Una rara coppa rituale in oro decorata a sbalzo ritrovata in Sicilia, finita nelle mani di un famigerato collezionista americano e recuperata nel 2000. L’esistenza di un misterioso «doppio» al MET di New York…
di Redazione FdS
Quella che andiamo a raccontarvi è la intricata storia di uno straordinario capolavoro dell’oreficeria antica; una storia per molti versi simile ai numerosi casi da noi trattati in questi anni e riguardanti beni culturali trafugati in Italia e poi finiti nelle teche dei più importanti musei del mondo o in collezioni private. Una storia di ordinaria illegalità connessa a quell’oscura rete di trafficanti internazionali di reperti archeologici di cui il compianto magistrato romano Paolo Giorgio Ferri scoprì nel 1995 l’organigramma dando l’avvio a processi ormai storici e a un’onda lunga e intermittente di restituzioni non ancora esauritasi. L’oggetto di cui vi parliamo è la Phiale aurea di Caltavuturo, una coppa per libagioni rituali del IV-III sec. a.C., splendidamente decorata, oggi custodita presso l’Antiquarium di Himera, a Termini Imerese (Palermo). Il primo accenno a questo reperto lo si trova in un articolo che lo studioso Giacomo Manganaro pubblicò nel 1989 sulla Revue des études anciennes, nel quale dichiarava di averlo visto anni prima in una collezione privata siciliana, oltre a fornirne descrizione e documentazione fotografica. Trascorsero cinque anni di silenzio prima che della coppa si tornasse a parlare in correlazione a una inchiesta della Procura di Termini Imerese che indagava su alcuni oggetti d’arte sottratti al locale Museo.
Emerse così la storia del rinvenimento che sarebbe casualmente avvenuto intorno al 1980 nel territorio di Caltavuturo (Palermo), durante i lavori per la costruzione di un pilone della linea elettrica. Venduto dagli scavatori a un collezionista di Catania (fu a casa sua che, chiamato ad autenticarla, la vide Manganaro), questi rivendette il reperto per 30 milioni di lire a un noto collezionista di Enna che a sua volta lo cedette per 140 milioni di lire al titolare di una società commerciale con sede a Zurigo. Era il 1991 quando la coppa lasciava clandestinamente la Sicilia per approdare in Svizzera, uno degli snodi principali di questo genere di traffici. A prelevarla da Zurigo fu un intermediario che si occupava di arte antica a New York. Grazie a quest’ultimo e a falsi documenti doganali che indicavano la Svizzera come paese d’origine e un dichiarato valore dell’oggetto di soli 250 mila dollari, il mercante elvetico riuscì a vendere la coppa negli Stati Uniti. Ad acquistarla per 1.200.000 dollari fu un noto miliardario americano, lo stesso al quale nel 2021 sono stati sequestrati 180 oggetti di antichità per un valore di 70 milioni di dollari, tra i quali un affresco da Ercolano raffigurante Ercole bambino che strangola i serpenti inviati da Hera per ucciderlo, acquistato illegalmente nel 1995; le indagini hanno rivelato come l’uomo fosse in contatto con i più discussi mercanti, italiani e internazionali, di reperti archeologici (tra i quali l’americano Robert Hecht, noto alle cronache giudiziarie e deceduto nel 2012).
Avvalendosi di numerosi esperti, tra cui quelli del Metropolitan Museum di NY (di cui era mecenate), il nuovo possessore fece sottoporre ad analisi accurate la coppa al fine di accertarne l’autenticità, puntualmente confermata. Quel capolavoro rimase esposto nella residenza del miliardario a Manhattan fino al 1995, ossia fino a quando una rogatoria, avanzata dalla Procura di Termini Imerese, ne determinò il sequestro. Negli USA fu quindi avviata un’azione penale (parallela a quella siciliana) che nel 1997 – e nel 1999 in appello – si concluse con una sentenza che accertava l’origine furtiva del reperto e l’obbligo di restituzione all’Italia. Negli Stati Uniti si aprì anche un dibattito pubblico sui reperti di origine illecita presenti nei musei, con una dura presa di posizione da parte dell’AIA (Archaeological Institute of America) che sottolineò l’importanza di rispettare il contesto storico e geografico originale di ciascuna opera ed evidenziò la diretta e devastante correlazione esistente tra il commercio illegale e il saccheggio dei siti archeologici da parte degli scavatori clandestini.
Intanto, già nel 1996, sulla scia delle notizie apparse sui giornali la Soprintendenza di Palermo si era attivata per monitorare meglio l’area di Caltavuturo, soprattutto il sito archeologico di un abitato di età ellenistica (l’antica Ambica) ubicato sul Monte Riparato, dove fin dagli anni ’70 la Soprintendenza e l’Università di Palermo stavano conducendo indagini; un insediamento con annessa necropoli ricca di corredi, che in età arcaica ricadde nell’area di influenza di Himera e che tra IV e II secolo a.C. dovette godere di una certa floridezza. Poiché l’area fu ritenuta la principale indiziata quale luogo di provenienza del reperto, e nella prospettiva del suo imminente rientro in Italia, la Soprintendenza – all’indomani della storica sentenza americana – chiese l’assegnazione definitiva all’Antiquarium di Himera.
La riconsegna della coppa avvenne il 29 febbraio 2000 nel corso di una cerimonia svoltasi a Roma alla presenza di autorità italiane e americane. La sua prima riapparizione in Sicilia avvenne presso la storica villa Whitaker di Palermo dove rimase esposta per un solo giorno. In attesa della sua collocazione definitiva, e dopo le nuove analisi tecniche che ne confermarono l’autenticità, la Soprintendenza che la ebbe in custodia, ne permise l’esposizione in varie mostre tenutesi fino al 2009 a Palermo, Caltavuturo, Assisi, Zurigo e Marsiglia. Al 2010 risale invece l’approdo definitivo all’Antiquarium di Himera dove oggi è esposta in tutto il suo splendore.
PHIALE AUREA: DETTAGLI DI UN CAPOLAVORO
Una decorazione fittissima – realizzata a sbalzo e fatta di girali, palmette, frutti di faggio, ghiande e api – connota questa coppa che concentra in sè la magia dell’oro in cui è plasmata (ben 982,84 grammi) e il mistero della funzione rituale e votiva a cui era adibita. Dotata di un diametro di 22,75 cm. e di un’altezza di 3,7 cm., la phiale ha un profilo arrotondato che converge verso la protuberanza centrale dell’omphalos (dal greco ‘ombelico’) di 3,9 cm di diametro e 2,7 di altezza, circondato alla base da una lamina a corona circolare ornata a sbalzo da palmette alternate a fiori di loto stilizzati; ad esso corrisponde sul retro una concavità, utile – secondo gli archeologi – a consentirne la presa con le dita. Tale concavità è contornata da una corona con incisa una decorazione formata da foglie d’edera sorrette da steli curvilinei con corimbi e ricci terminali. Sul bordo liscio esterno è presente una iscrizione puntinata in lingua e caratteri greci (dialetto dorico), che ricorda il nome del dedicante; indicato è anche il peso della coppa, segnato con un antico e particolare sistema per scrivere i numeri: caratteristiche che secondo gli studiosi consentono di assegnare con sicurezza la phiale ad ambito siceliota del IV-III secolo a.C.
Le phialai erano un oggetto rituale, in ceramica o in metallo, alquanto diffuso nell’antichità e, dato il loro utilizzo per le libagioni offerte alle divinità, non era raro che fossero particolarmente preziose al punto da entrare a far parte dei tesori di templi e santuari. La loro diffusione nel mondo greco è attestata dalle numerose raffigurazioni su vasi attici e dalla scultura templare come testimoniato dalle Cariatidi dell’Eretteo di Atene, che appunto reggevano in mano phialai decorate con il motivo delle ghiande; a confermarlo sono le copie di età romana rinvenute a Villa Adriana e nel Foro di Augusto a Roma. Anche il resto della decorazione è ampiamente documentato nell’ambito delle oreficerie greche, soprattutto di età ellenistica.
QUELLA PHIALE «GEMELLA» DEL METROPOLITAN DI NEW YORK
Premesso che le phialai d’oro finora ritrovate sono in numero relativamente limitato, due sono quelle a cui la phiale aurea di Himera può maggiormente essere paragonata. La prima – su cui lo Stato Italiano farebbe bene a concentrare la propria attenzione, pretendendo dal museo dettagliate informazioni – si trova esposta al Metropolitan Museum di New York, una delle istituzioni museali più importanti del mondo che, proprio in questi giorni, si è vista sequestrare con obbligo di restituzione ben 21 reperti trafugati in Italia, tra cui – come riportato dalla stampa americana – anche una phiale in argento con omphalos dorato che il museo acquistò nel 1994 dal noto mercante Robert Hecht, anni dopo inquisito in Italia ma archiviato nel 2012 per intervenuta prescrizione. Come scritto dagli archeologi italiani nel 2010, la phiale mesomphalos aurea oggi al Metropolitan, anch’essa del IV-III secolo a.C., fu acquistata dal museo “senza documenti che ne attestassero la provenienza” (Guzzo, Spatafora, Vassallo, 2010). Di essa – affermano – non si conosce il luogo del rinvenimento “che tuttavia, sulla base di alcuni elementi abbastanza probanti, sembra, anche in questo caso, potersi identificare con la Sicilia: l’esemplare è infatti “pressoché identico” a quello di Himera, “dal quale si differenzia solo per il peso [gr. 747 – NdR], per la decorazione accessoria e per la presenza di una iscrizione in lettere puniche intorno all’omphalos” (Spatafora e Vassallo, 2005), iscrizione che “ne indica un uso, non sappiamo se ultimo nel tempo, entro un ambito culturale che comprende anche parte della Sicilia” (Guzzo, Spatafora, Vassallo, 2010).
Come risulta dal sito del Museo, l’oggetto fu venduto al Metropolitan nel 1962 dal “solito” Robert Hecht, senza che vengano riportate altre informazioni sul suo status precedente. Tornando alla sua straordinaria corrispondenza con phiale di Himera, gli studiosi hanno evidenziato come “la decorazione a sbalzo…trova un preciso e dettagliato riscontro non solamente per la presenza di ghiande e di altri elementi ovoidali (frutti di faggio), ma anche per quella di api, intervallate alle ghiande della corona più esterna, poste in uguale posizione. Quest’ultimo particolare potrebbe rafforzare l’ipotesi della pertinenza delle due phialai ad uno stesso ambiente produttivo” che si ritiene possa coincidere con uno dei centri principali del mondo ellenistico. Secondo quanto scrive Fabio Isman nel suo “I predatori dell’arte perduta”, la presenza di questa phiale al Metropolitan avrebbe costituito un incentivo per l’acquirente della coppa siciliana, esaltato dall’idea di entrare in possesso di un reperto analogo a quello custodito nel maggior museo del mondo; anzi – aggiunge Isman – il venditore, avrebbe addirittura presentato la phiale di Himera come un “pendant” di quella esposta nel museo newyorchese.
LA PHIALE BULGARA
La seconda phiale suggestivamente confrontabile con quella di Himera è quella oggi conservata al Museo di Plovdiv in Bulgaria. Rinvenuta nel 1946 in Tracia assieme ad altri preziosi e pregevoli oggetti, fa parte del cosiddetto Tesoro di Panagjurište, un corredo tracio formato da nove pezzi in oro (per un peso totale di oltre sei chili), rinvenuto nei pressi della omonima cittadina, nella Bulgaria nord-occidentale. La phiale è caratterizzata da tre cerchi di teste di Etiopi, separate da un motivo a palmetta e da uno di ghiande, elemento decorativo, quest’ultimo, che in particolare la accomuna alla phiale di Himera ma che, come già accennato, era abbastanza diffuso per questo tipo di oggetto.
SUGGESTIONI SIMBOLOGICHE
Sul possibile significato simbolico della phiale e del’omphalos, ossia l’umbone centrale – che nel caso di analoghe coppe in argento è spesso, e forse non casualmente, rivestito d’oro -, ci piace ricordare l’affascinante interpretazione misterico-letteraria data dallo scrittore inglese David Herbert Lawrence riferendosi alle patere umbilicate, versione etrusca e romana delle phialai greche: “la sacra patera o ‘mundum’, la coppa rotonda con la protuberanza rialzata nel centro rappresenta il germe sferico del cielo e della terra. Esso raffigura anche il plasma vitale della cellula vivente, col suo nucleo, che è il dio indivisibile del Principio e che rimane vivo e intero sino alla fine; l’eterna vita in tutte le cose, che si divide e suddivide, e diviene così il sole del firmamento, il loto delle acque sotterranee e la rosa di tutta l’esistenza sopra la terra: e il sole mantiene la sua essenza vitale intatta, per sempre; e c’è una essenza vitale vivente del mare e di tutte le acque; ed ogni cosa creata vivente ha la propria essenza vitale che non viene mai meno. Così dentro ogni uomo c’è la sua essenza vitale, quando è bambino e quando è vecchio, sempre la stessa; una qualche scintilla, un qualche elettrone di vita che non nasce e non muore. E questo è ciò che è simboleggiato dalla patera, che può essere fatta per fiorire come una rosa o come il sole, ma che rimane la stessa, il germe centrale dentro il plasma vivente”.
AGGIORNAMENTO AL 7 SETTEMBRE 2022: INTERROGAZIONE PARLAMENTARE SULLA PHIALE ESPOSTA AL MET
All’indomani della presente pubblicazione (citata nell’iniziativa), un gruppo di senatori (Margherita Corrado, Luisa Angrisani, Bianca Laura Granato ed Elio Lannutti), nell’esercizio della propria facoltà di sindacato ispettivo, hanno presentato al Ministro della Cultura una interrogazione parlamentare in cui chiedono di sapere “perché non sia stata ancora aperta una istruttoria e chiesta ufficialmente al MET la consegna della patera aurea (“gemella” di quella oggi esposta a Termini Imerese) acquistata da uno dei più famigerati trafficanti internazionali e spoliatori di siti archeologici italiani (anche siciliani, come ha ammesso egli stesso nel suo memoriale), tant’è che in passato e anche oggi il MET deve restituire reperti acquistati presso di lui, senza ricevere né pretendere informazioni sui precedenti passaggi di proprietà di quello straordinario esemplare di oreficeria ellenistica, che tuttora il museo trattiene, benché l’origine siciliana e l’esportazione non autorizzata siano pressoché certe” e “quale credibilità abbia (e la domanda è retorica) la soddisfazione espressa dal MET nelle dichiarazioni di questi giorni circa i reperti in procinto di rientrare in Italia, perché confiscati al prestigioso museo di New York, se i suoi responsabili continuano a trincerarsi dietro il pretesto che l’onere della prova spetta all’autorità giudiziaria italiana o alla diplomazia nazionale quando eticamente dovrebbe valere l’esatto contrario”.
Antiquarium e Parco Archeologico di Himera, Termini Imerese (Palermo)
Contrada Buonfornello, sulla SS113
Orari ingresso: Da martedi a sabato 9.00 – 18.30, domeniche e festivi 9,00 – 14,00. Lunedì chiuso
Biglietti: 4 euro (intero) – 2 euro (ridotto)
Infotel: +39 0918140128
Biblio-sitografia:
– Pier Giovanni Guzzo, Francesca Spatafora, Stefano Vassallo, Una phiale d’oro iscritta dall’entroterra di Himera. Dalla Sicilia a New York, e ritorno, in Mélanges de l’École Française de Rome, 122-2, 2010 (edizione on line)
– Il magnate si pente, restituirà i tesori trafugati, in Il Tirreno, 9 dicembre 2021
– Francesca Spatafora, Stefano Vassallo, La Phiale aurea di Caltavuturo (Guida breve), Soprintendenza dei Beni Culturali e Ambientali di Palermo, Palermo, 2005, pp. 38 (edizione on line)
– Fabio Isman, I predatori dell’arte perduta. Il saccheggio dell’archeologia in Italia, Skira, Milano, 2009, pp. 256
– David Herbert Lawrence, Itinerari etruschi, Universale Tascabile Newton, Roma, 1989, pp. 173