Osservando ciò che mi circonda e proseguendo nel mio cammino di (ri)scoperta della mia terra, mi convinco sempre di più che i calabresi siano affetti da una sorta di “sindrome del brutto anatroccolo”. Infatti, proprio come nella famosa fiaba di Andersen, essi pensano di essere i fratellini brutti e goffi che nessuno accetta e quindi cercano la bellezza al di fuori della propria terra, nelle altre culture, che ai loro occhi appaiono proprio come i cigni eleganti e maestosi che affascinarono il piccolo anatroccolo della fiaba. Quest’ultimo, a differenza della maggior parte dei miei conterranei, ebbe però il coraggio di specchiarsi nelle acque dello stagno, scoprendo di essere lui stesso un bellissimo cigno. In Calabria invece si continua a vivere avvolti dal suggestivo retaggio di una cultura millenaria a cui quasi nessuno sembra dare valore.
Faccio questa bizzarra premessa perché ultimamente mi capita spesso di venire a conoscenza di particolari della nostra cultura che a me appaiono di un fascino scintillante e non riesco a rassegnarmi al fatto che non ci siano orde di turisti curiosi ad assistere a celebrazioni, feste, processioni ad ammirare i nostri borghi e i nostri paesaggi mozzafiato, a degustare le prelibatezze della nostra tradizione enogastronomica. Inoltre trovo abbastanza paradossale il fatto che io, come calabrese, debba scoprire per caso l’esistenza di consuetudini che si svolgono a due passi da me. E’ evidente la carenza, già a livello locale, di una “narrazione” del territorio e delle sue tradizioni in grado di alimentare spirito identitario o suggestiva attrazione. Parlando con delle amiche, ad esempio, ho saputo che ad Albi, piccolo comune della presila catanzarese si svolge da secoli una curiosa manifestazione, che viene vissuta con trasporto ed emozione dagli abitanti del borgo, ma la cui fama non riesce a varcare i confini della cittadina.
Albi sorse intorno al XV secolo come casale della vicina Taverna, borgo noto per aver dato i natali al celebre pittore seicentesco Mattia Preti. Di esso Albi seguì storia e vicende fino al 1806, anno in cui divenne comune autonomo. Nel 1570 nell’area del paesino venne costruito il convento dei Padri Agostiniani della Congregazione di Zumpano, ai quali si deve la diffusione della conoscenza di San Nicola da Tolentino, santo marchigiano la cui figura diverrà nei secoli a seguire molto importante per gli abitanti del posto.
San Nicola nacque a Sant’Angelo in Pontano (Macerata) nel 1245 e ancora fanciullo entrò nell’ordine gli Agostiniani della sua città. Dal momento in cui venne ordinato sacerdote nel 1269, fino 1277 dedicò la sua esistenza alla predicazione del Vangelo spostandosi di città in città. Nel 1275 si stabilì definitivamente a Tolentino ove morì il 10 settembre 1305. Il Santo, con la sua indole mite ed umile ed una vita da asceta e taumaturgo, riuscì a conquistare il cuore di devoti in ogni parte d’Italia e d’Europa. Anche gli albesi gli giurarono fede e devozione senza riserve e, con il suo volto di fanciullo, egli venne scelto come Patrono di Albi. Quando in Calabria temibili catastrofi naturali seminarono lutti e rovine, si attribuì alla protezione del Santo il fatto che Albi non ne venne scalfita o fu danneggiata in minima parte.
Il fatto di scegliere un Santo Patrono a protezione di una comunità ed essergli devoti è cosa comune, non solo in Calabria. Anche il fatto di celebrarlo una volta all’anno con una grande processione che conduce l’icona del Santo in mezzo alla sua gente è un’usanza diffusa. Consuetudine, quest’ultima, che affonda le sue radici in tempi remoti e accomuna tutto il mondo cattolico, che a sua volta lo ereditò dagli ebrei (alcuni salmi accennano a un trasporto processionale dell’arca) e anche dai pagani. Presso i greci, ad esempio, in occasione delle famose “Panatenee”, tutte le classi della città, in ben ordinato corteo, si recavano nel tempio a offrire un peplo alla dea Atena. Nella liturgia cattolica – oggi come ieri – il rito consiste nella formazione di lunghi cortei che precedono o seguono un sacro simbolo: la croce, statue di santi, reliquie, stendardi. Le processioni cristiane sono strettamente collegate ad alcune festività. Se particolare importanza assumono quelle che si svolgono in occasione della Pasqua, non minore enfasi possiedono quelle in onore del Santo Patrono. Lo svolgimento di questi rituali di celebrazione avviene quasi sempre nello stesso modo, tuttavia il 10 settembre di ogni anno ad Albi avviene la messa in scena di un festeggiamento davvero suggestivo che ha il potere di inebriare le menti e i cuori degli albesi, tutti in festa per esaltare la figura di San Nicola da Tolentino.
Il Santo rimane in mezzo alla gente per sei ore, durante le quali visita ogni viuzza del borgo. Le strade sono parate a festa e il paesino è pervaso da un tripudio di emozioni, che vanno al di là del sentimento meramente religioso. Si tratta di amore per la propria comunità di appartenenza e per quei rituali che ormai fanno profondamente parte del vivere di ognuno. È un’emozione forte che non può non travolgere il visitatore che viene da fuori, ed il momento di maggiore intensità che caratterizza l’intera celebrazione è quello culminante del rientro in chiesa. E’ allora, infatti, che San Nicola si rifiuta di varcare la soglia del santuario. I portatori inscenano delle finte entrate per poi ritornare di corsa all’esterno e agitano la statua, dando l’impressione che San Nicola balli allegramente tra la gente che lo acclama a suon di musica. È questa la caratteristica che rende unica questa celebrazione: il legame semplice e genuino che sembra instaurarsi tra il Santo e la comunità che lo ha scelto come protettore. San Nicola sembra quasi spogliarsi di quel velo di sacralità che lo avvolge e si pone idealmente sullo stesso piano del suo popolo, tra la gente. Balla insieme a loro al ritmo concitato di una banda e, in modo innocente, sembra quasi farsi beffa, del sacerdote che attende il suo ritorno in chiesa.
Tutto questo è la ‘Ballata di San Nicola da Tolentino’, emblema dell’identità di una comunità dalla storia affascinante e complessa, piccolo tassello luminoso di un magnifico mosaico, quello della terra di Calabria. Perché mai essa deve restare ai margini di una società sempre più globalizzata, in seno alla quale sono proprio queste peculiarità ad assumere un valore più autentico? Occorre dunque liberarsi dalla sindrome del brutto anatroccolo, svegliarsi dal torpore ed aprirsi alla consapevolezza di quanto immenso sia il potenziale della nostra cultura e del nostro folklore.
© RIPRODUZIONE RISERVATA