di Enzo Garofalo
“Il mio compito era questo: riaprire lo scrigno. Ora ce n’è per tutti.” Così aveva commentato il M° Riccardo Muti l’esito straordinario in nord Europa e al Ravenna Festival dello spazio da lui dedicato ormai da anni alla riscoperta dei compositori e dei capolavori della Scuola Musicale Napoletana fra XVII e XVIII secolo; un’esperienza irripetibile che ha dominato a lungo la scena europea quale fulgido modello di creatività compositiva e humus fecondo anche per figure geniali di autori (Mozart è un esempio fra tutti) le cui opere, senza quelle melodie concepite sulle rive del Golfo di Napoli e irradiatesi in tutto il continente, avrebbero senz’altro assunto altri connotati.
A Napoli e nei suoi Conservatori – i più antichi d’Italia – conversero musicisti da ogni angolo del Regno che a suo tempo abbracciava un po’ tutto il Sud. Qui nascevano carriere prestigiose che poi approdavano nei teatri e nelle corti di altre importanti città italiane, come Roma, Firenze o Venezia, o europee, come Parigi, Vienna o San Pietroburgo. Ma a volte accadeva anche il contrario, e cioè che musicisti d’altre parti d’Italia o dall’estero, accorressero a Napoli quale luogo cruciale da cui non si poteva prescindere. Fra i tanti musicisti meridionali – compositori e cantanti – che fecero la fortuna della Scuola Napoletana, una larga fetta proveniva dalla Puglia, ma la loro origine spesso si è perduta nelle pieghe della Storia della Musica che li ha voluti tout court “maestri napoletani”. Parliamo di autori giunti a Napoli come allievi di grandi maestri di cui spesso hanno poi preso il posto, dando vita a delle vere e proprie “scuole” sulla scia di quel primo nome che aveva dato l’imprinting; ciascuno peraltro poi apportava il proprio contributo di originalità creativa, tanto più marcata quanto più brillante era il genio che ne alimentava la penna, ed allora la grande scuola musicale cittadina si arricchiva di sviluppi che garantivano le novità più significative.
Intorno a questo straordinario mondo di musica, la storia più recente – se si esclude l’azione di pochi ensemble, italiani e stranieri, specializzati in questo genere di repertorio che va dal sacro all’opera seria e buffa – è una storia fatta sopratutto di oblio; e ciò non solo nel caso di figure o opere minori, bensì anche in quello di musicisti di spicco che hanno dato un contributo determinante nell’evoluzione del linguaggio musicale del loro tempo, e spesso anche di quello a venire. Da qualche anno sembra però esserci un certo risveglio di interesse che sicuramente andrebbe potenziato per valorizzare ancor più un patrimonio musicale unico al mondo. Fra i primi a riscoprire – con un lavoro sistematico di ricerca, esecuzione e registrazione – i grandi capolavori della Scuola Napoletana, sono certamente da menzionare Antonio Florio e il gruppo I Turchini, ensemble con sede a Napoli ma celebre in tutto il mondo.
Espressione emblematica di quanto però ancora si possa fare è il caso di Nicolò Piccinni del quale – se si eclude la celebre Cecchina su libretto di Goldoni, la cui fama raggiunse addirittura la Cina – oggi ben poco si esegue in Italia della sua pur vasta produzione, e pochissimo nella sua città natale, Bari, dove peraltro si conservano numerosi microfilm di manoscritti originali e dove ancora non esiste un festival dedicato ad un tal celebre concittadino. Viceversa, fra i luoghi di Puglia attivi in questa opera di ‘riscoperta’ troviamo Taranto, con il suo Festival intitolato all’illustre Giovanni Paisiello che quest’anno giunge alla sua XI edizione; e poi ancora il Barocco Festival di San Vito dei Normanni, dedicato a Leonardo Leo uno dei padri della Scuola Napoletana oggi fra i più conosciuti ed eseguiti all’estero, e il Traetta Opera Festival di Bitonto (Bari) dedicato a Tommaso Traetta la cui fama ai suoi tempi giunse in Russia, Inghilterra e Spagna (la città ospita anche un concorso di canto lirico intitolato al celebre castrato Gaetano Majorano detto il Caffarelli). Anche il notissimo Festival della Valle d’Itria di Martina Franca (Taranto), città patria del cantante castrato Giuseppe Aprile noto come lo Sciroletto, dà un suo importante contributo recuperando pagine di musica non più eseguite dai tempi della loro composizione.
Ritornando a Bari e provincia c’è però ultimamente un interessante fermento che vede impegnati alcuni gruppi di musicisti nella riscoperta di antiche composizioni uscite dalla penna dei più celebri autori locali. E’ il caso dell’ensemble Il Mondo della Luna, diretto dal M° Grazia Bonasia, che di recente ha fra l’altro presentato il Salmo V e una inedita Messa per 5 voci e orchestra di Piccinni (autore del quale entro l’anno dovremmo nuovamente sentir parlare); del Festival Anima Mea diretto dal M° Gioacchino De Padova, che ospita spesso nelle sue edizioni opere di autori della Scuola Napoletana; dell’Ensemble della Cappella S. Teresa dei Maschi, diretto dal M° Sabino Manzo, che proprio sabato e domenica scorsi (24-25 maggio 2014) ha presentato a Bari, nella splendida chiesa barocca da cui prende il nome, alcune composizioni del tranese Domenico Sarro, vissuto nella prima metà del ‘700 e uno dei maestri di maggiore successo nella Napoli settecentesca (basti pensare che nel 1737 con la sua Achille in Sciro fu inaugurato il Teatro di San Carlo).
Il programma del concerto, organizzato dalla Polifonica Barese “Biagio Grimaldi”, comprendeva alcune Sinfonie tratte da opere serie (Arsace, Lucio Vero, La Partenope, Didone Abbandonata) che Sarro compose nel lasso di tempo fra il 1718 e il 1731, data, quest’ultima, a cui risale il dramma in musica in tre atti Artemisia che nelle pause fra un atto e l’altro ospitò, com’era d’uso in quel tempo, l’Intermezzo buffo La Furba e lo Sciocco, un divertente “trattenemiento” in due brevi parti appartenente a quella schiera di composizioni “comiche” destinate col tempo ad assumere una autonoma dignità di genere, con enorme successo in tutta Europa. Ad interpretarlo, in forma semiscenica, peraltro ben integrata nel naturale contesto barocco del luogo, i cantanti pugliesi Giuseppe Naviglio (baritono) e Vittoria Didonna (soprano).
Naviglio, noto per essere una delle figure di spicco dei Turchini di Antonio Florio, ha profuso nello spettacolo tutta la sua esperienza nella caratterizzazione di personaggi tipici dell’opera buffa (per quanto versatissimo ed apprezzato interprete anche nel repertorio sacro dello stesso periodo), prestando la sua tonante ma calibratissima vocalità – impeccabile nella resa delle necessarie sfumature stilistiche – al Conte Barlacco, nobile pieno di sè ma abbastanza ingenuo da cascare nella rete tesagli da Madama Sofia, signora costretta dalla povertà a cercare un marito nobile e ricco e abbastanza stupido da lasciarsi irretire; a conferile furbesca grazia e carattere una Vittoria Didonna in ottima forma, da un po’ di tempo sempre più alle prese con un repertorio come quello barocco nel quale ha forti potenzialità da approfondire.
Eccellente il lavoro musicale svolto dall’Ensemble della Cappella S. Teresa dei Maschi (Giovanni Rota e Valerio Latartara, violini; Teresa Laera, viola; Angelo Mastroclaudio, violoncello; Maurizio Ria, violone; Giuseppe Petrella, tiorba e chitarra barocca) e da Sabino Manzo, maestro al cembalo nonchè curatore – insieme a Giuseppe Loiacono – della trascrizione e revisione delle composizioni, sulla base dei manoscritti originali. Un lavoro teso a valorizzare l’arte musicale di un autore che ebbe la ventura di collocarsi storicamente fra figure geniali come quelle di Alessandro Scarlatti, Nicola Porpora, Leonardo Vinci e Leonardo Leo, che in certa misura oscurarono (soprattutto presso i posteri) con la loro straordinaria capacità di invenzione l’arte di Sarro, la cui grande sapienza compositiva rimane comunque un dato indiscutibile. Lo spettacolo proposto a Bari – arricchito dalla performance dell’attore Vito Lopriore (nelle vesti di Pulcinella), che ne ha curato anche la regia, e dalle coreografie di Simona De Tullio – ha riportato un ottimo riscontro di pubblico, con convinti applausi a tutti gli interpreti, che rivedremmo volentieri in scena magari nella bellissima Trani, città natale di Domenico Sarro.