di Pierluigi Giorgio*
“Vi fu un tempo in cui, la terra dove viveva un antico popolo italico, subì un’enorme carestia. Pensando che il dio Mamerte fosse adirato con esso, per placarlo si scelse d’immolare tutti i figli nati con l’avvento della primavera. L’estremo sacrificio fu poi convertito in un esilio senza ritorno. Giunti a vent’anni, quei giovani lasciarono famiglie e beni e s’incamminarono in un lungo viaggio verso sud, guidati da un robusto bue sacro. Il dio aprì al passaggio un tracciato largo più di 60 passi…Attraversarono monti e valli e dopo giorni e notti giunsero in una zona ubertosa ove il bue si fermò. Capirono che lì, – in quella terra fertile evidentemente a loro destinata dal dio – avrebbero dovuto edificare il primo villaggio: Sanniti si chiamarono e Sannio il luogo che scelsero come propria terra ed ultima agognata meta…”
Sanniti! Sapete, a scuola m’insegnarono che era gente barbara, aspra, scontrosa e che una volta sconfisse persino i Romani, attorno al 300 a.C. o giù di lì, umiliandoli alle Forche Caudine…“Finchè un solo Sannita calpesterà questo suolo, Roma non avrà più pace!” urlò incavolato di brutto Ponzio Telesino secoli dopo dagli scanni romani, e giù botte ai rozzi pastori guerrieri! Ma si sa, la storia non la scrivono certo i perdenti ed io parteggiai per i Romani naturalmente, dimentico che ero nato e vivevo proprio in Molise, cuore dell’antico Sannio e che forse nelle mie stesse vene scorreva un po’ di quel rozzo ma ardimentoso sangue…E nessuna maestra – pace all’anima sua – mi accompagnò in gita scolastica alla scoperta delle mie origini, tra mura poligonali, fortificazioni, santuari sannitici e antiche incisioni in bronzo che rimandano a rituali di propiziazione e fede a dei di natura.
Non si può intuire completamente l’anima del Molise, se non ripercorrendo le piste attraverso le quali buona parte della sua storia è passata: i tratturi appunto, le antiche strade delle pecore – e non solo – qui in gran parte ancora conservate; vene in cui pulsava, sino a pochi decenni fa, la vita di un territorio; arterie in cui fluivano civiltà, cultura, economia, scambio.
I Sanniti furono i primi ad usarli per le loro transumanze; gli stessi percorsi furono poi adoperati per secoli, con il medesimo scopo: portare milioni di armenti in luoghi ancora verdi nella stagione invernale e riaccompagnarli sui nostri monti in primavera; due volte l’anno, dall’Appennino al mare e dalla pianura alle fresche alture: le Mainarde, il Matese, i boschi e i prati della Montagnola di Frosolone. Di qui passarono eserciti, commercianti, pellegrini, in un collegamento costante fra Nord e Sud, Tirreno e Adriatico. Non a caso i Romani organizzarono i tracciati sui medesimi tragitti e poi Normanni, Svevi, Aragonesi, Borboni, imposero tasse e tributi che rimpinguassero abbondantemente le casse dello Stato o del Regno.
L’antico tratturo era una “autostrada” – senza auto e smog, naturalmente! – di ben 111 metri di larghezza; ai lati lunghe siepi, guardrail naturali. I chilometri, o meglio, il numero di passi, era segnato, come grani di un rosario, dai “limiti”, pietre conficcate profondamente nel terreno. Guai a spostarle: si rischiava addirittura la morte! Luoghi di sosta e ristoro come autogrill d’altri tempi: le vecchie taverne. La topografia votiva in un percorso lungo e insidioso si manifesta in croci, cippi sacri, cappelle. Antiche tavole planimetriche, raccontano ancora, con disegni un po’ naif di mulini, fontanili, chiese, piccoli paesi.
Questa lunga via verde attraversa tuttora per chilometri il Molise inoltrandosi tra valli, boschi, vette: come capillari del corpo umano, i raccordi fra i tratturi, le arterie principali, scongiuravano l’isolamento di paesi e territori altrimenti emarginati. A controllo e vigilanza nacquero, nel tempo, siti di difesa, castelli, borghi. Ma con l’avvento dell’agricoltura in Puglia, saltarono in un attimo gli equilibri secolari di un’economia montana basata principalmente sulla transumanza. Sottratti i preziosi pascoli di sosta invernale, si acuì – qualche decennio fa – la profonda ferita di un esilio più lungo e lacerante: quello di un’emigrazione spesso senza ritorno. I borghi rimasero soli. I tratturi anche: i rovi l’invasero. In parte furono venduti o dati in concessione ai contadini; una buona fetta fu asfaltata e scomparve. Ma alcuni anni fa, grazie all’intervento di un illuminato decreto, vennero finalmente sottoposti a vincolo perchè di notevole interesse per l’archeologia e la storia politica, sociale e culturale.
Per una regione che non ha Dolomiti, Laghi Maggiori, di Garda o penisole sorrentine, il tratturo – oggi come oggi – finisce per assumere, in un certo qual modo, la dimensione del sogno, della sfida, della svolta: il viaggio a piedi, a cavallo, in bicicletta ben lontani dalla morsa della congestione, dai veleni industriali, dal consumo illimitato del territorio. Lunghi chilometri d’erba ove – tra borgo e borgo – recuperare spazi di vivibilità smarriti e una dimensione umana ancora intatta. Nell’ormai lontano 1986 – quando per primo invitai a porre l’attenzione sulla salvaguardia dei tratturi proponendoli con varie fattive idee – macinai circa 250 km. a piedi in 14 giorni recitando storie legate al percorso ogni sera nei borghi attraversati. Televisioni (fui ospite anche di Maurizio Costanzo), giornali nazionali trattarono l’evento (anche Maurizio Costanzo). Tre anni dopo per primo feci la transumanza con la famiglia Colantuono e su di loro il primo documentario. Poi, altri per Geo&geo (circa una ventina sul Molise). Sono passati tanti anni da allora: solo chiacchiere e promesse!
E’ notizia recentissima che i tratturi del Molise, in quanto proposta di un turismo a piedi o a cavallo, non sono rientrati nell’ufficiale “Atlante dei Cammini d’Italia” che dovrebbe orientare gli amanti del trekking nel nostro paese. La testata molisana “Il Bene Comune” denuncia: “E’ accaduto per l’azione inadeguata e inconcludente della Regione e del Consigliere delegato al Turismo…”. Sì, non l’hanno saputo (e voluto) presentare nel giusto modo!
Quanti politici si sono avvicendati nel tempo! Quando dico che il Molise – in quanto terra fascinosa – esiste, ma in realtà sono i molisani a far di tutto per sembrare inesistenti, credo di avere ampiamente ragione. Inoltre, a molti piace essere l’ultima ruota del carro, senza compromettersi o metterci la faccia, salvo poi esercitare la famosa arte del lamento e dello scontento. Pare che Ponzio Pilato fosse nato proprio in questa terra ed è nota la sua propensione a lavarsene le mani: succede ancora tra noi. Al di là dell’incapacità di chi ci ha rappresentato e rappresenta (ma ben rappresenta il lassismo e il disinteresse di tanti fra noi molisani), e a parte quest’andazzo gravissimo di “non presenza”, proporre i tratturi al turismo senza ripulirli almeno nella continuità di alcuni tratti offrendo strutture di accoglienza adeguate, è puro miraggio. Le centinaia di cartelli “tratturo” disseminati nella regione che indicano il nulla, sono stati una mera speculazione con tanti soldi che han preso strade (non tratturi) alquanto ambigue. Con quei tanti soldi, si sarebbero potuti invece rendere fruibili alcuni chilometri con appoggi per escursionisti ed offrire il pacchetto-tratturo dopo un’adeguata ed efficace pubblicità.
Si sarebbe potuto anche incentivare l’assegnazione in comodato di greggi e pezzi tratturali con obbligo di pascolo e manutenzione a persone bisognose di lavoro. Ad ogni Comune il pezzo di tratturo su cui gravita! Le idee sono tante, basta avere la volontà di perseguirle. Ma forse non c’è convenienza per le tasche di qualcuno.
A volte riscontro più buon senso e spirito di iniziativa nella gente comune di quanto se ne trovi in legioni di politici: ricordo ad esempio una mia corregionale la quale, sospettando che l’invisibilità del Molise faccia comodo a qualcuno, osservava: “a questo punto è per me evidente che debbano muoversi i cittadini e i sindaci dei vari paesi, magari creando associazioni di comuni e di cittadini, che abbiano come obiettivo quello di far conoscere il Molise. Questo comporta la cura di una serie di aspetti: dalla creazione di circuiti turistici basati sull’enogastronomia e sull’identità contadina di cui il Molise è tipica espressione, fino alla considerazione dell’aspetto economico, relativo ad esempio al prezzo a cui vendere i prodotti tipici, ospitare i turisti o guidarli nella visita di tratturi, borghi e castelli. Non voglio dire che tutto ciò sia facile da fare ma se i cittadini e i loro sindaci decidono di iniziare si potrà portare sen’altro il Molise fuori dall’anonimato in cui versa, e magari i giovani molisani potrebbero non essere più costretti ad emigrare per vivere”.
E concludeva saggiamente: “La filosofia del lasciare perdere “lu munn cumm z’ trov” [lasciar perdere le cose così come stanno] è l’esempio più lampante di menefreghismo, e detto dai locali è gravissimo. Significa lasciar perdere una potenziale risorsa che per molti è già disponibile – se non si fa allevamento si può coltivare la terra in modo imprenditoriale, non da contadini del XIX secolo – condannando il territorio al dissesto idrogeologico, salvo poi lamentarci se i terreni franano, trascinati via da quelle che oggi chiamano pittorescamente “bombe d’acqua” (dire acquazzone è demodé), e piangere se lo Stato dopo rimane inerte. Quanto al turismo, se la gente non è attrezzata la si deve educare, perché a tutti piacciono le tasche piene di soldi, ma se uno ha già qualcosa fra le mani (case ereditate da affittare in estate, enogastronomia, beni culturali) deve sapere come usarla. Trovo invece sia più difficile insegnare alla gente che i turisti non sono polli da spennare ma gente che ti riempie le tasche se la tratti bene.”
Intanto, ripensando ai nostri tratturi, resta lo sconcerto nei riguardi di classi politiche che non hanno fatto e non fanno neppure un tentativo per lottare per la terra comune e proporre un genere di turismo che oggi più che mai avrebbe un riscontro certo.
“Un’antica leggenda racconta che migliaia di anni fa i pastori dell’Appennino centrale dovevano partire per raggiungere le terre del Sole: era inverno e se le pecore fossero rimaste lì, ne avrebbero sofferto e forse sarebbero morte per il gran freddo. Così i pastori si misero in cammino e presero quattro direzioni diverse; ma Iddio volle essere clemente con loro e aprì al passaggio delle greggi un grande sentiero largo più di cento metri. Così i pastori trovarono la strada per la terra del Sole e quella di casa, al ritorno, in primavera…”
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*Pierluigi Giorgio è documentarista, attore, regista, fotografo, di origini molisane. Collabora da anni con la RAI come documentarista. Da decenni è particolarmente attento alle tematiche ambientali e alle tradizioni popolari.
Quei pastori partiti per le terre del sole le trovarono nell’antica Apulia. Molti di loro crearono famiglia nelle nuove terre, altri vivevano in continuo movimento tra la terra natia e la Puglia. A Canosa di Puglia meta d’arrivo di molte greggi e famosa per la sua lana ,la transumanza sta diventando un ricordo molto sbiadito.La presenza dei pastori è rimasta però nei cognomi di molte famiglie anche se molti hanno perso o dimenticato la storia dei loro avi.