ripopolamento (“Conservazione e Monitoraggio dell’habitat della macchia dell’Oleo – Juniperetum turbinatae”): si è infatti stimato che nelle zone interessate dall’iniziativa – le aree SIC (siti di interesse comunitario) dell’Amendolea e dei Calanchi bianchi di Palizzi – sopravvivano appena 2800 ginepri, un numero davvero limitato di esemplari che pochi incendi potrebbero far scomparire.
Da qui la necessità di promuovere il ripristino di una pianta il cui principale valore ambientale è dato soprattutto dalla sua idoneità ad arginare i processi di desertificazione che minacciano il paesaggio della Calabria meridionale. Con i suoi esemplari, che eccezionalmente possono arrivare fino agli 8 metri di altezza e superare i 500 anni di età, essa è infatti in grado di colonizzare facilmente ambienti sfavorevoli quali dune costiere, campi abbandonati, scarpate, calanchi, aree degradate o sottoposte a stress, contribuendo così a contenere l’erosione dei suoli. Inoltre le sue bacche rossicce e aromatiche sono una risorsa di cibo per animali come il colombaccio, la volpe e il tasso, con i quali ha instaurato un processo simbiotico che favorisce la germinazione dei suoi semi; infine, in aggregazione con altre specie vegetali dà origine a un habitat vitale per tutti quegli animali che usufruiscono di spazi di transito tra le aree costiere e l’entroterra pedemontano. In Calabria lo si trova associato con formazioni arbustive di olivastro e lentisco, garighe di timo e rosmarino, praterie steppiche a sparto e altre specie meridionali assenti nel resto della Penisola.
A beneficiare della presenza del Ginepro Fenicio – specie sempreverde dal portamento arbustivo o prostrato, a seconda delle condizioni climatiche – sono inoltre le tartarughe marine Caretta caretta: l’AIAB ha infatti aderito all’invito di piantumare ginepri nelle dune della zona speciale di conservazione di Capo Spartivento di Palizzi, tutelata dall’Associazione Caretta Calabria Conservation. La tutela e il ripristino delle dune antistanti la costa jonica calabrese sono infatti fondamentali per la conservazione della tartaruga Caretta caretta.
Questi dossi sabbiosi schermano la luce artificiale proveniente degli ambienti urbanizzati creando inoltre una barriera naturale che aiuta a trattenere i granelli di sabbia delle spiagge, oggi messe a repentaglio anche da una pressante erosione costiera. Il ginepro faceva un tempo parte del loro ecosistema, ma da anni è scomparso dalle dune, fatta eccezione per alcune aree circoscritte tra i comuni di Bova Marina, Condofuri e Palizzi; l’obiettivo è quindi riuscire a ripristinarne la presenza nell’ambiente dunale, con conseguente beneficio per le tartarughe.
A due anni dall’inizio del progetto, l’AIAB ha ora deciso di sollecitare il sostegno di tutti, attivando una raccolta fondi sulla rete, affinché esso possa essere potenziato proseguendo nella già avviata sperimentazione della germinazione dei semi di Ginepro Fenicio che, col supporto del Dipartimento di Agraria dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria e della Fondazione Italiana per la Ricerca in Agricoltura Biologica e Biodinamica (FIRAB), ha consentito di impiantare, presso le aziende biologiche del territorio, 600 esemplari di questa rara specie. Occorre inoltre proseguire nelle attività di monitoraggio e conservazione della specie, attraverso la mappatura degli esemplari di Ginepro Fenicio presenti nella Calabria Greca, la raccolta dei semi (galbuli) e la loro germinazione presso vivai specializzati. Solo così sarà possibile scongiurare l’impoverimento della preziosa biodiversità di questo angolo d’Italia, ovvero quell’insieme di piante, animali, microrganismi, che garantiscono la funzionalità e la sopravvivenza degli ecosistemi naturali, composti da una fitta rete di relazioni tra le specie viventi, uomo compreso.
IL GINEPRO FENICIO E LE COMUNITA’ ELLENOFONE DEL REGGINO
Il progetto AIAB ha previsto anche lo svolgimento di una indagine etnobotanica volta a raccogliere informazioni sull’uso e sulla percezione di questa pianta tra le comunità calabresi ellenofone che ne abitano le aree di maggiore concentrazione. Come la gran parte della flora mediterranea, il Ginepro Fenicio ha trovato infatti diversi impieghi nella cultura popolare greco-calabra, segnando addirittura il territorio attraverso una specifica toponomastica, derivante dal nome in grecanico della pianta (clethro). La storia di quel paesaggio naturale unico che è la macchia mediterranea si fonde infatti col millenario impiego delle piante da parte delle civiltà che hanno popolato le sponde del Mare Nostrum, le quali le hanno utilizzate a fini alimentari, farmaceutici, nella confezione di cosmetici, detergenti, oli per l’illuminazione, coloranti per tinture, nella produzione di legna da ardere o nella realizzazione di manufatti ad uso domestico, artigianale e da costruzione. Il rapporto plurimillenario con la biodiversità vegetale del Mediterraneo ha inoltre favorito una complesso e variegato patrimonio di tradizioni, leggende, utilizzi rituali e magici, carichi di significati simbolici, che nel corso dei secoli sono rimasti legati alle piante della macchia, in un rapporto uomo-natura di carattere spirituale oltre che materiale. Perdere quindi l’habitat del Ginepro Fenicio equivarebbe a perdere anche il bagaglio di conoscenze che le comunità grecaniche hanno acquisito nel corso dei millenni. Con una risorsa naturalistica e culturale verrebbe meno anche una risorsa economica, dato che oggi il paesaggio del Ginepro Fenicio – diventato uno dei simboli identitari del territorio grecanico – è sempre più oggetto di interesse turistico, in armonia con la crescente attenzione del pubblico nazionale e internazionale verso le mete naturalistiche, senza trascurare i benefici economici che potrebbero derivare dall’utilizzo di questa pianta in campo alimentare e farmaceutico, così come nel settore vivaistico.
Il legame delle comunità grecaniche di Calabria con il Ginepro Fenicio si colloca sullo sfondo di un più ampio utilizzo della pianta nelle pratiche curative e religiose diffuse fin dalle ere più remote nei Paesi del Mediterraneo e del vicino oriente mesopotamico. Ritenuta efficace nelle malattie polmonari, attraverso la fumigazione delle bacche, le si riconosceva anche una funzione protettiva contro le malattie e gli influssi negativi in genere (il nome greco del Ginepro, “arkeuthos” dal verbo arkéo, ovvero respingere, allude alle proprietà della pianta di allontanare tutto ciò che è ostile al corpo), oltre ad essere considerato un simbolo dell’Oltretomba, elemento che lo pone in rapporto con le pratiche magiche e incantatorie di cui parlano le fonti di epoca romana. Interessanti le considerazioni del botanico svedese Carlo Linneo sull’origine del nome della pianta: secondo lo studioso il nome specifico phoenicea trova origine nell’aggettivo latino phoenīcĕus (color rosso porpora), derivante a sua volta dal greco φοίνιξ – foínix con lo stesso significato; del resto la parola foínix era già ampiamente utilizzata dai Greci per indicare i Fenici quali esperti nel ricavare da alcuni molluschi marini una tintura pregiata, la porpora, dal color viola-rossastro.
In Calabria, le più antiche informazioni sulla presenza del Ginepro Fenicio ci provengono da una cronaca della città di Bova scritta da Domenico Alagna e pubblicata tra il 1770 e il 1778 nell’opera enciclopedica di Cesare Orlandi dal titolo “Delle Città d’Italia e sue Isole adiacenti”: nel capitolo sulle specie vegetali diffuse nella zona, l’Alagna ricorda il Ginepro Fenicio con il nome Cedro Minore, riprendendo una terminologia usata nei trattati di botanica fin dal Seicento; ci informa inoltre che se ne ricavava una gomma adorosissima e che le sue bacche servivano a molti usi; gli abitanti di Bova lo apprezzavano anche per l’odore del legno, di cui si servivano per il fuoco, e lo chiamavano clethro, vocabolo grecanico ancora oggi impiegato dalle comunità locali nelle varianti cletu e clecaro (a quest’ultima è riconducibile l’origine del toponimo di una specifica località presente nel comune di Condofuri, detta appunto Clecaro, così come di alcune località del circondario di Bova citate in due atti notarili del Seicento, oggi conservati nell’archivio di Stato di Reggio Calabria). Ritroviamo il termine clethro in diversi dizionari e glossari di fine ottocento, quando fiorì l’interesse per la lingua grecanica, e la sua radice sembra doversi ricondurre al verbo torcere, in grecanico clòthò, che allude forse al portamento spesso contorto del tronco del ginepro. Della presenza dell’arbusto nella Calabria Greca ci informa anche uno scritto redatto nel 1862 da Pasquale Autelitano, che ricorda la presenza, nel territorio di Bova, di un vero e proprio “bosco” di Ginepro Fenicio. Il primo però a darne in Calabria una particolareggiata descrizione è stato il botanico Domenico Solazzi Castriota (1810-1860), che ne consigliava l’uso come pianta ornamentale, oltre a menzionare la consuetudine presso i popoli antichi di ricavare incenso dalla sua resina e produrre dalle bacche dei canditi, un tempo spediti dalla Siria a Venezia.
Oggi, nell’area grecanica, si sta assistendo a una riscoperta delle tradizioni connesse a diverse specie botaniche, quindi alla biodiversità dei luoghi, dopo che a partire dagli anni Cinquanta le conoscenze acquisite dalla comunità locali erano andate perdendosi a causa dello spopolamento delle campagne, del cambiamento di stili di vita e dell’introduzione di nuovi materiali e sistemi di produzione; il fenomeno sta riguardando in particolare alcuni settori: da quello alimentare e ornamentale, a quello naturalistico, ambientale, estetico-turistico, senza trascurare il bagaglio storico-culturale legato a tali piante. In questo ambito, il progetto AIAB intorno al Ginepro Fenicio ha verificato quali delle antiche conoscenze si siano conservate nell’area grecanica: in particolare, grazie a un questionario, è stato possibile constatare come siano ancora in molti a conoscere le caratteristiche botaniche della specie, i luoghi in cui cresce, gli esemplari monumentali presenti nel territorio compreso tra i comuni di Palizzi, Bova Marina e Condofuri, le difficoltà naturali di propagazione, i rischi di estinzione, oltre a conservare memoria degli antichi usi della pianta.
È stata inoltre rilevata una particolare attenzione a questa specie da parte di esperti ed associazioni culturali locali, impegnati fin dagli anni Novanta del ‘900 nella sua tutela e valorizzazione, grazie anche al supporto del Dipartimento di Agraria dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria; si è infine constatata la nascita di percorsi naturalistici legati al Ginepro Fenicio e persino la creazione di una riserva naturalistica privata, con l’impianto di circa 50 piccoli esemplari. Viceversa, sebbene a molti siano note le proprietà di durevolezza del legno, l’aroma della resina e l’impiego delle sue bacche nella preparazione di liquori, in Calabria si è pressoché persa traccia degli usi sopravvissuti fino a pochi decenni fa: il riferimento è in particolare alla realizzazione di capanne per pastori, ricoveri per animali, strutture per terrazzamenti e sostegni per pergolati, favorita dalla particolare resistenza del legno, e ancora di piccole botti, bastoni da passeggio, manici per utensili da campagna, impalcature per pozzi, attaccapanni, banchi per la macellazione di animali domestici, telai di imbarcazioni e piccoli solai talora sopravvissuti in alcune vecchie case rurali. Sopravvive invece, sia pure in modo sporadico, l’impiego della pianta nella cura delle vie respiratorie mediante suffumigi. Con il progetto AIAB e il ripopolamento messo in atto sul territorio, c’è oggi da sperare che la Calabria torni a dare a questa preziosa essenza vegetale quella rilevanza che in altri luoghi del Mediterraneo non ha mai perso*.
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* Per tutte le informazioni sul Ginepro Fenicio della Calabria grecanica si ringrazia il dott. Pasquale Faenza, Conservatore dei Beni Culturali, Storico dell’Arte e responsabile Biodistretto Grecanico.