“Non fu un gesto coraggioso. Ho fatto solo quello che mi sentivo di fare, come farebbe oggi una qualsiasi ragazza: ho ascoltato il mio cuore, il resto è venuto da sé. Oggi consiglio ai giovani di seguire i loro sentimenti; non è difficile. Io l’ho fatto in una Sicilia molto diversa; loro possono farlo guardando semplicemente nei loro cuori”
Franca Viola intervistata da Riccardo Vescovo
di Rocco Mazzolari
Sono passati esattamente 50 anni da quel dicembre 1965 quando Franca Viola, una ragazzina siciliana di 17 anni di Alcamo (Trapani), figlia di contadini, venne rapita da un ragazzo del posto con la complicità di un gruppo di coetanei. Un atto che a suo tempo non destò riprovazione sociale, e non solo perchè nel luogo in cui avvenne era una “pratica” per il matrimonio (una sorta di “presa di possesso”) tutt’altro che rara, ma anche perchè nel Codice Penale nazionale del tempo vigeva la norma secondo cui qualora la donna violentata avesse sposato il suo violentatore, il reato si sarebbe estinto e la “disonorata” (questo l’epiteto popolarmente riservato alla vittima, insieme all’altro, ancora più offensivo, di ‘svergognata’) avrebbe riacquistato la sua ”onorabilità”. I responsabili del sequestro non avevano però fatto i conti con quelle risorse che l’animo umano riesce a mettere in campo nei momenti più insperati arrivando, come in questo caso, a determinare un significativo mutamento nella realtà delle cose anche fuori dal perimetro della propria vicenda personale.
Dopo nove giorni di segregazione, la giovanissima Franca non si rassegnò ad accettare ciò che il contesto sociale si aspettava da lei, e cioè una passiva accettazione della sua nuova condizione, per cui decise di denunciare il suo stupratore. La sua scelta fu estremamente coraggiosa per un doppio ordine di motivi: innanzitutto perchè è stata la prima donna a rifiutare il “matrimonio riparatore”, noncurante dei ricatti e delle minacce della stessa comunità in cui viveva, e in secondo luogo perchè il suo sequestratore era Filippo Melodia, nipote del mafioso Vincenzo Rimi. Con lui Franca si era fidanzata qualche tempo prima ma aveva deciso di lasciarlo quando s’accorse che stava seguendo le orme malavitose dello zio. Una decisione alla quale il ragazzo aveva reagito dando fuoco al vigneto e al casolare della famiglia Viola e minacciando il padre di lei con una pistola. Filippo venne arrestato ma uscito di prigione era più che mai deciso a riprendersi Franca. Cosa che fece nel modo raccontato prima. Il gesto di Filippo trovò appiglio nella morale del tempo secondo cui una ragazza ormai non più vergine non avrebbe potuto sposare nessun altro se non il proprio violentatore, salvando così il suo “onore” e quello della sua famiglia, e anche nell’articolo 544 (oggi abrogato) del codice penale italiano il quale stabiliva che qualora un uomo avesse commesso nei confronti di una donna nubile ed illibata, stupro o violenza carnale punibile con la pena prevista dall’art. 519 e seg., onde evitare il processo o al fine di far cessare la pena detentiva inflitta, poteva offrire alla parte lesa il matrimonio riparatore. Una norma del genere si basava sull’idea, superata solo diversi anni dopo, che la violenza sessuale fosse da considerarsi un oltraggio alla morale e non un reato contro la persona.
Franca rifiutò tutto questo e grazie alla sua coraggiosa iniziativa, un anno dopo il suo violentatore venne condannato per sequestro di persona e violenza sessuale e con lui gli altri suoi amici in veste di complici. Affrontare il processo non fu per lei una cosa semplice, ma ebbe il sensibile ed intelligente appoggio del padre Bernardo che la difese contro le ingiurie dei compaesani, contro certa stampa diffamatoria, contro gli avvocati, contro una legge ingiusta e contro chiunque osasse puntarle il dito contro. Aver ottenuto la condanna del suo aguzzino ha fatto di Franca Viola un vessillo della lotta per l’emancipazione delle donne ed un simbolo della crescita civile dell’Italia post bellica, contribuendo a sradicare un modo aberrante di concepire il rapporto uomo-donna fondato sulla prevaricazione e sulla violenza.
Pochi anni dopo i fatti, nella vita di Franca apparve Giuseppe Ruisi, un amico d’infanzia che, in nome di un amore autentico e noncurante delle possibili rappresaglie da parte della famiglia del condannato, la sposò nel 1968. Giuseppe Saragat, allora Presidente della Repubblica, inviò alla coppia un dono di nozze per manifestare la solidarietà di tutti gli italiani e i due sposi furono anche ricevuti da papa Paolo VI in udienza privata. Il regista Damiano Damiani ispirandosi alla vicenda di Franca realizzò il film La moglie più bella, con una giovanissima Ornella Muti, mentre la scrittrice Beatrice Monroy nel 2012 ha raccontato la sua storia nel libro ‘Niente ci fu’.
Oggi Franca Viola vive ancora ad Alcamo, ha due figli, e l’8 marzo 2014, in occasione della Festa della Donna, è stata insignita dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dell’onorificenza di Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
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