In morte di Lorenzo Pataro, giovane poeta di talento

Lorenzo Pataro nella sua Laino Borgo (Cs) – Immagine dal profilo Facebook

di Redazione FdS

Nel ricordare una delle figure di maggior talento della emergente poesia italiana – quella del calabrese Lorenzo Pataro, scomparso improvvisamente e per cause ancora ignote pochi giorni fa all’età di 27 anni -, ci piace muovere dall’evocativa immagine di copertina del suo profilo Facebook, con lui che osserva dall’alto le vette del Parco Nazionale del Pollino e i tetti di Laino Borgo (v. sopra), antichissimo comune di meno di duemila anime in provincia di Cosenza dove viveva. Guardando questa immagine viene quasi d’istinto associarla a quella, suggeritaci da biografie e versi, di un giovanissimo Giacomo Leopardi che dall’alto del colle Tabor di Recanati concepisce il sublime ”volo” poetico de L’Infinito; qui però lo sguardo fisico di Lorenzo non trova diaframmi, così come dritto e senza filtri è lo sguardo poetico che egli rivolge al mondo e ai suoi microcosmi, a quella “terramadre, terracarne, terracielo” nella quale senso del sublime e di un amaro abbandono si fondono, una terra verso la quale il giovane poeta si proiettava con acuta sensibilità spingendo il processo di incontro con la realtà oltre la soglia dell’immagine fisica, alla ricerca di un personale senso del Sacro; sacralità che Lorenzo riusciva a intravedere nelle cose più semplici, della natura e degli uomini, in quell’ “universo che semina nel petto / qualcosa di antico e benedetto” di cui parla in una delle poesie della fortunata raccolta Amuleti (editore Ensemble, 2022) selezionata nel 2023 per il Premio Strega Poesia e giunta in finale al Premio Pontedilegno l’anno successivo.
 

Copertina della raccolta Amuleti (Ensemble, 2022)

Dai suoi versi trapela infatti la costante ricerca di una luce che gli si rivela solo in quei lacerti di realtà in cui egli ritrovava una incontaminata purezza. Emblematico è il riferimento che il poeta e scrittore Elio Pecora, autore della prefazione al volume, fa a quella “fitta elencazione di luoghi, oggetti, animali, piante, stagioni” che “è insieme vigilanza e stupore, attesa trepida e insopprimibile desiderio di essere e di restare”, evidenziando come – pur nella persistenza di tracce “della negazione e del dubbio, in cui è stato immerso e sommerso il Novecento” -, nei versi di Pataro “mai s’accampa una definitiva rinuncia alla felicità, mai si cede a un’estrema invalicabile negazione”. Un dualismo che il poeta Daniele Mencarelli, in un commento agli “Amuleti” affidato a Internet, sembra riassumere a sua volta nella definizione della poesia di Pataro come “una parola di luce e vertigine, di visione e tragedia. Poesia autentica, che se ne frega dei secoli e dei regnanti”. Tale universo interiore è espresso – come ha scritto su Artribune la critica d’arte Helga Marsala – con “una lingua immune da retorica, traboccante d’infantile candore e di saggezza, di ferite e di suture, lungo minimi passaggi e orizzonti estesi, ricalcati su quelli di campagne e spiagge conosciute, e spinti subito più in là, a farne linee di fuga, proiezioni non euclidee”.

In questo nostro rapido sguardo rivolto al mondo poetico di Lorenzo Pataro ci ha colpito, tra le altre cose, il pacato ma vibrante approccio al tema della morte, quale emerge da uno dei componimenti della raccolta “Amuleti”: “Il sonno dei morti è una virgola tra le voci dei vivi. Sottile, la cruna di un ago. Basta poco, un rumore di fondo, un bisbiglio accennato, il latrato lontano di un cane che perde il suo seme, il sogno di un bimbo interrotto da un volo improvviso nel vuoto, basta poco, una nenia appena indistinta, ci si infila ogni cosa che ha un suono. Eppure il sonno dei morti è limpido e vuoto, asciutto e senza ricordi. Un sogno leggero. Interrotto riprende il suo corso, è un fiume senza capo né coda, senza dighe nel mezzo, né argini ai lati. Come un lino che è steso a coprire ogni poro. È come stare nel grembo materno, al sicuro, ignari del mondo, vigili a ogni sussulto, protetti da un corpo più grande. Ma se calciano forte c’è il rischio che qualcuno in allerta li senta.”

Parole in cui si avverte, intensa, la percezione di una sorta di contiguità tra il mondo dei morti e quello dei vivi, di cui l’uno non è la negazione dell’altro quanto piuttosto una sorta di immagine capovolta, come suggeriscono, sia pure in forma interrogativa, questi altri suoi profondissimi versi: “E se fossimo solo un’ipotesi di volo, / un’istruzione leggera all’apertura / delle ali, se fossimo solo / il capovolgimento, la conversione / di un altrove in cui vive / la nostra parte divisa, / e se un giorno ci ricongiungeremo / con la coincidenza esatta / della felicità, e se allora forse / sogno e realtà / arrivassero finalmente / a coincidere, e se questa fosse solo / una possibilità da spartire / con l’altro, da scambiare / come in un patto? / E se riuscissimo a non rifletterci / più, se riuscissimo a valicare / il limite dello specchio, / del cielo, della porta, riusciremmo / a ritrovarci ancora interi, / veri come una volta?”. Un tema, quello della morte, che sembra ritornare, con un’aura quasi profetica, nei versi di Giorgio Caproni, intitolati “Biglietto lasciato prima di non andar via” e riportati da Lorenzo in un post su Instagram pochi giorni prima di morire: “Se non dovessi tornare, sappiate che non sono mai partito. Il mio viaggiare è stato tutto un restare qua, dove non fui mai”.

Sulla scia dei suoi versi ci piace pensare che, varcata la soglia della vita, Lorenzo si sia ricongiunto “con la coincidenza esatta della felicità” – quella felicità che forse la vita non è riuscita pienamente a regalargli – e chiudiamo questo suo ricordo con i toccanti versi di una sua celebre collega, Alda Merini: “Quando muore un poeta al mondo c’è meno luce per vedere le cose. /Quando muore un poeta gli uccelli hanno una traiettoria in meno tra quelle possibili, e non se ne accorgono. / Quando muore un poeta il male sorride felice di aver perso un avversario. / Quando muore un poeta la mia vita è più piccola, la mia speranza più lieve.”

CHI E’ STATO LORENZO PATARO

Lorenzo Pataro – Immagine dal profilo Facebook

Gentile e schivo, Lorenzo Pataro era nato a Castrovillari (Cs) nel 1998 e resiedeva nella vicina Laino Borgo. Laureato in Lettere moderne e Filologia Moderna all’Università di Salerno, nel 2018 ha pubblicato la raccolta Bruciare la sete (ed. Controluna). La raccolta “Amuleti” (Ensemble, 2022), con prefazione di Elio Pecora, ha avuto una vasta eco venendo recensita da importanti quotidiani nazionali come Il Manifesto, Il Sole 24 ore, Il Mattino, Il Corriere della Sera, oltre ad essere selezionata per il Premio Strega Poesia 2023 e ad arrivare in finale al Premio Pontedilegno nel 2024. Sue poesie sono state pubblicate sui quotidiani La Repubblica e Il Foglio e anche su riviste e blog come Atelier, Interno Poesia, Poesia del nostro tempo, ClanDestino e Il sarto di Ulm. Faceva parte della redazione di Inverso – Giornale di poesia. Tra i premi più importanti ottenuti vi sono “Ossi di seppia” nel 2021 e “Ritratti di poesia” nel 2023.

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