Ti senti chiamato in causa: “Tu non conosci il Sud”. Non sai se prenderla come accusa, una manchevole trascuratezza o una minaccia. E mentre rimugini un potenziale senso di colpa, ti accorgi che non è poi tanto facile parlare del Sud. Il rischio di una comoda generalizzazione – il sole, la pizza, la mafia, i terroni, la miseria, la pigrizia – è così alto da tenerci ancorati agli stereotipi dell’immaginario comune. Fa bene Oscar Iarussi a richiamare le disadorne parole di Vittorio Bodini. Sono grata per quel brusco richiamo che mi ha spinto a leggere i versi successivi
Tu non conosci il Sud, le case di calce
da cui uscivamo al sole come numeri
dalla faccia di un dado.
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contenuti nella raccolta La luna dei Borboni (1952, ora in Tutte le poesie, Milano 2006). Non conoscevo il poeta salentino. Ecco una prova di non conoscere il sud. Fa bene il curatore del progetto e della mostra fotografica “Il Sud e le donne” di Ferdinando Scianna (Matera 4-19 aprile 2015) a ridestare l’attenzione sul dettaglio, a sorvegliare su trame complicate di una storia geopolitica, etno-culturale e artistica tra le più complesse e sfortunate, a farci riflettere sull’altra metà del cielo, le donne, che hanno occhi di fuoco e mani di corteccia. La fatalità epica nei loro sguardi invade gli spazi e gli uomini, la fede spagnola e la devozione barocca, la luce accecante e il nero delle vesti, eternamente in lutto per qualcuno. Il guizzo dell’infanzia all’aperto e l’apprensione delle madri, le volute di fumo sui tavoli maschili di briscole e tressette, i lunghi silenzi nella canicola, l’odore fresco del bucato portato dal vento, l’orgoglio delle ricchezze del mare e della terra sui banchi del mercato: anche qui è epifania del sud.
Dell’ammirazione di Ferdinando Scianna, interprete di un meridione ancestrale e magico, non faccio cenno, tanto è profonda e condivisa. Mi sorprende in lui – non posso fare a meno di sottolinearlo – l’intreccio indistinguibile tra spontaneità e concettualità, che tocca un punto oltre il quale la fotografia classica non può andare. La sua fotografia dice e rappresenta come una poesia: per lampi e chiaroscuri, dialogo di sguardi e visioni d’insieme. Le sottolineature della memoria si rivelano presenze costanti nei paesaggi naturali e urbani, nei volti segnati dal tempo e in quelli lisci dell’infanzia e della giovinezza. Le fil rouge è femminile, anche semplicemente evocato, realtà e mistero inattingibile che l’occhio maschile scruta con deferente o sensuale ammirazione, forse simbolo-indicazione di una storia personale e di un ri/petere nell’unica direzione possibile: il recupero dell’anima antica di un popolo, in cui tutti si riconoscono uguali e differenti come le facce di un dado.
Quanto alle protagoniste delle fotografie, i ritratti di Maria Grazia Cucinotta, Monica Bellucci, Marpessa, Celia e Mandala sono esposti insieme a quelli di ragazze “della porta accanto”. Hanno fatto bene le organizzatrici, Anna Pellegrino e Sonia Del Prete, dell’associazione Veluvre – Visioni culturali, in virtù della collaborazione con Matera-Basilicata, Capitale europea della cultura 2019, a puntare sulla straordinaria sede della mostra, la Casa Cava di Matera, dopo la varia e nutrita serie di manifestazioni svolte a Bari dal 25 novembre al 4 dicembre 2014, tra cui uno spettacolo interpretato da Rocco Papaleo. Mai come in questa circostanza il richiamo simbolico alla grotta/grembo dell’antica cava di tufo ipogea risulta più idoneo e congeniale. Un ritorno al sicuro. E dire che proprio nello stesso luogo Ferdinando Scianna il 15 gennaio scorso ha presentato il suo ultimo libro Visti & Scritti, nell’ambito del percorso “Solchi”, a cura del Movimento culturale Spiragli di Altamura, incantando il pubblico per le sue doti affabulatorie. Chi, meglio del fotografo stesso, può aggiungere ulteriore senso e valore col racconto degli episodi che sono all’origine o accompagnano una fotografia in una sintesi personalissima e illuminante?
Fotografo e scrittore, dunque: secondo Leonardo Sciascia, nei servizi di moda con Marpessa, egli ha saputo pirandellianamente trasformare il personaggio in una “creatura”, mescolando autenticità e artificio. Scianna distingue due modi di fare fotografia: guardare il mondo facendone fotografie, oppure, fare fotografie per l’esigenza di raccontare il mondo. Quest’ultima è la sua poetica.
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