di Kasia Burney Gargiulo
Lo splendore azzurro del mare e il verde brillante della macchia mediterranea delineano i contorni di un arcipelago che sembra uscito dalle pagine di Omero. Il bianco della calcarenite si fa abbacinante sotto i raggi del sole ma non cancella le ombre della memoria. Quelle di un paradiso naturale trasformato in un luogo di confino per omosessuali nell’Italia fascista. Del resto il mito della “maschia” razza italica non avrebbe mai potuto ammettere l’esistenza dell’omosessualità – un po’ come accade oggi nella Russia di Putin o nell’Ungheria di Orban (in fondo i regimi autoritari, anche quelli non dichiarati, si somigliano tutti) – e allora quale miglior rimedio se non rimuovere il ”male” alla radice isolandone i responsabili in un campo di concentramento?
Siamo alle Tremiti, le isole Diomedee di mitica memoria, approdo dell’eroe che secondo la leggenda diffuse la civiltà nelle terre affacciate sul mare Adriatico. Nella Puglia del turismo rampante, sono un lembo di eden mediterraneo tutelato dal Parco Nazionale del Gargano e da una locale Riserva Marina. Qui negli anni ’30 del Novecento è stato relegato un cospicuo gruppo di cittadini italiani, la cui unica colpa era quella di essere diversi dagli altri e pertanto considerati dal regime potenzialmente pericolosi per l’ordine pubblico nonché indegni di far parte del tessuto sociale. Una triste storia di emarginazione, stigma sociale, umiliazione e sofferenza che nel 2006 fu riportata alla luce nel volume La città e l’isola – Omosessuali al confino nell’Italia fascista (ed. Donzelli) di Gianfranco Goretti e Tommaso Giartosio.
L’indagine dei due autori si è concentrata soprattutto su decine di giovani gay catanesi, detti ”arrusi” in dialetto siciliano, incarcerati e mandati al confino in alcuni casermoni sull’isola di San Domino, alle Tremiti, fino allo scoppio della guerra. Pochi di loro, a distanza di decenni, hanno accettato di raccontare quell’umiliante esperienza. Tuttavia le testimonianze dirette e varie fonti d’archivio hanno permesso di ricostruire un mondo “invisibile” ai più: dagli incontri clandestini sulla spiaggia, ai locali da ballo per soli uomini, i travestimenti, gli espedienti, le rivalità, la paura, l’amore. Un’esistenza improvvisamente sconquassata dall’ingerenza dello Stato che, come fece con gli Ebrei, promosse la delazione e rese quasi sempre vani i tentativi di questi giovani uomini di rivendicare la propria innocenza così come di riguadagnarsi la libertà.
Una libertà anelata quale bene supremo, come si evince dalle toccanti parole scritte da Leonardo, detto ‘a Francisa, in una lettera al Ministero degli Interni che gli imponeva 5 anni di confino per omosessualità: “É da otto mesi che sospiro la libertà tutti i giorni, in tutte le ore, in tutti i momenti. La legge umana fa espiare i delitti e i reati degli uomini, privandoli di essa, Dio nell’Eden punì l’uomo con la morte, ma non gli tolse la libertà. Dunque vale più della vita. La vita senza di essa è morta, specialmente per un giovane a vent’anni, che deve pensare seriamente al suo avvenire. Ed io quale delitto, quale male ho commesso per essere privato così inesorabilmente di questo grande tesoro? Di qual reato di quale scandalo mi si può incolpare?”
Questo avveniva fra il 1939 e lo scoppio della IIa Guerra Mondiale in un’Italia provinciale e ipocrita, un Paese in cui spesso l’omosessuale era schernito di giorno e cercato di notte da uomini convinti di essere eterosessuali o atteggiantisi a tali per paura o per convenienza. Una storia di ieri ma anche di oggi, sebbene allora ci fosse in più la perversa fascinazione per un regime autoritario che all’indomani delle leggi razziali si prefisse di reprimere qualsiasi minaccia all’ “integrità della stirpe”. E lo fece andando a colpire, con il tacito consenso di molti, centinaia di “invertiti” o ”pederasti”, aggettivi che in modo sprezzante definivano gli omosessuali. Fu questo il destino di numerosi ragazzi del Sud vissuti in un’Italia per certi versi non troppo diversa da quella attuale dove l’omofobia dilaga continuando a nutrirsi di ignoranza. Un destino che li accomunò a prostitute, persone con disabilità fisiche e mentali, esponenti di minoranze etniche e religiose, attivisti politici e intellettuali dissidenti che, non potendo finire in galera per più serie violazioni di legge, venivano esiliati dal regime fascista: erano i “retenute de Trimete” (i detenuti delle Tremiti), espressione dialettale assurta in quel periodo a designare “malfattori” d’ogni sorta. Un dato ministeriale dell’epoca parla di circa 700 internati nei casermoni appositamente costruiti e 200 in alloggi privati, sorvegliati da 60 carabinieri e 15 agenti di P.S.
E’ interessante osservare il ragionamento ipocrita che aveva portato a introdurre il confino per gli omosessuali. Il Codice Rocco, promulgato nel 1930 dall’omonimo Guardasigilli e tuttora in vigore, non conteneva uno specifico reato di omosessualità in ciò differenziandosi, ad esempio, dal codice tedesco. Alfredo Rocco aveva infatti provato nel 1927 a inserire l’articolo 528 che puniva i “colpevoli di relazioni omosessuali” con la detenzione fino a tre anni, ma alla fine si era deciso di escludere la norma. E non già per un improvviso rigurgito di apertura mentale ma perché prevedere il reato di omosessualità avrebbe significato ammettere esplicitamente l’esistenza in Italia dell’ “innominabile vizio”, cosa intollerabile per un regime ottusamente machista come quello fascista. In una nota della Commissione Appiani, chiamata a esprimersi sull’attuazione del nuovo codice, si legge infatti: “La previsione di questo reato non è affatto necessaria perché per fortuna e orgoglio dell’Italia il vizio abominevole che ne darebbe vita non è così diffuso tra noi da giustificare l’intervento del legislatore”. Si aggiungeva quindi che “nei congrui casi” si sarebbe potuto ricorrere alla “applicazione delle più severe sanzioni relative ai reati di violenza carnale, corruzione di minorenni o offesa al pudore”. Ecco quindi trovato l’escamotage che dette modo a vere task force anti-gay di pedinare e intercettare queste persone allo scopo di incastrarle e farle condannare con sanzioni che andavano dalla semplice ammonizione a 5 anni di confino in isole come Ventotene, Ustica, Favignana e appunto le Tremiti che si distinsero per il folto numero di presenze.
Quella dei gay alle Tremiti non fu una vacanza perché – come raccontano Goretti e Giartosio – i confinati di San Domino vivevano rinchiusi in grandi camerate, coi carabinieri che li controllavano a vista di giorno e li rinchiudevano a chiave di notte. Non c’erano fognature o gabinetti, i rifiuti venivano abbandonati in mezzo alle strade, il cibo era scarso e di bassa qualità, la tubercolosi incombeva. L’unico vantaggio del confino fu che venuto meno alla lunga il rigore dei controlli, i gay riuscirono sull’isola a vivere senza infingimenti il proprio modo di essere più di quanto non fosse loro consentito fare nella propria città di origine, arrivando persino a imbastire relazioni con taluno dei sorveglianti. Alcuni di loro cominciarono anche a svolgere qualche attività per gli abitanti del posto e ciò avvenne in un inaspettato clima di integrazione che fece delle Tremiti la prima località gay friendly d’Italia. Una vera nemesi per l’omofobia del Fascismo. Il tutto terminò il 28 maggio 1940 e San Dominò divenne un luogo pressoché deserto prima di essere nuovamente trasformato in un campo di internamento, stavolta per politici anti-regime ed ebrei.
SAN DOMINO | UN MUSICAL A LONDRA
Il clima discriminatorio che ancora serpeggia nella società contemporanea, a dispetto delle pur importanti conquiste raggiunte dal popolo LGBTQ in varie parti del mondo, ha reso la storia del confino gay alle Tremiti oggetto di interesse da parte del teatro, come dimostra il musical San Domino in scena per tutto il mese di giugno al Tristan Bathes Theatre di Londra. Sulla locandina rossa, a mo’ di manifesto strappato, un doppio simbolo di Marte, allusivo alla coppia gay maschile, è intrecciato nel filo spinato mentre in basso campeggia una frase di Berlusconi che si commenta da sé: “Mussolini non ha ucciso nessuno, ha solo spedito la gente in vacanza al confino!”.
Lo spettacolo racconta di Claudio, Carlo e dei loro amici gay che arrestati una notte del 1939 a Catania e condannati senza processo come ”degenerati”, vengono portati a San Domino, isola pugliese delle Tremiti destinata agli omosessuali. Nonostante l’umiltà e lo squallore della vita carceraria e i sinistri venti di guerra sullo sfondo, questi uomini, prima costretti a vivere nell’ombra, non hanno più bisogno di nascondere la loro identità e le loro inclinazioni, trovando paradossalmente nel confino una libertà di espressione che non avevano mai conosciuto. A reggere le sorti di questa pièce scritta da Alan Whittaker (musica) e Tim Anfilogoff (libretto), un gruppo di 13 bravi attori-cantanti e una band di 4 elementi che portano sulla scena un mondo intimo e tragicomico fatto di sconfitta, amore e lotta per sopravvivere. Un lavoro accolto positivamente dalla critica che ha parlato di “canto gioioso, dialoghi spiritosi e musica meravigliosa” e definito la vicenda narrata “una storia forte e importante”. Nel video seguente il trailer dello spettacolo.
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