Proviamo per poco più di un’ora a percorrere un viaggio, direi il VIAGGIO, quello che non si accontenta di sfidare le barriere dello spazio. Ci troviamo a Senise, in Basilicata: un anfiteatro sull’acqua, lungo le sponde del lago di Monte Cotugno, lascia presagire naumachìe e scontri tra marinai, tritoni e mostri marini, invece ci consente di attraversare il vortice del tempo.
Pitagora riconosce in Mnemosyne, la memoria, madre delle Muse, il principio fondatore della conoscenza. Grazie a lei, le molteplici esperienze dell’individuo diventano autocoscienza e riconoscimento del divino nell’umano, porzioni dell’anima cosmica immortale che aspira a ricongiungersi alla sfera celeste universale. Quando Empedocle di Agrigento (frammento 129) elogia un “sapiente”, capace di protendersi con tutte le facoltà della mente e abbracciare l’arco di dieci o anche venti vite umane, allude quasi certamente a Pitagora. Ecco perché il filosofo di Samo, viaggiatore instancabile in Egitto, in Mesopotamia e in Fenicia – che finisce per stabilirsi prima a Crotone e poi a Metaponto, vi forma una comunità, depositaria di conoscenze da custodire come il più prezioso dei segreti, e adotta uno stile di vita alternativo, causa di sospetto nel popolo dei non iniziati – rappresenta nello spettacolo la cornice e la voce narrante.
Egli si accompagna a un bambino, cui trasmette, insieme ai primi rudimenti del sapere matematico, astronomico, musicale, il racconto delle radici culturali di un popolo, e in questo rapporto di “scuola” si coglie non solo come il sapere si veicola da una generazione all’altra, quanto la fecondità del suo magistero, testimoniata da allievi del calibro di Filolao di Crotone, Ippaso di Metaponto e Archita di Taranto, e la permanenza nei secoli a venire del pitagorismo nel pensiero occidentale. In quella che sarà la Megàle Hellàs, tra suggestioni misterico-religiose e speculazione filosofica, prospera un fermento intellettuale che non ha avuto uguali nel corso di 2500 anni.
Nella ricostruzione di un exemplum della fondazione di una città in Occidente, l’uomo “prescelto” per volontà divina, coraggioso e pio, si chiama Alexios. Si affida alle profezie della Pizia e alla saggezza del sacerdote di Apollo dell’oracolo di Delfi, per la costruzione e l’equipaggiamento della nave, su cui si imbarca un manipolo di uomini dotati di saperi tecnici insieme ai valori e alle norme etiche fondate sulla sapienza e la giustizia. Dovrà superare peripezie nella traversata, lo scontro con i mostri, come in ognuna delle innumerevoli odissee del Mediterraneo, su una nave che fa rotta verso l’Esperia, l’antica madre d’Occidente, e la chora degli Enotri, il popolo disceso dall’arcade Enotrio, stanziato già da diverse generazioni, nell’area sud-occidentale del golfo ionico.
Chi parte, come ogni migrante, lascia alle sue spalle lo spettro della morte (peste, fame, carestie, guerre), ma l’approdo lungo le coste di una terra bellissima, presso un porto naturale o la foce di un fiume, dinanzi a pianure così vaste quanto gli occhi di un greco non avevano visto mai, non assicura la fine pacifica del viaggio. La storia la scrivono i vincitori, nessuno darà voce alle offese e agli stermini degli indigeni. Quella terra non è deserta, è abitata da barbari, che hanno lingua, istituzioni e modello di vita tanto diversi. Il loro re è uno dei figli di Licaone, l’uomo-lupo, la cui superba hybris è tanto empia da aver osato gareggiare con Zeus. Il suo sguardo famelico e avido gli fa dire che gli appartiene qualsiasi bene su cui si posa il suo sguardo. E i lupi, si sa bene, hanno a che fare con la Lucania, con Zeus Liceo e Apollo Liceo o Licio.
Il cenno a Licaone nello spettacolo è uno dei più felici, a mio avviso, anche perché rievoca una variante del mito poco nota eppure molto importante sui rapporti tra le genti preesistenti alla colonizzazione dell’VIII-VII sec. a.C. – ossia agli effetti della destabilizzazione e del crollo degli stati micenei – e l’Arcadia, regione impervia del Peloponneso centrale, i cui contatti sono archeologicamente testimoniati. In Arcadia Licaone fu trasformato da Zeus in lupo: usava immolare vittime umane e i celebranti ne divoravano le viscere. Il pasto cannibalico trasformava gli uomini in lupi per otto anni: al termine del periodo, se non avessero più toccato carne umana, sarebbero tornati uomini. L’ecista Alexios, porterà a termine la sua impresa, attraverso le tappe dell’epos: la missione, l’eroe, la guerra, la vittoria sul male, l’amore per Esedra, ultima discendente di Enotro, e la pacificazione tra vincitori e vinti.
Fin qui gli aspetti tematici dello spettacolo, che trova la più originale cornice in uno spazio scenico spettacolare, capace di 2500 posti, l’Arena Sinni, progettata a partire dal 2009, costruita dal 2014 al 2016 e inaugurata il 24 giugno scorso con il progetto multimediale e ipertecnologico, “Magna Grecia. Il mito delle origini. Il grande racconto”, affidato alla direzione artistica di Emir Kusturica, scritto e diretto da Lorenzo Miglioli, con la collaborazione di Nicola Zorzi per la regia teatrale e Paolo Atzori per la co-regia tecnica [continua dopo la photo gallery].
L’iniziativa rappresenta un’occasione di riflessione sulle potenzialità di una seria divulgazione scientifica e storico-archeologica, che sappia proporre e diffondere la conoscenza della storia e della cultura del territorio con il linguaggio del presente. La commistione tra i generi è di per sé materia esplosiva. Cinematografia, teatro e musical sono potenziati dalle innovazioni tecnologiche offerte dai LED wall, dove scorrono le sequenze filmiche recitate da Claudio Santamaria (Alexios), Giancarlo Giannini (oracolo di Delfi), Sabrina Impacciatore (la Pizia), insieme a Caterina Murino, Giorgio Colangeli, Christo Jivkov, Giovanni Capalbo, Greta Bellusci, e il giovanissimo Zeno Atzori, ambientate e girate nelle riprese in esterna proprio negli stessi territori e paesaggi lucani. Su “invisibili” schermi a ventaglio d’acqua, costituiti dalla nebulizzazione dell’acqua del bacino dell’anfiteatro, la cabina di regia proietta le evanescenti immagini appartenenti al mondo irrazionale.
Pathos e coinvolgimento sono garantiti dallo spettacolo dal vivo sul palcoscenico, con attori, danzatori e numerose comparse, anche grazie alle musiche originali di Alessandro Nidi, che coniugano il genere epico con la musica ritmico-etnica, ideale per ricreare lo spirito del luogo.
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Di seguito il trailer dello spettacolo in scena fino ai primi di settembre 2016: