Riemersa nei pressi della Cattedrale, nell’area dell’Ex Seminario, rivela nuovi elementi sul passato magnogreco della Città dei Sassi. Alcune osservazioni preliminari sul ritrovamento
“Similmente vo’ enumerare alcuni [sepolcri] e sono:
1.° I due rinvenuti sotto l’attual palazzo Malvezzi nel 1802 e nel 1832, praticati in un masso naturale di tufo costruiti alla semplice, privi cioè di ornati e d’intonaco, ed in forma di parallelogrammo, nei quali furon trovati degli scheletri, e molti preziosi vasi fittili dipinti di tipo italo-greco.
2.° Gli altri quattro scoperti sotto il mio palazzo, attiguo al precedente, da mio Avo sul principiar del secolo, e da mio Padre nel Maggio 1833, con varie patere , tuffate nella vernice nera, lucerne orbicolari striate e monoligne, vasi unguentari ed altri con Bacchi e Baccanti, muniti di fiaccole, catini e bastoni con delle pine sul vertice.
3.° Quelli trovati nella contrada della Civita il 1826 sotto l’antico Monistero dell’Annunziata presso la Cattedrale; il 1828 in alcune abitazioni site dietro il Campanile della stessa ; il 1829 nell’attual Conservatorio di S. Giuseppe, ed il 1832 sotto il palazzo del fu Mons. Grifi: ma i vasi di cui fecesi acquisto nulla offrivano di rimarco, benché molti, e piccolo il loro modulo e nera la loro veste.”
Il passo è tratto da una delle più autorevoli memorie storiche di Matera (G. Gattini, Note storiche sulla città di Matera, Napoli, 1882, rist. anast. Matera, 1970, p. 3) e rappresenta una testimonianza preziosa sulla vocazione sepolcrale della sommità della Civita. A conferma della rilevanza archeologica degli strati su cui poggiano le fondamenta degli edifici in prossimità della Cattedrale, esattamente nella stessa area interessata dal recente rinvenimento (10 maggio 2019), si deve aggiungere la testimonianza dello scavo condotto da Domenico Ridola nel 1905, proprio durante la costruzione dei nuovi Seminario e Sacrestia della Cattedrale Maria Santissima della Bruna. In quella occasione l’archeologo individuò, nelle adiacenze dell’area che fino al sec. XII- XIII era stata interessata dal complesso monastico benedettino di S. Eustachio, una serie stratigrafica dello spessore di 10 metri, a partire dall’eneolitico fino all’epoca medievale (D. Ridola, Le origini di Matera, 1906, p. 6-10).
Tutti gli studiosi concordano nel sottolineare la significatività del complesso della Civita-Cattedrale. È innegabile la destinazione dell’area a piccoli nuclei sepolcrali sparsi, come spesso accade in presenza di un’area di culto, anche all’aperto, ipotizzabile ma non identificata, posta sull’altura che si erge in posizione mediana tra i due Sassi e felicemente dominante su tutta l’area circostante. Le fonti degli antichi cronisti e il rinvenimento recentissimo fanno pensare che la presenza più consistente delle emergenze archeologiche di età ellenistica coincida con un aumento demografico durante il IV sec. a. C. per poi rarefarsi progressivamente dopo la conquista romana di Taranto, fino all’ impoverimento diffuso in età post- annibalica, e ad una certa ripresa in età romana tardo-repubblicana e imperiale.
RILEVANZA DELLA NUOVA SCOPERTA
Finora la documentazione disponibile aveva fornito scarse indicazioni relative alla deposizione degli oggetti di corredo all’interno dei sepolcri, alla loro disposizione in prossimità del defunto. Anche i corredi rinvenuti nell’area urbana di Matera (F.G. Lo Porto, Civiltà indigena e penetrazione greca nella Lucania orientale, MAL 1973) sono prevalentemente frutto di rinvenimenti fortuiti decontestualizzati, sprovvisti in parte o del tutto delle informazioni relative alle circostanze del rinvenimento.
“L’emozione è stata immensa” – riferisce l’ingegnere Raffaele Padrone, progettista dei lavori per conto della Curia Arcivescovile, mentre non riesce a trattenere la soddisfazione di essere stato il primo a veder affiorare la sagoma del lastrone di copertura della tomba a fossa, il cui fondo posa sul banco roccioso. Aveva appurato dalle sue ricerche, prima di dare avvio allo scavo per la messa in sicurezza di alcuni ambienti retrostanti la Cattedrale, che l’intera area di cantiere era stata in più periodi soggetta a diverse destinazioni d’uso. E, come mi riferisce, “durante quelle giornate di lavoro ho fatto eseguire a mano lo scavo di rimozione del terreno, onde evitare il rischio di un danno accidentale agli strati sottostanti”.
Il 10 maggio scorso, procedendo con la stessa cautela, riconosce la spessa lastra di copertura e comunica al Soprintendente Francesco Canestrini e all’Arcivescovo Giuseppe A. Caiazzo che i lavori devono sospendersi. Tempestivo l’arrivo degli archeologi, mentre l’ingegnere fa costruire un’imbracatura per sollevare la lastra senza arrecare danno. Il resto è documentato dalle foto, che gentilmente ha concesso perché rappresentano la testimonianza più viva di un importante tassello della storia urbana, nell’augurio che la comunicazione divulgativa possa in via preliminare soddisfare gli interrogativi del pubblico, prima che si pervenga alla pubblicazione dei risultati scientifici da parte delle istituzioni e dei professionisti cui è stato affidato lo scavo.
LA TOMBA E IL CORREDO FUNERARIO
Quanto alla tipologia della tomba, si tratta di una fossa di forma rettangolare scavata direttamente nel banco roccioso; per copertura un lastrone tufaceo di alto spessore. Il rituale funerario prevede che l’individuo inumato sia deposto in posizione rannicchiata, consueta ideologia e pratica religiosa indigena con evidente richiamo alla nascita e alla ri-nascita, qui adagiato sul fianco sinistro e la schiena aderente alle pareti del lato lungo della tomba. La conservazione delle ossa appare ottima, mentre non è visibile il cranio. Gli oggetti di corredo appartengono, come di solito accade nei rituali funerari, a tre categorie distinte: suppellettili funerarie, come doni ai defunti, oggetti d’uso quotidiano, impiegati realmente durante la vita, e provvigioni alimentari, tripartizione in verità assai fluida, dal momento che gran parte degli oggetti d’uso quotidiano venivano realizzati appositamente per uso funerario.
L’attuale scavo della tomba del Seminario ci consente ulteriori osservazioni: è possibile rilevare con precisione la disposizione dei vasi e delle suppellettili all’interno della sepoltura, così come la posizione dell’inumato anche in rapporto ad essi. Ad esempio, si nota la vicinanza di alcuni alle mani, come nel caso dell’epikysis con corpo a rocchetto, un contenitore per unguenti e profumi dalla forma in voga nel pieno IV sec. a. C. in area apula e generalmente italiota. Accostata alla testa era deposta una brocchetta a vernice nera, come se il defunto dovesse consumare il liquido in essa contenuto. Sembrano aspetti apparentemente trascurabili, invece si tratta di dettagli atti a chiarire il loro significato ideologico e la funzione che i familiari attribuivano all’intero corredo. Quest’ultimo parla del sepolto attraverso le forme e la funzione del vasellame del corredo, l’eventuale presenza di altri oggetti, la consistenza numerica, la qualità e l’omogeneità dei pezzi, la loro provenienza, il messaggio espresso dalle raffigurazioni vascolari. La tomba del Seminario si connota come l’ultima dimora di un individuo di sesso femminile, probabilmente una giovane sposata o in età matura per esserlo.
Dei ventuno pezzi del corredo, molti richiamano la pratica del simposio e del consumo del vino, che era esclusivamente maschile, ma qui potrebbero alludere al banchetto di nozze e, soprattutto, alle libagioni del rituale funerario. Il cratere a campana apulo a figure rosse presenta, appena visibili al di sotto delle incrostazioni, sul lato principale una scena di un giovane e una fanciulla con una ghirlanda che danzano o si rincorrono, mentre il lato posteriore presenta una consueta scena di due uomini ammantati posti di fronte l’uno all’altro e tra loro si erge un pilastrino, palmette al di sotto delle anse e lungo il bordo superiore un tralcio di foglie. Anche una oinochòe trilobata (brocca per versare il vino) e diversi pocula e skyphoi (tazze e bicchieri) richiamano la trapeza (tavola, banco di appoggio) festiva. La pelìche (vaso biansato per contenere acqua) compare con incidenza molto frequente in contesti femminili; la brocca con ansa a nastro sopraelevata, funzionale per il bagno lustrale che precedeva le nozze, riporta sul corpo del vaso la scena che spiega il suo utilizzo: la giovane, insieme ad un Eros dai tratti effemminati, compie il suo bagno presso un bacile disposto su un piedistallo sovraddipinto di bianco, che campeggia al centro della scena.
La presenza all’interno della tomba di un uovo calcificato probabilmente non è solo una pietosa offerta di cibo alla defunta in viaggio per l’aldilà: l’uovo in Magna Grecia richiama le dottrine orfico-pitagoriche sulla trasmigrazione e il destino dell’anima dopo la morte. Insieme al regime ascetico e vegetariano del filosofo di Samo, le dottrine escatologiche si erano diffuse capillarmente in Italia meridionale, basti pensare alle lamine orfiche e all’uovo di Elena, un raro esempio simbolico di un’iniziata di Metaponto. La dìaita di Pitagora, con i severi tabù alimentari, poteva avere conseguenze severe per le giovani donne, spesso affette da anemie e soggette a parti difficili e morti premature.
Ma questo potrebbe essere solo un inizio, se l’indagine proseguirà lungo l’area intatta. La scoperta di emergenze archeologiche non violate potrebbe confermare e ampliare la conoscenza della distinzione sacrale dell’area nel contesto pre-urbano e urbano.
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