La scomparsa di un Maestro. Il mio ricordo di Francesco d’Avalos

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di Nicola Scardicchio*

I Maestri che se ne vanno, come vuole la legge della Natura, inducono a riflessioni su quanto ci abbiano lasciato e su quanto noi abbiamo potuto o saputo o voluto imparare da loro. Quando il fraterno amico di sempre Antonio Florio, oggi tra i più celebri e capaci esegeti ed interpreti della musica barocca napoletana, mi ha comunicato che il 26 maggio ci aveva lasciati il nostro antico e comune maestro Francesco d’Avalos, ho dovuto tornare indietro negli anni e riflettere sulla sua fondamentale presenza nella mia vita di musicista come in quella di moltissimi altri.

Nell’autunno 1972 ci avvisarono che a sostituire il meraviglioso maestro Armando Renzi, il direttore del Conservatorio Nino Rota aveva invitato il principe Francesco d’Avalos (Napoli 11 aprile 1930 – Napoli 26 maggio 2014). Sapemmo che, illustre per casata, d’Avalos era un compositore e direttore d’orchestra di grandissimo valore, di scuola napoletana, allievo di Renato Parodi, a sua volta celebre quale musicista ed insegnante.

L’incontro col principe fu per me incisivo: alla simpatia ‘de core’ del romanissimo Renzi subentrò l’aplomb del nuovo docente, che subito ci stupì con il darci del lei, che riteneva indispensabile, data l’impossibilità – erano altri tempi – di poter reciprocamente adoperare il tu. Molti (ma molti) anni dopo lo convincemmo a darci del tu, anche perché si erano instaurati affetto e confidenza tali da giustificare quell’ulteriore segno di vicinanza.

Presto trovammo in lui un interlocutore molto affascinante, informatissimo su tutto quanto avvenisse nel mondo musicale, con una visione che andava molto oltre il puro adempimento delle funzioni scolastiche.

Erano lezioni in cui alla correzione dei compiti di armonia e contrappunto si accompagnavano memorabili letture al pianoforte di partiture (dall’Orfeo di C. Monteverdi alle Variazioni su un tema di Mozart di M. Reger, dalla Fanciulla del West alla Turandot di G. Puccini, non senza incursioni amplissime nelle opere di R. Strauss, G. Mahler, H. Wolf, ma anche di G. Gershwin, C. Porter, F. Lehar) culminanti nelle minuziose letture di L. v. Beethoven, di J. S. Bach (ricordo un’analisi commovente del corale finale della Passione secondo Giovanni) e di uno dei suoi autori di assoluto riferimento, R. Wagner, specialmente del Ring, del Tristano e, soprattutto del Parsifal. Nell’ambito di quelle lezioni di valore davvero incommensurabile, accanto ed oltre all’acquisizione di dati fondamentali per la formazione del mestiere del comporre, tutti noi ci trovammo a possedere una quantità di informazioni a 360 gradi su strutture, cariche energetiche, flussi melodici e costruzioni formali accademici o eccezionali che, per quanto mi riguarda, ritengo costituire il fondamento di quanto io conosca e sappia adoperare in merito alle tensioni interne delle strutture formali, armoniche, ritmiche, timbriche e melodiche che si possono riscontrare nella musica di ogni tempo, sia pure con diversi mezzi e tecniche.

Io già da molti anni avevo il privilegio di stare accanto a Nino Rota, che anch’egli spessissimo mi spiegava suonando (quasi sempre a memoria) i brani di autori disparatissimi (dall’adorato F. J. Haydn, a J. Brahms, a J. S. Bach, al venerato su tutti come sommo L. v. Beethoven): l’approccio di Rota era essenzialmente poetico e saldamente attaccato all’osservazione dei mezzi adoperati dai grandi compositori perché l’idea musicale venisse espressa e trasmessa con la massima naturalezza e proprietà di linguaggio. Era tipica la sua affermazione che laddove ci fosse difficoltà di assimilazione di un pensiero musicale occorresse riconoscere che evidentemente il problema compositivo non era risolto e che la soluzione spettava al compositore e non doveva affliggere l’ascoltatore.

A questa preziosissima concezione rotiana del comporre come di un lavoro ‘artigianalmente’ concepito come produzione di una cosa ben definita e chiaramente delineata, con d’Avalos ora si aggiungevano ulteriori elementi di considerazioni dell’estetica e delle implicazioni filosofiche che forme e tecniche compositive rivelano, soprattutto quando ci si riferisca a musicisti, come quelli spesso analizzati e studiati, il cui l’atto creativo non potesse essere riconosciuto come mera espressione di estemporanea e non meditata ‘ispirazione’, qualsiasi significato a tale termine si possa attribuire.

Il senso di espressione trascendente della Musica Alta, strettamente collegata al concetto kantiano di imperativo categorico ed all’estetica del sublime, con le lezioni di Francesco d’Avalos era motivo di costante riflessione ed anche nel guardare le nostre prime composizioni non scolastiche egli ci stimolava a non accontentarci di quanto ci venisse spontaneamente ma senza serio convincimento. Certo alcuni di noi, che poi si dispersero, credettero che d’Avalos spingesse in una direzione concettuale: niente di più frainteso! D’Avalos semplicemente voleva che l’emergere della memoria storica dei generi e degli stili, utilissimi nelle composizioni di fomazione, non finisse per trasformarsi nella reazione manieristicamente ripetitiva di vecchi modelli inutilmente riproposti, alle idiozie delle avanguardie allora tristemente funestanti il panorama musicale mondiale, ma specialmente quello italiota, che meccanicizzavano l’atto compositivo umiliandone e volgarizzandone l’impulso di autorinnovamento, vitalmente possibile solo in regime di libera espressione del pensiero. E tale libertà non poteva che essere vincolata strettamente alla consapevolezza dell’itinerario storico del linguaggio, della poetica e dell’Etica compositiva: consapevolezza inevitabilmente legata all’assimilazione e non alla distruzione della tradizione, che produceva solo cadaveri, ideologicamente esposti in macabre esposizioni da cottolengo concertistico.

La musica di d’Avalos è molto diversa da quella di Rota, che però volle consapevolmente dotare gli allievi del conservatorio barese dell’insegnamento di quel compositore che la diversità del linguaggio basava su originali considerazioni personali solidamente radicate nella conoscenza e nell’assimilazione del mestiere e delle tecniche: in passato Rota aveva rifiutato di concedere la cattedra ad un musicista pugliese avanguardistico – in fin dei conti forse meno di d’Avalos – che però era noto per la sua dichiarata incapacità di insegnare, onde quelli che con lui studiavano erano costretti, per superare gli ostici esami di contrappunto e fuga, a ricorrere ad insegnanti privati per colmare i vuoti di un insegnamento lacunoso. La diversa scelta stilistica di d’Avalos non turbava Rota, che lo volle affinché accanto alla sua visione della musica ce ne fosse una che proponesse altre visioni stilistiche e linguistiche, però solidamente ed artigianalmente fondate e, come tali, trasmissibili in un insegnamento che oggi non posso che ricordare come prestigiosamente veramente aperto al futuro ed in cui si poté poi orientare, senza smarrimento o confusione mentale, anche chi come me (ed altri) fosse più portato per la composizione in cui siano predominanti quelli che un altro grande compositore chiamato all’insegnamento da Rota, Raffaele Gervasio, chiamava ‘i personaggi’, e cioè temi perfettamente identificabili.

Nelle opere di d’Avalos non mancano i temi, ma la sua idea di melodia era più legata alla concezione di una successione orizzontale di suoni in cui i nessi ed i rapporti intervallari segnassero una coerenza meditata più che sensibile. Va anche detto che nel concetto davalosiano di melodia si può trovare un’indicazione preziosissima di come armonizzare una melodia che esuli decisamente da una natura accordale con le caratteristiche dell’armonia tradizionale, adoperando la tecnica della melodia autoarmonizzata che, senza negare i principi tonali, pure non ne segue alla lettera le funzioni strutturali tradizionali. E posso assicurare, che ormai sessantenne posso dire di trovare in questa ed in altre formulazioni tecniche davalosiane molta più attualità e proiezione nel futuro di tante strampalate combinazione a rebus e sciarade di tanta polverosa avanguardia.

Il progetto di Nino Rota di creare una Scuola Barese con l’esempio suo, di Armando Renzi, di Francesco d’Avalos e di Fernando Sarno (altro solidissimo docente formatosi alla prestigiosa scuola di Achille Longo), si può dire realizzata, ed ancor oggi nel conservatorio barese ci sono alcuni docenti di composizione che sono compositori e non neuropsichiatri, che con l’esempio stanno formando giovani compositori che scrivono musica da ascoltare. Degli altri la sorte ha già segnato il destino d’oblio, come il maestro Francesco d’Avalos ci ricordava spesso, quando diceva che Beethoven mentre scriveva la sua musica che, come tutte le grandi opere d’arte, prepara e prefigura il futuro, non si autoiscriveva nelle liste dei musicisti moderni: lo era per naturale diritto di chi nel laboratorio interno del pensiero elabora idee ed esprime concetti che l’onestà del possesso degli strumenti segna con i crismi della vita che si autoafferma per se stessa e non per diktat politico pseudofilosofico.

Mai saremo grati abbastanza a musicisti e Maestri come il Principe Francesco d’Avalos per averci sempre stimolati a cercare e trovare, e dopo aver trovato a cercare ancora ed a trovare ancora, senza mai stancarci di andare sempre più in profondità nella ricerca dell’Assoluto che per Lui era alla base di ogni attività umana superiore, come la Musica.

Adelfia 29 maggio 2014

* Nicola Scardicchio, pugliese, è compositore, direttore d’orchestra, docente di Storia ed Estetica della Musica presso il Conservatorio ‘Niccolò Piccinni’ di Bari. Laureato in Lettere Classiche presso l’Università degli Studi di Bari con una tesi su Gustav Mahler, è autore di composizioni di musica sinfonica, cameristica vocale e strumentale, di musica sacra, di opere teatrali e di numerose trascrizioni e arrangiamenti soprattutto delle musiche del celebre compositore Nino Rota di cui è stato discepolo e della cui opera compositiva è il massimo esperto in Italia. Ha fatto parte del comitato scientifico dell’archivio ‘Rota’ presso la Fondazione ‘Giorgio Cini’ di Venezia, si occupa dell’edizione critica delle opere del compositore milanese ed ha collaborato a molte delle incisioni discografiche delle sue musiche. E’ consulente per le edizioni musicali della casa editrice tedesca Schott.

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