di Enzo Garofalo
E’ noto come al di là della bellezza della musica e della drammaturgia (spesso molto scarna), una delle chiavi dell’antico successo dell’opera barocca fosse quella di sbalordire con le fantasmagorie scenografiche. Ebbene, la messa in scena de La lotta d’Ercole con Acheloo, ‘divertimento drammatico’ di Agostino Steffani rieseguito per la prima volta dopo la bellezza di 325 anni al 40° Festival della Valle d’Itria di Martina Franca (Taranto), è stata invece la dimostrazione pratica di come si possa riuscire a stupire e ad affascinare il pubblico anche con altri ingredienti. In questo caso la danza e soprattutto le idee del regista, che ha avuto anche il ruolo di coreografo ed è riuscito a far compenetrare in modo sapiente danza e drammaturgia rendendo la prima parte integrante della seconda. Ma sopra ogni altra cosa, questa produzione – inserita all’interno del progetto Accademia del Belcanto – ha rappresentato l’occasione per riscoprire il capolavoro musicale di un autore davvero meritevole di attenzione.
Ecclesiastico, diplomatico, compositore, il veneto Agostino Steffani è stato una delle figure più influenti dell’Europa a Cavallo fra Sei e Settecento, vicino com’era a sovrani, filosofi, accademici. Personaggio versatile, pregno di cultura cosmopolita, viaggiò tantissimo e nella sua produzione musicale – non copiosissima ma di elevato valore qualitativo – riuscì a veicolare gli influssi delle culture musicali espresse da luoghi di produzione fondamentali come Venezia, Roma, la Germania, la Francia e persino l’Inghilterra. Nelle sue pagine convivono la cantabilità italiana, il contrappunto tedesco, elementi stilistici francesi, dando vita ad un linguaggio musicale di respiro europeo capace di influenzare autori come Haendel, Telemann e Bach. Haendel gli fu persino debitore della carica di maestro di cappella ad Hannover, città dove Steffani trascorse lunghi anni della sua vita, mentre Bach non si fece mancare in biblioteca diverse pagine di musica del maestro veneto. Apprezzato soprattutto per i suoi duetti vocali (ne compose circa un centinaio), si ritiene che la produzione operistica di Steffani abbia contribuito a consolidare la fama dell’opera italiana in Germania e ad influenzare gli autori locali al punto da poter paragonare il suo influsso sul melodramma della Germania del nord a quello di Lully in Francia o di Purcell in Inghilterra.
Quindi una figura di musicista tutt’altro che secondaria; eppure è dagli anni ’20 del Novecento che a fasi alterne si tenta di ridargli nuova luce ma finora l’unica operazione di maggiore durata è stata il Festival “Agostino Steffani” che nella sua Castelfranco e riuscito a riproporne la musica per sole sei edizioni. Gli ultimi anni stanno finalmente registrando un rinnovato interesse, grazie anche a diverse incisioni presenti sul mercato. Sicuramente l’allestimento di Martina Franca – encomiabile e utilissimo nel verso della riscoperta – ha rivelato ai neofiti di questo autore la sua capacità di unire il sapiente uso dell’orchestra con la ricchezza e nitidezza delle linee melodiche che si dipanano in un canto ora teso e vigoroso, ora più liricamente dolce, ora rigogliosamente virtuosistico. L’opera, in un atto unico, con 21 scene e la presenza di tre balletti che finiscono per articolarla in tre parti, si è offerta al pubblico in tutta la sua godibilità senza momenti di stanchezza, nonostante gli oltre tre secoli che ci separano da un mondo di valori culturali e di costumi profondamente diversi dai nostri.
I quattro interpreti hanno cantanto con voci da soprano (Ercole e Deianira) e da contralto (Acheloo ed Eneo) e i ruoli, di cui non è dato conoscere l’originaria assegnazione (se fossero cioè rivolti a castrati o a donne), in questa rappresentazione sono stati ripartiti fra due donne e due uomini. Il soprano Dara Savinova ha cantato Ercole con voce sicura e piglio energico, a dispetto di un costume che, nella sua marcata femminilità, a tutto alludeva tranne che all’eroe greco. Dolcezza e tormento hanno preso forma in modo mirabile nella Deianira del soprano Tal Ganor, mentre le tensioni amorose di Acheloo hanno trovato espressione nella voce del controtenore Riccardo Angelo Strano, davvero notevole per controllo vocale, fraseggio e musicalità; qualità che abbinate alla sua giovanissima età, al suo temperamento scenico e alla natura divina del personaggio, sono riuscite a far risultare ‘naturale’ anche una voce artificiosa come quella del falsettista. Molto convincente anche il controtenore Aurelio Schiavoni, nei panni di Eneo, re e padre pronto a cedere l’unica figlia pur di non incorrere nell’ira degli dei.
All’ottima riuscita dello spettacolo ha contribuito molto – come si diceva all’inizio – il lavoro svolto dal regista-coreografo Benedetto Sicca che ha scelto di personificare in quattro danzatori le incertezze giovanili dei protagonisti (la principessa Dejanira e i due pretendenti di stirpe divina Ercole e Acheloo che se ne contendono le attenzioni amorose), il potere coartante delle loro passioni, rendendoli così motori stessi dell’azione, a volte in senso strettamente fisico in quel loro continuo interagire con i protagonisti, non di rado spostandoli materialmente da un punto all’altro del palcoscenico. Una scelta originale che fra l’altro ben si sposa con l’ambientazione mitologica, per sua natura dotata di componenti surreali e fiabesche. Ammirevole anche la straordinaria intesa fra danzatori (membri della compagnia Fattoria Vittadini) e cantanti, che si sono armonizzati alla perfezione in questa loro continua interazione: a tal fine, determinanti sono stati sia la bravura e la duttilità dei giovani cantanti sia la preparazione a cui li ha sottoposti il regista-coreografo. Indovinati, nella loro ricercata semplicità, i costumi di Manuel Pedretti così come le scene di Maria Paola Di Francesco che in una sequenza di onde marine ha visivamente tradotto il parallelismo voluto dal regista fra mutevolezza di stato dell’acqua e quella degli stati d’animo dei personaggi.
La ricchissima partitura orchestrale ha ripreso vita grazie all’Ensemble Barocco dell’Orchestra Internazionale d’Italia per l’occasione abilmente diretto da Antonio Greco, maestro concertatore al cembalo, attentissimo nel ricercare gli accenti voluti dall’autore. Numerosi ed intensi gli applausi del pubblico, il cui entusiasmo e passaparola ha garantito il tutto esaurito in tutte e tre le repliche tenutesi nel suggestivo chiostro del complesso conventuale di San Domenico.