di Redazione FdS
Se fosse ancora viva, il 7 marzo scorso avrebbe compiuto 93 anni. A Buenos Aires c’è una piazzetta a lei dedicata che ne ricorda l’attivismo contro quella giunta militare di Jorge Rafaèl Videla che in Argentina, dal ’76 all’83, avrebbe annientato non solo l’opposizione politica ma un’intera generazione di cittadini (ben 30 mila persone). Parliamo di Angela Maria Aieta, una calabrese nata nel 1920 nel borgo marinaro di Fuscaldo, sul Tirreno cosentino, da dove giovanissima emigrò in Argentina insieme alla famiglia.
Durante il regime militare Angela sarebbe presto diventata un’attivista dell’opposizione e questa scelta coraggiosa le costò la vita. Fu sequestrata a 56 anni perché combatteva per i diritti umani e perché era madre di Dante Gullo, all’epoca leader della Gioventù Peronista. Fu prelevata da una squadra di militari, mentre si trovava in casa con il marito Umberto Gullo. Fu portata all’ESMA (Escuela de Mecánica de la Armada), la scuola militare argentina trasformata dalla dittatura in un grande centro di detenzione clandestina, uno dei trecento luoghi in cui venivano reclusi i cittadini considerati sovversivi. Dopo mesi di detenzione e di torture fu uccisa nell’agosto del 1976 in uno dei voli della morte che partivano ogni mercoledì dall’ESMA: i prigionieri venivano addormentati e poi gettati da aerei nell’oceano.
Stessa fine di Angela avrebbe fatto anche il figlio Salvador Jorge Gullo, sequestrato ed anche lui rimasto desaparecido. Il figlio maggiore Dante sarebbe invece sopravvissuto, e una volta uscito dal carcere dove veniva detenuto per motivi politici, è entrato a far parte negli anni ’80 di una delle principali Ong di tutela dei diritti umani, l’Assemblea Permanente per i Diritti Umani (APDH). Attualmente è uno degli esponenti della “Plataforma Latinoamericana” con la quale s’impegna nella lotta all’impunità, nella promozione dei diritti economici e sociali e nella diffusione del “bilancio partecipativo”. Dante è anche deputato del Fronte della Vittoria, nel Parlamento argentino.
Dante ricorda così il sostegno avuto dalla madre Angela durante i suoi otto anni di prigionia (dal 1975 al 1983): ” “Per venirci a trovare i familiari erano costretti a perquisizioni violente, soprattutto per le donne. Ma se non venivano c’era il rischio che ci facessero sparire. Mia madre non mancò mai di starmi vicino. Combatteva in Argentina per la mia liberazione, per i diritti umani e le condizioni dei detenuti. Aiutava i parenti degli altri carcerati”.
Sulla terribile esperienza vissuta in carcere da Angela, riferiamo la toccante testimonianza resa ai giudici da Hebe Lorenzo, una donna che ne condivise la prigionia ma che a differenza di Angela ce l’ha fatta: “Stavamo tutto il giorno sdraiate per terra incappucciate e bendate. Mani ammanettate e piedi legati. Non potevamo parlare né muoverci. Se lo facevamo ci prendevano a calci. Suonavano sempre una musica assordante. Potevamo conoscere solo chi ci stava accanto. Nel primi tempi di detenzione mi trovai con Angela Maria. Era lì da venti giorni. Avevamo il cappuccio, non potevamo vederci, ma ci incoraggiavamo a vicenda. Lei di calci ne ha presi tanti. Ricordo la prima cosa che mi ha detto quando ci siamo conosciute: ‘ricordati che sono la madre di Dante Gullo’. Tutti noi militanti della gioventù peronista sapevamo chi era.”
Per l’omicidio di Angela è stato condannato all’ergastolo il militare Alfredo Astiz, uno dei più noti criminali della dittatura argentina.
Forse in pochi sanno che da sempre Angela è considerata una martire della libertà argentina e che ha avuto diversi riconoscimenti alla memoria anche in Italia: fra gli altri, il 27 gennaio 2007, il comune di Fuscaldo le ha intitolato la scuola elementare del paese.
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Il legame della Calabria con l’Argentina oggi passa – oltre che attraverso una figura come quella di Angela Maria Aieta – anche tramite un’ampia parte di quei 12 milioni di cittadini argentini di origine italiana e tramite un accordo esistente fra il comune argentino di Rio Negro e quelli calabresi di Cosenza e Fuscaldo. Un momento importante di questo rapporto si è avuto quando la regione Calabria si è costituita parte civile nel processo dinnanzi alla Corte d’Assise d’Appello di Roma, per il rapimento, le torture e gli omicidi di Angela Maria Aieta, Giovanni Pegoraro e sua figlia Susanna, incinta, sequestrati tra l’agosto del 1976 e il dicembre del 1977. Il processo, in cui si costituì parte civile anche lo Stato Italiano, si è concluso nell’ aprile del 2009 con la condanna all’ergastolo di svariati gerarchi argentini. Il tutto grazie a 35 testimoni provenienti da diverse città italiane e straniere e un’inchiesta condotta dal pm Francesco Caporale. Erano imputati per crimini contro l’Umanità, Emilio Eduardo Massera, comandante della Marina militare argentina e gli ufficiali del “Grupo de Tarea 3.3.2” Jorges Eduardo Acosta, Ignacio Alfredo Astiz, Raul Jorge Vidoza, Antonio Vanek e Antonio Hector Febres. Tutti contumaci. Latitanti come la verità per tanti, troppi anni (special thanks to: www.reggiotv.it)