di Enzo Garofalo
Nel volume Quel che resta – L’Italia dei paesi, tra abbandoni e ritorni, l’antropologo calabrese Vito Teti descrive un vasto mondo che va inesorabilmente spegnendosi, quello di paesi e campagne di intere aree interne d’Italia e d’Europa che si spopolano, proprio mentre i grandi agglomerati urbani si apprestano a diventare megalopoli. Eppure molti di quei luoghi dell’abbandono sono custodi della natura più integra e dei segni del passato, quelli che ci permettono di sapere chi siamo e da dove veniamo. Diventa allora cruciale chiedersi se esista una via d’uscita per non perdere tali preziose coordinate di riferimento. Quel passato, secondo Teti, “può e deve essere riscattato come un mondo sommerso di potenzialità suscettibili di future realizzazioni”, purché però si evitino “la retorica e la nostalgia restaurativa” e si pratichi “la nostalgia positiva, costruttiva” che “può essere sostegno a innovazione, inclusione e mutamento”. Occorre che la nostalgia diventi “una strategia per inventare il paese”, e “allora quel che resta è ancora moltissimo”, a condizione però che si abbia la capacità e la volontà di “prendersene cura”. Ebbene, è molto difficile che questo processo possa essere il frutto di un’immediata azione collettiva – soprattutto in assenza di politiche attive finalizzate a promuoverlo – mentre sta diventando sempre più frequente che a tentare di rendersene interpreti siano singole persone protagoniste di scelte radicali, controcorrente, a tratti pionieristiche, mosse dalle più diverse motivazioni ma accomunate da un intento costruttivo e, in quanto tali, potenzialmente in grado di innescare sul territorio processi virtuosi di rinnovamento. Abbiamo conosciuto una di queste persone la cui storia ha come sfondo la bellissima area pedemontana di Santa Maria Le Grotte, frazione di San Martino di Finita, paese arbëreshe arroccato sulle pendici della Catena Costiera tirrenica, nell’assolata provincia calabrese di Cosenza.
Lei è Nella De Vita, laureata in chimica all’Unical, specializzata alla Luiss e alla Sapienza in management e materie ambientali, un passato da ricercatrice presso il CNR di Roma e una carriera da manager in grandi multinazionali che l’ha portata a viaggiare in Italia e all’estero. Poi un giorno la decisione, sofferta ma ponderata, di mollare tutto, di rinunciare a un tipo di vita che richiede il massimo della performance incidendo pesantemente sul tempo libero e sui rapporti interpersonali fino ad esporre l’individuo al rischio di smarrirsi. Nella ha scelto così di tornare in Calabria per dare vita a un progetto che punta a fondere agricoltura sostenibile, economia circolare e ospitalità a ”nomadi” del Terzo Millennio alla ricerca di esperienze di vita a stretto contatto con la natura e alla scoperta dei luoghi meno battuti della Calabria. Un progetto di forte impulso innovativo che le sta richiedendo da due anni un grande sforzo organizzativo ed economico con la nobile ambizione di contribuire al cambiamento della catena di creazione del valore, dalla produzione agricola alla distribuzione, dal consumo al riuso, al riciclo.
In questo ottobre che al Sud sa ancora d’estate raggiungiamo San Martino di Finita e imbocchiamo il bivio per raggiungere, dopo poco più di 3 km, la frazione di S. Maria Le Grotte, uno storico nucleo abitativo di circa 500 persone immerso – con l’antico convento di S. Antonio, la chiesa matrice e alcuni palazzi appartenuti a storiche famiglie di latifondisti – nel verde delle dolci colline digradanti dalla Catena Costiera, a circa 400 m. sul livello del mare. Una traversa asfaltata tra le case che costeggiano la strada diretta verso la Valle del Crati ci porta dopo circa 1 km e mezzo ai margini della grande tenuta agricola di Nella De Vita, la quale ci viene incontro coi suoi cani mentre scendiamo a piedi per il breve sentiero sterrato che porta nel cuore di dieci ettari di splendido paesaggio agreste.
L’impressione che La Tatina (è questo il vezzeggiativo nome dato all’azienda agricola) offre di sé a chi arriva, è quella di un work in progress che sta per dare forma ad un sogno, quello di un luogo nel quale riconnettersi con la natura e con se stessi senza rinunciare alla condivisione con quanti vorranno rendersi compartecipi di un’esperienza di vita all’insegna dell’autenticità. “Interrompere una avviata carriera scegliendo di tornare in Calabria – ci dice Nella – è stata una decisione combattuta, ma ha prevalso l’esigenza di trovare una dimensione personale che carriera e prestigio non erano più in grado di darmi. Nel frattempo ho avuto anche una figlia e sentivo che quella vita mi aveva tolto tanto, per cui ho avvertito il bisogno di riappropriarmi di me stessa. Acquistare questo grande terreno abbandonato e liberarlo dai rovi, canneti e ginestre che lo ricoprivano, perseguendo il progetto di farlo rinascere, ha rappresentato al tempo stesso il concreto inizio di questo percorso personale di costruzione di nuovi equilibri”. Mentre procede nel racconto gli occhi di Nella sorridono, segno che la fase ”critica” della scelta è ormai alle spalle e l’impegnativa sfida è ormai tutta proiettata verso il futuro.
Una piccola colonia di gatti ci accoglie sull’uscio dell’ex casa colonica che Nella ha fatto ristrutturare con gusto ridefinendo in parte la suddivisione degli spazi poi arredati con mobili dal semplice design anni ’40. Dall’ingresso dell’edificio a un solo piano, con tetto strutturato su travi a vista, così come dal portico ligneo che lo costeggia, lo sguardo si allarga verso un orizzonte di vasto respiro tra quinte di dolci colline in parte a bosco di querce e in parte arate. Il terreno antistante è invece tutto un susseguirsi di alberi di melograno, meli cotogni, e ortaggi di vario genere di cui Nella, bandendo l’uso di prodotti chimici, ha già avviato la produzione avvalendosi di semi antichi e moderni in un’ottica di valorizzazione della biodiversità autoctona; prodotti che vende ad un Gruppo di Acquisto Solidale di Cosenza, presso il Villaggio Europa: una delle ormai numerose reti italiane di persone che, muovendo da un approccio critico al consumo, perseguono con i propri acquisti principi di equità, solidarietà e sostenibilità.
Facciamo un breve giro nei coltivi, quanto basta per sorprenderci dell’enorme lavoro di aratura svolto, durante il quale è anche spuntato un enorme blocco di conglomerato pieno zeppo di fossili marini, traccia riemersa di fondali vecchi di milioni di anni, destinato a diventare un originalissimo tavolo. E intanto notiamo come nei terreni continui l’impianto di nuove essenze botaniche, tra fiori, agrumi, ulivi e viti, destinati man mano a far verdeggiare e fruttare i terreni scenograficamente articolati su più livelli. Una prima coltura di grano – ci spiega inoltre Nella – è stata impiantata mettendo a dimora semi di Timilia, un grano antico tipico della Sicilia ma già noto nella Grecia di 2500 anni fa. Per l’irrigazione tutto viene gestito attraverso l’acqua di un pozzo ma tracce del prezioso liquido sono un po’ ovunque in questa contrada che non a caso si chiama Acquaviva ed è costeggiata anche da un piccolo torrente che più a valle affluisce nel fiume Finita (l’antico Perditium) dopo aver attraversato i terreni di Nella. Accanto alle piante infine non mancano gli animali come oche, galli e galline, conigli, qualche pecora e persino le api.
L’avvio delle attività, pur con l’arduo impegno che quotidianamente impone l’avanzamento del progetto, non ha impedito a Nella di curare anche i rapporti con la comunità locale che l’ha accolta al termine del giro che, partita dalla natìa Rende, ha compiuto lungo l’intera provincia di Cosenza alla ricerca del terreno ideale sul quale dare corpo al suo sogno. Ci descrive infatti il suo incontro con la tenuta agricola di Santa Maria Le Grotte come una folgorazione alla quale ha fatto seguito il pressoché immediato coinvolgimento di gente del posto nei lavori di pulitura dei terreni; un rapporto che Nella continua ad alimentare all’insegna dell’idea che “aver acquistato questo terreno non significa averlo reso oggetto di un possesso esclusivo, gestito nel chiuso dei suoi confini lasciando il resto del mondo fuori”, bensì farne uno strumento per la creazione di valore e di microeconomia che possano giovare anche alla comunità del posto. Un intento che traspare anche dalla coraggiosa scelta di stabilirsi in un’area interna, lontana dai grandi centri e in via di spopolamento. Una scelta che Nella auspica possa presto favorire anche un dialogo con istituzioni ed enti come le Università, dialogo quanto mai necessario se davvero si vuole agevolare quel processo di cambiamento e di ”ritorno” in Calabria di cui è avvertita da più parti una forte esigenza, come dimostra – ci dice Nella in ultima battuta – “il crescente numero di persone che agiscono dal basso per cercare di promuovere il cambiamento e la cui azione sarà tanto più incisiva quanto più riusciranno a fare rete tra loro”.
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