di Kasia Burney Gargiulo
Dopo aver appurato le effettive origini della pizza napoletana, eccoci a celebrare il coronamento di un percorso volto a riconoscere il valore storico-culturale e la rilevanza internazionale dell’arte della pizza, nata secoli or sono a Napoli. Ieri infatti il Comitato Intergovernativo dell’Unesco, riunitosi sull’isola di Jeju nella Corea del Sud, ha approvato all’unanimità l’ingresso dell’arte della pizza napoletana nel Patrimonio Immateriale dell’Umanità. I riflettori si sono accesi sette anni fa con il primo riconoscimento internazionale arrivato dall’Unione Europea, che nel 2010 ha ufficialmente classificato la pizza napoletana come “Specialità tradizionale garantita”; è seguito poi, nel settembre 2014, il lancio della petizione per il riconoscimento UNESCO che ha raggiunto l’obiettivo con 2 milioni di firme a sostegno della candidatura. La campagna fu promossa da Coldiretti con l’Associazione Pizzaiuoli Napoletani e la fondazione UniVerde dell’ex ministro dell’Agricoltura Alfonso Pecoraro Scanio, ed ha raccolto firme in tutto il mondo, dagli Stati Uniti all’Australia, ottenendo l’endorsement anche del sindaco di New York, Bill De Blasio. Una delle iniziative più coinvolgenti a sostegno della candidatura fu la realizzazione a Napoli il 18 maggio 2016 della “Pizza più lunga del mondo”, un’impresa riuscita grazie a 5 forni a legna progettati e costruiti per l’occasione, che riuscirono a cuocere 1853,88 metri di pizza, permettendo all’Italia di entrare nel Guinness World Record.
La candidatura della pizza è stata l’unica italiana fra le 34 esaminate dal Comitato dopo una lunga istruttoria per l’inclusione nel patrimonio dei beni immateriali. Fin dalla mattina di ieri, nella Sala riunioni al secondo piano di Palazzo San Giacomo, il sindaco di Napoli Luigi de Magistris e l’assessore alle attività Economiche Enrico Panini hanno atteso gli esiti della riunione del Comitato Unesco, collegati via skype con il presidente della Fondazione UniVerde Alfonso Pecoraro Scanio e con l’Ambasciatrice Vincenza Lomonaco, rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unesco, entrambi in Corea per seguire i lavori, senza dimenticare tutte le associazioni che hanno sostenuto la candidatura e la raccolta delle firme. Alla fine è arrivato quello che De Magistris ha definito “un riconoscimento storico”. Su Twitter l’Unesco ha cinquettato “Congratulazioni Italia!” annunciando il tanto atteso risultato.
Il riconoscimento da parte del Comitato Intergovernativo per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco ha tenuto conto dei requisiti previsti dalla relativa Convenzione del 2003: identificazione del bene da parte di comunità, gruppi e, in alcuni casi da individui, come parte del loro patrimonio culturale; trasmissione di generazione in generazione e continua nuova creazione in risposta all’ambiente e al contesto sociale e storico; idoneità a fornire alla comunità un senso di identità e continuità e a promuovere il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana. Non a caso per l’UNESCO “il know how culinario legato alla produzione della pizza, comprendente gesti, canzoni, espressioni visive, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, di esibirsi e condividere, è un indiscutibile patrimonio culturale”.
”L’Arte tradizionale dei pizzaiuoli napoletani”, rappresenta l’ottavo riconoscimento italiano nella lista del Patrimonio Immateriale dell’UNESCO – dopo l’Opera dei pupi (iscritta nel 2008), il Canto a tenore (2008), la Dieta mediterranea (bene transnazionale, 2010), l’Arte del violino a Cremona (2012), le macchine a spalla per la processione (2013), la vite ad alberello di Pantelleria (2014) e la Falconeria (bene transnazionale, 2016) – ed è la terza iscrizione italiana nell’ambito della tradizione agroalimentare (dopo la “Dieta Mediterranea” e “La vite ad alberello di Pantelleria”).
“La Campania è il luogo in cui l’eccellenza alimentare diventa cultura, questo è quanto dimostra il riconoscimento dell’Arte del Pizzaiuolo quale Patrimonio Immateriale dell’UNESCO”, ha dichiarato il Presidente Vincenzo De Luca, commentando l’importante successo ottenuto grazie anche all’impegno del Capo dell’Ufficio Legislativo della Regione, prof. Pier Luigi Petrillo, che ha seguito personalmente la candidatura, da Parigi fino in Corea (ha redatto il dossier di candidatura e coordinato il negoziato internazionale). “Per il futuro la Campania – ha aggiunto De Luca – deve muoversi nel sentiero di una valorizzazione innovativa del suo patrimonio, capace di unire la storia millenaria del territorio alla creatività di artigiani e famiglie. Sono loro, i pizzaiuoli, protagonisti di una tradizione che, a partire dalla manipolazione di prodotti semplici quali l’acqua e la farina, realizzano veri capolavori dell’alimentazione che tutto il mondo ci invidia”.
Ha naturalmente espresso grande soddisfazione Sergio Miccù, presidente dell’associazione ‘Pizzaiuoli napoletani’, tra i promotori della richiesta di riconoscimento, presente in Corea per attendere il verdetto: “E’ stato un lungo lavoro – ha detto Miccù – che la nostra associazione ha portato avanti per anni; pertanto questo riconoscimento rappresenta il coronamento di un sogno e di un nostro impegno costante”.
A esultare per l’inserimento nel patrimonio immateriale dell’UNESCO dell’arte del pizzaiuolo napoletano è anche Vincenzo Schiavo, presidente di Confesercenti Napoli e Campania, ente che ha partecipato alla battaglia affiancando Fondazione Univerde e Pecorario Scanio sin dal 2015 con varie iniziative. “E’ la vittoria del fare – afferma Vincenzo Schiavo – “è il successo del fare impresa in modo sano a Napoli e in Campania. Con questo riconoscimento si aprono nuove e ulteriori opportunità per la pizza e per i pizzaiuoli partenopei. Non dimentichiamo, infatti, che la pizza produce un volume d’affari di oltre 12 miliardi di euro con circa 200 mila addetti e oltre 50.000 esercizi tra pizzerie, ristoranti e pizzerie a taglio o da asporto. E’ un motivo di orgoglio per un’eccellenza napoletana e italiana, la vera differenza è che è riconosciuta l’arte del realizzare la pizza con la nostra ricetta tradizionale. Confesercenti ha lavorato per oltre 3 anni insieme ad Alfonso Pecoraro Scanio per questa vittoria ed esultiamo con lui. Il secondo passo – conclude Schiavo – sarà quello di creare un marchio napoletano, per istituire una scuola e una formazione in materia di pizza che abbiano rilevanza internazionale”.
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