“In questi centocinquant’anni il Sud è effettivamente rimasto indietro (rispetto al Nord), ma nel contempo è anche andato avanti (rispetto al suo passato). Il punto è che, delle due affermazioni, la prima occulta la seconda e, possiamo dire, l’ha sempre occultata. Perché? Per il fascino della grande metafora dualista che sta dietro e sotto la questione meridionale: progresso contro arretratezza, modernità contro arcaismo, civilizzazione contro barbarie. A contro B. Nord contro Sud”
Salvatore Lupo
di Carlo Picca
E’ da poco uscito in libreria l’ultimo lavoro editoriale di Salvatore Lupo (Siena, 7 luglio 1951), Professore ordinario di storia contemporanea all’Università di Palermo, già docente di Storia Contemporanea presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Catania. Il Prof. Lupo è anche Presidente dell’IMES, Istituto Meridionale di Storia e Scienze Sociali, di Catania, nonché vicedirettore di Meridiana, rivista quadrimestrale dell’istituto della quale è stato uno dei fondatori. È da più parti ritenuto uno fra i più quotati studiosi della mafia in ambito italiano, autore di numerose pubblicazioni sul fenomeno criminoso.
In questo libro, La questione – Come liberare la storia del Mezzogiorno dagli stereotipi (Donzelli ed.- 200 p.), il Professore “tira le orecchie” a certa storiografia italiana, in particolare quella degli anni 50/60 del Novecento, che ha fatto sì che si associasse al Meridione d’Italia un concetto di inferiorità quasi a prescindere, relegandolo in una visione nota come “questione meridionale” che – dice Lupo – non coincide con la più complessa storia del Mezzogiorno. Secondo l’Autore non è infatti opportuno rinchiudere il Sud nella sola questione meridionale, perché altrimenti si lascia ad esso un ruolo esclusivamente passivo, mentre nel Mezzogiorno sono accadute varie cose degne di nota, ovvero si sono realizzati vari importanti fenomeni di modernizzazione. Ad esempio, nel 1861 un censimento effettuato dal neonato Regno d’Italia dimostrò che il Regno delle due Sicilie era lo Stato preunitario più industrializzato in assoluto, essendo infatti circa 1.600.000 gli addetti su circa 3.130.000 complessivi di abitanti per un totale del 51% di lavoratori industrializzati. Nel meridione erano già state costruite anche importanti infrastrutture, come un ponte sospeso in ferro sul Garigliano, primo in Italia e – nonostante lo scetticismo, fra gli altri, degli Inglesi – il primo telegrafo elettrico d’Italia o la prima rete di fari con sistema lenticolare. La ferrovia Napoli-Portici, inaugurata il 3 ottobre 1839, fu inoltre la prima linea ferroviaria costruita in territorio italiano. Era a doppio binario e aveva la lunghezza di 7,25 chilometri. Informazioni come queste, vanno diffuse e studiate. Questo il monito forte del testo, affinché non si lasci il Sud senza una sua vera storia.
La stagione degli anni 50/60 della storiografia italiana del Novecento, ha fatto sì, che si mettesse in piedi il concetto di meridione come di un’area compattamente depressa, e ha perciò dipinto il Mezzogiorno come zona geografica bisognosa di aiuto, da tirare su. Tutto ciò a ben vedere, in parte rispondeva a scelte politiche ed economiche ben precise che risalivano all’Unità d’Italia, che si ripetevano nel primo Novecento e venivano ad essere ripetute nel dopoguerra con forza, usando un dibattito già consolidato per “sottomettere” una zona d’Italia non priva di realtà positive. Un dibattito nato nel primo Novecento grazie ad alcuni intellettuali meridionali, che cercavano di porre in luce il concetto più determinato di “questione sociale”. Poco il pubblico conosce di quanto scrissero o fecero pensatori quali Colajanni, De Viti De Marco e Salvemini, i quali ponevano la necessità di equilibrare l’utilizzo di risorse da parte del governo italiano dell’epoca, notando come si volesse avviare una parte del paese, il nord, verso un processo di crescita, e un’altra, il sud, invece deliberatamente trascurare. Di quel dibattito non resta che il solo concetto, da rivedere appunto, di questione meridionale.
Da centocinquant’anni il Mezzogiorno è dunque rimasto fermo? Il fatto di continuare a riproporre la questione meridionale è davvero di aiuto per comprendere la storia del Mezzogiorno e quella del nostro Paese? Nel testo di Lupo leggiamo domande come queste, alle quali l’Autore fornisce le sue risposte. Domande capitali che ne includono altre, come ad esempio questa: il problema criminale può essere conosciuto diversamente da come comunemente lo si presenta? La statistica attuale indica che i tassi di omicidio in Lombardia sono più alti che in Sicilia. Ma nel mondo dei luoghi comuni cosa si pensa di questi dati? O quest’altra: quanti sanno che il livello d’istruzione è altissimo nel Meridione? Quanti sanno che i primi esempi di cooperazione, di sciopero agrario sono partiti dal Sud? C’è davvero un mondo da scoprire a favore di una diversa idea del Sud e questi sono solo piccolissimi esempi.
E’ innegabile che per molti versi il Sud sia rimasto indietro rispetto al Nord, e che sia presente anche un certo grado di “inciviltà” e di maleducazione, ma certe forme di degrado sociale – diciamolo – sono in parte determinate dal degrado economico, e comunque, nonostante ciò, sembra difficile non vedere che il Sud nel contempo è andato avanti rispetto al suo passato. Nel suo nuovo libro il Prof. Salvatore Lupo prova dunque a districare il groviglio delle asserzioni e delle omissioni sul Sud, risalendo alle origini di una questione che tuttora impera nel dibattito pubblico. Il suo è un libro nel quale si contesta il luogo comune di un totale immobilismo del Sud e dal quale emerge forte il concetto che il Mezzogiorno andava e vada studiato come qualsiasi altra area geografica del mondo nella quale si sono realizzate e avvengono trasformazioni, un’area nella quale non è corretto asserire che non sia arrivata la modernità.
Non esiste, dice infine Lupo, un unico “contenitore” per il meridione: sarebbe riduttiva una visione del genere, in quanto non si possono omologare situazioni regionali che non sono omologabili fra di loro al solo scopo di creare una “scatola” inferiore, il Sud, da contrapporre ad un’altra “scatola”, superiore, il nord. Sarebbe troppo semplicistico oltre che funzionale a quella che, a ben vedere, appare – come fa spesso notare il giornalista e scrittore Pino Aprile – una vera propria conquista coloniale in atto da centocinquant’anni, con tanto di sottomissione culturale che continua anche negli stereotipi.
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